πρόκληση - Part 2

Quando giunsero davanti all'entrata degli Inferi Louīs e la sua fantasia ne rimasero piuttosto delusi. Avevano entrambi immaginato una grandissima e spaventosa entrata, temibile anche dai più grandi guerrieri, una di quelle che poteva sminuire anche l'ego di Achille stesso.

In realtà non era altro che una scala che portava ancora più in profondità, lasciando l'acqua del mare alle proprie spalle.

Una scala, sì. Nulla di eclatante, nulla che urlasse "uh, abbiate paura del posto dove risiedono in morti". Che bella delusione.

Edvarde aveva sempre sognato di far tappa negli Inferi ma anche lui fu annoiato dall'entrata in scena del nuovo mondo, quindi scocciato si appoggiò alla spalla di Ostrakon nello specchio e si limitò a sospirare.

«Aspettate, un attimo solo» la voce della sirena risuonò più chiara del previsto in quel momento. Infatti Agape guardò lo specchio curiosa, prima di incrociare lo sguardo di Louīs che aveva la sua stessa reazione: la voce non proveniva dallo specchio. Nel medesimo istante i due mortali si girarono, trovandosi davanti una creatura maestosa rispetto le normali dimensioni di un umano, con dei lunghi capelli biondi ramati che ricadevano sul seno nudo e sulle spalle ed una lunghissima coda.

Il ragazzo sgranò gli occhi prima di scrutarla per bene, pensando di star vivendo realmente un sogno senza fine e senza risveglio, prima che la voce soave della sirena distraesse completamente i suoi pensieri.

«Quello è il mio specchio. Erano anni che speravo di riaverlo, e adesso è qui nel mare, con me. Potrei riaverlo?» sorrise cordialmente, così gentile che il ragazzo dagli occhi blu stentava a credere che fosse lei. Ma era diverso abitare in uno specchio per più di cinquant'anni, perciò era più che normale esser scontrosi con il mondo. Porse lo specchio alla sirena, ammaliato da tanta bellezza e quasi riconsiderando il suo amore per Hārry stesso, quando si sentì i polmoni riempirsi di acqua.

Nelle mani della sirena lo specchio non aveva più effetti sugli umani, quindi a loro non rimaneva che affogare. La donna dalla pinna colorata fuggì ancor prima che potessero chiedere in qualche modo aiuto, ma fortunatamente Morfeo era lì, sempre presente all'entrata degli Inferi e sempre con un piede davanti all'altro nella speranza di un'occasione per fuggire via dalla tristezza.

Il Dio dei Sogni corse ancora una volta in soccorso del nuovo eroe, mandando una corrente d'acqua che spinse la donna e il giovane innamorato verso le scale, facendoli cadere giù per esse fino al buio più profondo.

Il buio. Era esattamente quello che rientrava nei canoni di spaventoso dell'immaginazione di Louīs. Perché quell'entrata era buia, fredda, troppo silenziosa e tranquilla. In lontananza si sentivano delle gocce d'acqua cadere sul pavimento, fruscii lontani di qualcosa di indefinito verso delle pareti vicine. Tutto era in prospettiva, i suoni rimbalzavano e sembrava come se la stanza intorno a loro si allargasse e si rimpicciolisse ogni secondo che passava.

Agape tentò di aggrapparsi a Louīs impaurita, riuscendo a prendergli il bicipite appena formato. Lo strinse forte visibilmente terrorizzata, infilando le unghie nella sua pelle tanta la paura. Il ragazzo sentì appena quello che doveva essere dolore, perché era più concentrato sul lavoro che i suoi sensi riuscivano a fare: cercava di captare ogni singolo segno di Hārry, che fosse lontano o vicino, aveva bisogno in tutti i modi di capire dove fosse.

Poi lo sentì. Quel suo odore di pulito, di poesie cantate sotto il loro albero preferito al tramonto, di quel vino versato in onore del loro amore, dei loro baci scambiati fino alle prime luci dell'alba. Era proprio quel suo profumo. Era Hārry.

Louīs si affrettò a prendere nella totale oscurità la mano di Agape, iniziando a correre in quella direzione dove i anche gli altri sensi iniziavano a percepire la presenza di Hārry stesso, come l'udito, che sentiva quella leggera voce roca nel silenzio, quel sapore delle labbra di Hārry che lo richiamavano anche a miglia e miglia di distanza. Se non fosse stato per il buio pesto era certo di poterlo anche vedere.

«Hārry, sono io, sono Louīs. Dove sei?» urlò, squarciando definitivamente tutta la tranquillità del posto.

Hārry era proprio lì, vicino a lui nell'oscurità, tentato di toccare la sua mano e scappare finalmente con lui, tentato di baciarlo come ripicca davanti alla presenza onnisciente del padre. Ma non poteva. Probabilmente era solo un'illusione, una prova del padre. Come altre che aveva dovuto affrontare. Non aveva dimenticato che quel ragazzo si era totalmente dimenticato di lui, altrimenti sarebbe venuto prima.

«Non mi sono dimenticato di te, Eros mio. Non ho fatto altro che pensare a te ogni secondo della mia vita da quando non ci sei più, non riesco più a dormire la notte senza avere la certezza di averti nel mio giorno seguente. Torna da me, Hārry, ti prego».

Quelle parole suonavano così reali per Hārry ma no, non poteva cascarci, non poteva deludere suo padre e dimostrargli di essere uno stupido debole. Doveva esser forte, doveva farsi vedere invincibile anche davanti all'amore.

«Non posso più andare avanti così, Hārry. Non ho più forza nelle braccia, nelle gambe. Non ho più ciò di cui avevo più bisogno, dopo che sei andato via: il tuo amore. Non so cosa diavolo fare, mi sono innamorato di te, ti amo, Hārry.» Non credeva neanche di aver pronunciato quelle parole ma aveva perso totalmente le speranze, era l'ultima carta da giocare, nella speranza che nel cuore ghiacciato da Ade fosse rimasta quella parte di amore pulsante.

In un attimo il buio fu inondato da una luce insopportabile per degli occhi abituati allo scuro del luogo, accecando i due mortali che si erano intrufolati in quel mondo di spiriti tristi.

Erano nella sala principale, dove alloggiava Ade seduto sul suo possente trono, totalmente fiero di esser seduto su di esso, con il suo elmo poggiato sul bracciolo sinistro della poltrona regale. Al suo fianco c'era Hārry con le mani sulle orecchie e gli occhi serrati, in posizione accovacciata ed impaurita.

Quando Louīs lo vide in quello stato urlò il suo nome in preda al panico, sentendosi artefice di quel ragazzo troppo impaurito ed insicuro di sé per poter essere figlio di Ade, Padrone degli Inferi. I ricci ricadevano sul volto di Hārry senza nessuna figura astratta o comunque piacevole da vedere, caduti a peso morto sfiniti sulla fronte imperlata di sudore e panico.

«Louīs, ci rincontriamo» esordì Ade e alle sue parole possenti e forti le pareti tremarono, «Ho detto ad Hārry che avevi trovato qualcun altro di più importante, adesso mi rovini il piano, no!» inscenò una frase impaurita, ridendo alla fine prima di spostare lo sguardo verso l'accompagnatrice di Louīs, la quale lo fece realmente spaventare. La sua schiena divina fu scossa da mille brividi, il suo cuore battente da ormai mille e mille anni aveva perso un battito.

Agape era proprio lì, con uno sguardo misto tra il triste e l'impaurito, che lo fissava dritto negli occhi. Lo trovava ancora bellissimo come una volta, lei ne era ancora perdutamente innamorata ma cercava di tradire il suo stesso cuore rifiutando quei sentimenti.

Nella stessa maniera la guardava Ade. Aveva paura anche solo della presenza della mortale, sapeva che in sua presenza non avrebbe dato il meglio di sé e della sua cattiveria, sciolto sotto lo sguardo della donna. Ma cercò di ignorarlo, guardando suo figlio.

«Hārry non c'è stato giorno in cui la mia mente ha tradito il tuo viso o il tuo ricordo. Eri sempre lì, fisso, e la voglia di incontrarti superava anche la voglia di respirare. Credimi, per favore» quasi si inginocchiò Louīs, alzando di più la voce totalmente convinto delle sue parole, sperando che il messaggio raggiungesse anche il ragazzo dai capelli ricci racchiuso a riccio sulla poltroncina al lato del trono reale.

«Non è vero» mormorò Hārry, ma nessuno a parte Ade riuscì ad udirlo.

«Hārry figlio mio, l'Ade è così interessante e splendido che non hai più voglia di assaporare la libertà? Il buio è di gran lunga migliore del sole? L'odore di cadavere è più piacevole del profumo di primavera? Preferisci udire le urla dei dannati piuttosto che le parole dolci delle persone che ti amano di più al mondo? Prediligi il sapore amaro della morte alle labbra del tuo amato? Qui tutto ciò che tocchi con mano è freddo, ruvido, pronto a farti del male.»

«Non è vero!» urlò Hārry e le sue corde vocali squarciarono la quiete, movendo le anime dannate nelle altre zone degli Inferi. Quella voce così roca, quel tono così basso. Aveva un sacco di dolore in corpo e nessuno era lì per aiutarlo. «Smettila di dire questo, madre! Smettila di dire che lui è il mio amato, quando Ade mi ha rivelato la verità: lui non mi ama. Il suo edonismo smisurato, non fa altro che aspirare solo al mio corpo, e non alla mia anima.»

«E così Ade è capace di tanta cattiveria» parlò incredula la donna, rispondendo al suo bambino, prima di avanzare verso il trono. Ade non si azzardava a proferire parola, sapeva che qualsiasi cosa avesse detto le parole in risposta di Agape sarebbero state più taglienti della lama della spada di Louīs.

«Un Dio che ha dato amore ed è scappato dalla paura, timoroso di affrontare genuini sentimenti, adesso inculca a suo figlio quello che di più brutto c'è da trasmettere? Davvero tu, figlio di Crono, vuoi infondere a tuo figlio l'odio verso la persona che più ama al mondo? Questo mi fa pensare che anche tu odi la donna che hai amato, così tanto da abbandonarla con il tuo stesso bambino in grembo. Ho dovuto dare alla luce Hārry di notte, aiutata solo da Zeus e gli altri Dei dell'Olimpo, per partorire tuo figlio. E tu non eri al mio fianco. Sarai anche il Dio degli Inferi, ma questo non ti giustifica nell'essere profondamente perfido. Il tuo cuore è ricolmo di odio verso una parete nera, che assorbe la luce dell'amore. Non ho mai negato il mio amore per te a nessuno, dovresti saperlo. Non c'era nulla di cui aver paura, eppure mi hai abbandonato, mi hai sottratto mio figlio e l'hai reso un mostro come te»

«Mio padre non è-»

«Ti ho amato dal primo istante in cui i miei occhi hanno guardato il tuo viso. Sai che ho fatto di tutto per notarmi finché non abbiamo passato la notte più bella delle nostre vite eterne e non. Ma io non sono Dio da amare, non sono mio fratello Zeus e non sono uno dell'Olimpo, io sono qui rigettato nell'Ade ad accogliere anime in pena che speravano nella vita eterna felice ed ora non fanno altro che bestemmiare. Brutte parole rivolte a tutto ciò che hanno passato e al numero infinito di giorni che passeranno qui con me. Nessuno mi ama, non pretendevo che lo facessi anche tu. E potrò esser un mostro, ma mio figlio merita di scoprire la vera origine dell'odio dalle mie parole, dalla mia sofferenza. Spero che cresca indifferente, così che non subisca il mio stesso male».


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Continua...

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