6. υποφέρετε από έρωτα

patire l'eros.

Agape era una donna molto bella, molti pensavano fosse una ninfa poiché scorrazzava sempre nei meandri del fiume e ballava sempre a ritmo di una musica che udiva solo lei. Portava sempre una tunica bianca, fermata in vita da una cinta di velluto dorata e i capelli raccolti da un fermaglio con foglie di acanto, i piedi nudi che calpestavano il letto del fiume dove lavava i suoi capi... era perfetta. Ogni tanto cantava, mentre sfregava la stoffa fra le mani così da renderla pulita. Una donna alla quale nessun uomo riusciva a resistere; e anche nessun Dio. Sull'Olimpo si era parlato molto di lei. Di quella che portava il nome dell'amore tatuato sulla sua identità, quella ragazza libera e spensierata che con i suoi sorrisi illuminava le giornate di tutta Atene -e non solo. Eppure gli dei si erano promessi di non toccarla perché tutti ne volevano un assaggio e, per scongiurare una nuova guerra tra titani, decisero che nessuno l'avrebbe avuta. Ade fu l'unico a non riuscire a reprimere i propri istinti.

Il loro incontro avvenne nel buio della notte. Agape non se l'aspettava, nessuno poteva aspettarselo. Lei passeggiava nel bosco mentre ritornava a casa. I rami degli alberi erano illuminati dai raggi del sole notturno e questi riflettevano la luce sul viso candido della ragazza. Forse non avrebbe neanche dovuto trovarsi lì. All'insaputa di suo padre lei era fuggita dalla sua dimora per andare, con due etere e una sua compagna, a fare il bagno nel fiume, sotto le stelle. Dunque, dopo aver concluso la serata -o la nottata- con le sue amiche, si incamminò per il bosco per ritornare a casa. La luna era la sua consolazione nel buio, l'unica bussola che la guidava verso casa illuminandole il cammino. I raggi di luce si battevano con i rami degli alberi per poter raggiungere terra così che i piedi della ragazza potessero seguirli e tornare finalmente alla sua dimora, quando uno splendido fiore, baciato della luna che Artemide aveva portato in cielo, catturò la sua attenzione. E si avvicinò, si chinò e guardò il dono della natura che brillava sotto i suoi occhi.
Le sue dita lo accarezzarono e lì sentì il freddo dei petali fin dentro le ossa. Quel fiore l'aveva attratta a tal punto da farle dimenticare la sua meta. Dov'era la sua dimora? Non sapeva neanche se le interessava tornarci, forse. Avrebbe voluto costruire una casa nel bosco, lì avvolta dalla natura e da tutto ciò che gli dei potevano offrirle.

Dietro un albero, coperto dall'oscurità, c'era Ade che la osservava. Si era fermata per contemplare un giglio bianco, baciato dalla luce fredda della notte. E lui consultò mentalmente il linguaggio dei fiori e si ricordò il simbolo di quel particolare: la purezza. Era una vergine. Se ne innamorò. E si sa, quando ci si innamora, non lo si capisce al primo istante. È un processo lungo, pieno di incertezze, di domande al quale nessuno ha risposta. Sentiamo questo strano e potente affetto nei confronti di qualcuno e non riusciamo a comprendere quanto vada realmente oltre un semplice interesse. Un sentimento che riesce a conciliare in modo omogeneo la paura di essere amati con la brama di essere amati, la soglia tra sofferenza e eterna felicità.

Era una bella donna, Agape. Sull'Olimpo non facevano altro che parlare di lei, a quel tempo di ninfe e di altre splendide donne alle quali Zeus desiderava o si era già guadagnato. Non che le donne fossero un oggetto, solo... mortali e nonostante fosse sempre accaduto, era stato anche vietato avere rapporti con i mortali.

Ade promise a sé stesso che non le avrebbe mai fatto del male, era troppo bella per meritare il suo dolore eterno, la sua oscurità. Inoltre, lui aveva un matrimonio stabile con Persefone. E lì, nascosto nella notte, ondeggiò la mano in avanti e fece apparire, non lontano dal giglio bianco, un tulipano rosso segno di una dichiarazione d'amore. Sicuramente un matrimonio stabile, quello con la dea Persefone.

«Oh» la ragazza sospirò, notandolo subito per il colore in contrasto con la purezza del giglio. Quel fiore urlava passione da ogni poro, quel colore così vivo davanti ai suoi occhi accendeva in lei una curiosità di cui si rese conto il Dio, alle prime armi con una mortale. Non sapeva come comportarsi davanti a certe avance.

Il Dio, però, sentiva in sé sentimenti contrastanti, la paura di potersi rivelare e di poter spaventare la donna, di non potergli piacere e di poter essere rifiutato così, su due piedi. Non voleva vendicarsi, non ne avrebbe avuto il coraggio, non avrebbe mai potuto tagliare il filo della vita terrena di Agape poiché perdutamente innamorato di lei e per quanto proibito fosse, l'amava. Era da tempo ormai che la guardava e la osservava, l'aveva conosciuta in quelle che erano le sue passioni e abitudini. E l'avrebbe vista vivere, magari con qualcun altro al di fuori di sé, e non lo avrebbe sopportato. Così, senza che se ne rendesse conto, apparì il fiore dell'amore segreto, l'acacia. Ma, nonostante avesse paura di dimostrarlo era così, era vero, lui era sincero. Non poteva mentire a sé stesso, quella ragazza perseguitava i suoi pensieri e le sue notti, lui si era invaghito di lei. I suoi pensieri lasciarono che spuntassero dall'erba il myosotis, simbolo dell'amore vero, e la gardenia, allegoria della sincerità. Si formò una scia di fiori che portavano al Dio, che la ragazza inseguiva lentamente, accarezzando i petali di ogni singolo fiore e sentendoli sempre più freddi sotto le sue dita, li toccò uno ad uno senza estirparli dal suolo, senza che morissero, finché toccò un fiore che la fece sussultare. Agape gemette spaventata al contatto con i petali glaciali di quel fiore, così freddi da essere scottanti, così pungenti dal far sanguinare la sua pelle candida. L'ultimo fiore della scia era una rosa, una rosa nera.

Agape ritrasse la mano ancor prima di toccare i petali. Sapeva a cosa era riferito quel fiore e aveva paura di toccare i suoi petali come se potessero ucciderla. Non voleva morire, non poteva.

«Ade» sussurrò la ragazza, dopo aver preso una boccata di coraggio e aver guardato il fiore che l'aveva ferita. Lo sfiorò ancora una volta e Ade sentì i brividi percorrere la sua spina dorsale. Sì girò e la vide a poco meno di un metro di distanza da sé. Sgranò gli occhi e cercò di negare in ogni modo ma i suoi tratti scuri, il viso cupo e magro, il suo mantello dell'oscurità e il suo elmo portato fra le mani erano inconfondibili.

«Sono Apollo, sono il dio del Sole, e della poesia, e del- uhm... di cos'altro era Dio quello stolto-»

«Non credevo che un Dio avesse bisogno di nascondersi» sorrise dolcemente Agape ed incrociò le braccia sotto il seno, senza guastare di una piega la sua tunica. Lo guardò e scosse la testa, avvicinandosi. Lui indietreggiò, aveva paura di essere preso in giro, deriso da qualcuno inferiore –ma pur sempre qualcuno. Lei, in cambio, prese i lembi del cappuccio del mantello e scoprì il suo capo, illuminato anch'esso dai raggi della notte e da una luce divina propria degli dei nella loro reale forma. Agape pensava che fosse bellissimo.

«Non mi sto nascondendo» sussurrò il Dio molto lentamente, come se volesse tastare la situazione. Lei si guardò un attimo indietro e vide la scia di fiori vivida nel prato, i colori spiccavano ed erano ben visibili.

«Mi hai donato tu quei fiori?» chiese improvvisamente la splendida donna, guardando il buio negli occhi di Ade. Perché quegli occhi non possedevano altro che oscurità. E lui, abbassò per un attimo la testa ed annuì titubante. Agape si gettò tra le braccia di Ade come se fossero da sempre innamorati, perché forse era così.

Ebbene sì, perché la bellezza dell'amore è proprio la spontaneità. Forse c'era un filo indistruttibile e invisibile che li aveva legati fin dall'inizio ed era solo questione di tempo. Lei era grata di quelle attenzioni genuine, di quelle gesta da un Dio così temuto quanto importante.

«È stato un gesto piuttosto carino, come se tu-»

«Come se fossi innamorato di te?» sorrise per la prima volta Ade, abbagliando la donna che, ancor più felice, acconsentì a cadere per una notte negli Inferi con lui. E quella notte l'oltretomba non pianse, non si disperò. Perché anche per l'oscurità era arrivata l'ora di patire l'eros.

Dopo quella notte, Ade non poté rimanere un attimo di più con la sua amata Agape. Avevano consumato ogni singolo briciolo di eros quella notte, avevano raggiunto e assimilato le fiamme fino alle ceneri, dal quale la ragazza sperava potesse nascere nuovamente qualcosa, come una fenice. Non tutto quello che finisce, ha necessariamente una fine, pensò. Eppure Ade non poteva permetterlo, non poteva saltare i suoi doveri di Dio degli Inferi per piegarsi ad una freccia storta di un putto come il Dio Eros, era vietato. E non aveva intenzione di scatenare una guerra sull'Olimpo solo per una sciocca mortale, questo era quello che continuava a ripetersi per togliersela dalla testa. Cercava di sminuire ciò che ormai era stato fatto, i sentimenti che erano stati scoperti come carte sul tavolo, celandosi dietro un divieto che non aveva neanche approvato. Avrebbe potuto combattere, sì. Ma in quel momento sentiva che non ne valeva la pena, quindi abbandonò quel letto, senza voltarsi indietro. Agape rimase lì tra le coperte, dormiente e finalmente amata da qualcuno, senza però sapere che quel qualcuno non sarebbe più tornato, ma aveva lasciato in lei qualcosa di più grande: la vita. Perché Ade sarà pur stato un ingrato a lasciare una fanciulla da sola la sua prima notte, ma le aveva regalato una compagnia eterna: un figlio.

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