7. Ο Άρχοντας του Χρόνου

Il signore del tempo.

Per Zen era giunto il momento di arruolarsi e Louīs era stato vicino al suo migliore amico per tutto il tempo e aveva colto l'occasione per passare del tempo con lui. E per quanto ci stesse male il ragazzo dagli occhi azzurri, non poteva costringere egoisticamente il suo migliore amico a rinunciare al suo più grande sogno: essere un soldato e servire Atene.

«Zen, prometti che mi scriverai? Almeno tre volte al giorno, va bene?» Louīs non voleva staccarsi dal suo corpo. Aveva passato il pomeriggio a sistemare la sua armatura, l'aveva vestito come un manichino e l'aveva addobbato per la partenza. Poi, si era sistemato sulle sue spalle, circondandogli il collo da dietro. Era ormai sulle sue spalle da cinque minuti, mentre Zen era impegnato in giro per la casa a raccattare cose per il suo viaggio con l'esercito.

«Certo Lou, facciamo quattro volte al giorno! Le terre si conquistano da sole, giusto? Infatti voglio arruolarmi per fare la doccia con gli altri guerrieri» ironizzò il suo amico prendendolo e gettandolo sul letto, così da liberarsi finalmente dalla sua morsa. Quel ragazzo era incredibilmente appiccicoso. La casa di Zen era molto grande rispetto al normale, suo padre aveva commissionato la costruzione di una nuova stanza perché suo fratello Doukas aveva messo su famiglia e voleva star vicino ai suoi genitori. I piccoli di Doukas avevano a cuore i nonni e lui non poteva fare a meno di lui.

Louīs era sempre da Zen quando non studiava, amava la compagnia e soprattutto amava lo spazio vitale. In realtà, si sentiva protetto lì, più a casa di quanto non fosse nella sua dimora. Poteva essere completamente sé stesso senza avere suo padre che lo giudicava costantemente, senza sentire il peso di un matrimonio imminente e i soliti argomenti che si trattavano quando erano in procinto di banchettare.

«Come osi prenderti gioco di me? Io mi arruolerei solo ed esclusivamente per quel motivo!» scoppiò in una fragorosa risata il ragazzo in risposta, prima di alzarsi e guardarsi intorno spaesato, con l'intenzione di voler aiutare il suo migliore amico una volta per tutte. Stava per parlare nuovamente quando fu interrotto da un'imprecazione di Zen.

«Dannazione! Ricordi quella splendida ragazza bionda insieme alla tua futura moglietera?» lo prese in giro, riferendosi alla sua promessa sposa , che nel tempo libero era un'etera, «Dunque, l'altra sera l'ho portata sul Lycabettus, il monte più alto di Atene, per farle vedere la città dall'alto, mi ha anche lasciato un bacio prima di ritornare a casa e io ora partirò. Chi dirà alla mia amata che ogni qualvolta il sole sorgerà il mio amore sarà più forte di-»

«Hey Eros, smetti di elogiare Apollo con i tuoi versi e taci. Se proprio vuoi un messaggero potrei sacrificarmi io... anche se non ho ancora inteso il suo nome.» Una volta interrotto il suo amico, Louīs torno a risiedersi sul letto guardando i movimenti nervosi di Zen e dei suoi pensieri, che fluttuavano attorno alla sua magra figura.

«Sicuramente Elena lo saprà» borbottò arrossendo lievemente il moro, grattandosi la nuca e ridacchiando nervosamente. Non conosceva il nome della ragazza, e aveva avuto persino un appuntamento con lei.

«Non sai il suo nome, Zen?»

«Non è che non lo sappia... semplicemente mi è passato di mente e non gliel'ho chiesto» sospirò il ragazzo, poi alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi chiari del suo migliore amico, i quali studiavano attentamente la questione. Poco dopo, perfettamente in simbiosi l'uno con l'altro, si abbandonarono ad una fragorosa risata, lasciandosi trasportare da un'amicizia troppo forte per potersi spezzare con la distanza.

«Ma dov'è finito? "Sarò puntuale, lo giuro"» Hārry scimmiottò la voce di Louīs e non faceva altro che borbottare da dieci minuti, si guardava attorno nel bosco dal primo istante in cui si era appostato ai piedi di un albero per attendere Louīs. Si erano dati appuntamento la mattina stessa, quando si erano visti nell'agorà per caso, decidendo così di non perdersi di vista quella serata. Probabilmente avrebbero visto ancora una volta il tramonto insieme o, chi lo sa, qualcosa di meglio –no, non parlo dell'alba.

Hārry nell'ultimo periodo era tormentato da pensieri oscuri, aveva sempre saputo di appartenere ad un mondo fatto per metà di oscurità ma erano giorni ormai che il suo subconscio gli riportava alla mente sempre quel sogno dove quella ragazza diceva di essere sua sorella. Quella Macaria di cui non conosceva nulla se non il nome e lo sguardo. Lui non credeva a quel sogno ma, se quella ragazza gli era apparsa, un motivo doveva averlo. Aveva anche chiesto a sua madre se avesse avuto una sorella prima o dopo di lui e lei aveva negato. Le chiese inoltre se avesse sognato mai qualcosa di simile, ma ancora non era così. Agape non sapeva chi fosse Macaria, dall'unione di quale creatura era nata e, con un pizzico di gelosia in cuor suo, sperava che fosse venuta prima della sua conoscenza con Ade.

«Ci sono, eccomi!» sentì una voce affannata dietro di lui e si girò, lasciando che la sua vista fosse abbagliata da uno splendido ragazzo un po' stanco –la sua faccia raccontava tutto della sua giornata– che saliva la collina dove solitamente si incontravano, quella circondata dagli alberi che dava sulla città.

«Il Signore del Tempo!» lo schernì dolcemente il ragazzo dai capelli ricci prima di avvicinarsi e aiutarlo a salire quegli ultimi metri che rimanevano. Non appena si sedettero Louīs cominciò a parlare della sua giornata.

«Sono andato da Zen perché fra qualche giorno partirà con le truppe che cercheranno di conquistare Troia, volevo dargli un saluto degno della nostra longeva amicizia. Mentre parlavamo, però, mi ha chiesto un favore e dovuto passare dalla dimora di Elena –e quella ragazza non smette mai di parlare– per via del favore che mi aveva chiesto Zen, sono scappato appena ho potuto, scusa se ho fatto tardi» il più piccolo sussurrò l'ultima parte, abbassando lo sguardo. Harry scosse la testa, sospirando divertito prima di alzargli il volto e guardarlo negli occhi: gli interessava ogni attimo della vita di Louīs e voleva che stesse perennemente bene ma parlare velocemente e correre solo per vederlo non ne valeva la pena, si stancava inutilmente.

«Non serviva che tu ti affaticassi, resteremo qui tutta la serata, Eros» rise appena il riccio quando chiamò Louīs in quel modo. Adorava vederlo imbarazzato perché le sue gote si arrossavano e voleva farsi ancora più piccolo di quanto già non fosse. Hārry lo salutò finalmente ed ufficialmente, lasciando le sue labbra avvicinarsi per baciare il ragazzo di cui era tanto innamorato. La sua mente lo spronava a parlare con lui e a confessargli i suoi sogni e le sue insicurezze, come se una parte di sé sapesse con certezza che mai nessuno sarebbe riuscito a dividerli, neanche una pseudo sorella venuta in sogno.

Alla fine prese coraggio e glielo raccontò per filo e per segno. Aveva paura, non voleva che Louīs lo giudicasse e quest'ultimo aveva capito al volo le sue insicurezze e lo rassicurava con semplici carezze o incitamenti, così che lui continuasse il racconto. Quando arrivò la parte cruciale, quando finalmente prese coraggio e sputò un «Quella ragazza ha detto di esser mia sorella», il più piccolo rabbrividì. Louīs lo guardò intensamente negli occhi e abbassò lo sguardo un momento dopo lo sguardo titubante, aveva paura anche lui in quel momento. E quella paura gli avvolgeva come un velo nero, nascondendoli dal mondo per un istante.

«Sei sicuro? Voglio dire, non sono delle conclusioni azzardate?» Il tono dubbioso e incerto di Louīs terrorizzò maggiormente Hārry, il quale lo vedeva già scappare via dalle proprie braccia senza ritornare. E non poteva permetterlo, ma aveva ormai deciso di essere sincero con lui. Ma, quello che Hārry non sapeva, è che il tono di Louīs era confuso non per via di quello che gli aveva raccontato, ma per via di un sogno molto simile fatto da lui.

«Lou, sono sicuro. Si è presentata dicendo di esser figlia di Ade e Persefone, dicendo che nostro padre l'aveva inviata per lasciare che mi rendessi conto della sua esistenza. Ha detto di chiamarsi-»

«Macaria. Hārry, lo so, credo di aver fatto il tuo stesso sogno.»

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