3 - 💼Sandro Verri💼

Presente

Quella sera sfrecciavo ai novanta attraverso i grattacieli illuminati di Minneapolis, con il solo desiderio di rintanarmi nel mio appartamento fino al giorno seguente.

La buona notizia era che avevo avuto qualcosa di nuovo da dire al mio psicoterapeuta, la cattiva era che secondo lui non avrei dovuto accettare.

Dal suo punto di vista, quel caso mi avrebbe portato al collasso.

Ma dal suo punto di vista avrei pure dovuto mollare quel lavoro e darmi ad altro - improponibile - quindi la questione era caduta nel dimenticatoio.

Il colloquio con Sandro Verri, che aveva preso l'aereo nell'esatto momento in cui avevamo accettato il caso, era stato organizzato per domattina.

Mi sentivo come un leone in gabbia; detestavo la situazione in cui mi trovavo, ma non vedevo altra soluzione che tirare fuori gli artigli e combattere.

Se Sandro Verri era davvero disposto a pagare quanto pattuito, avrei fatto di tutto per rappresentarlo in quel caso.

La posta in gioco era troppo alta: lo studio legale Mason era il mio futuro, nonché l'unica fonte di sostentamento di un mucchio di brave persone che conoscevo sin da quando ero un ragazzino.

Il pensiero di lasciare in strada anche solo uno di loro mi faceva stare male.

Parcheggiai l'auto nel garage e mi avviai verso le scale perso nei miei pensieri.

E se mi presentassi da lui con una Verri?

Magari così avrei camuffato il fatto che, a discapito di quanto la società si aspettasse da un uomo eterosessuale di trent'anni, di auto ne capivo quanto un pinguino potesse capirne di cactus.

No, sembrerei solo ruffiano.

Sbuffai e iniziai a salire le scale che portavano al mio appartamento.

A causa di un assurdo incidente di qualche giorno prima, la gamba destra mi doleva leggermente, ma comunque non presi l'ascensore.

Avevo dovuto annullare la mia iscrizione in palestra per mancanza di tempo, ma non volevo perdere la forma.

Sette rampe di corsa, due gradini alla volta, due volte al giorno, erano diventate una buona alternativa.

Un minuto e qualcosa ed ero su.

Oltre l'ingresso, la mia adorata casa mi attendeva, calda e piacevolmente buia. Doveva essere passata la signora delle pulizie perché nell'aria aleggiava un delicato profumo di lavanda.


Mi avvicinai al mazzo di fiori di vetro che tenevo sul tavolino davanti al sofà e li annusai: il profumo veniva da lì e con quello c'era anche un post-it.

Sorrisi e mi fiondai sulla maniglia del frigo.

Anche se non avevo fame, la cucina di Nat riusciva sempre a farmi venire l'acquolina in bocca. Il tesoro nascosto nel contenitore ermetico si rivelò essere una lasagna.

Sospirai mentre la infilavo in microonde.

L'Italia mi perseguita.

***

La mattina seguente la tensione mi portò in ufficio due ore in anticipo rispetto al colloquio. Il che significava che avevo dormito troppo poco e che ero solo come un idiota, alle sei del mattino, davanti alla porta dello studio legale.

Senza chiavi.

La signora Gòmez, una delle impiegate della ditta di pulizie che era lì dall'alba, ebbe la pietà di notarmi e farmi entrare.

La ringraziai, con la composta cordialità che dedicavo a chiunque non fosse mia sorella o il mio terapeuta.

Lei mi sorrise accomodante e si offrì di farmi un caffè.

«Solo se lo beve insieme a me.» accettai, allungandole qualche moneta per entrambi.

Fuori c'erano dieci gradi e dentro lo studio non si stava molto meglio. Per risparmiare, mio padre impediva agli impiegati di accendere il riscaldamento prima delle sette. Non era nel suo stile tenere a mente che c'erano persone ultracinquantenni che per arrotondare andavano ogni mattina a pulire le sue latrine.

Per lui valevano troppo poco.

Mentre la signora Gòmez andava a fare il caffè, accesi il portatile e ripresi in mano i file con le informazioni principali sulla famiglia Verri e la loro attività.

L'azienda era stata fondata negli anni Sessanta dal padre di Sandro Verri, Vincenzo, e in pochi anni era diventata la punta di diamante dell'industria automobilistica italiana.

Sandro era subentrato al padre negli anni Novanta e da allora non aveva fatto altro che centuplicare il valore dell'azienda.

Chiara Nebula Verri era nata nel 1996 da Sandro Verri e sua moglie, Veronica Castelli, una ex modella.

I due avevano divorziato nel 2001 e da allora Veronica Castelli era sparita dai riflettori.

Sandro non si era risposato.

Tornai in cima all'articolo e rimasi con lo sguardo fisso sul nome di Chiara Nebula Verri, prendendo lentamente consapevolezza del fatto che proprio lei sarebbe stata il mio ostacolo principale.

Se si fosse dimostrata abbastanza malleabile, forse sarei riuscito a farle rinunciare all'eredità e raggiungere il risultato sperato in tempo record.

Dopotutto, da quello che mi risultava era scappata di casa in un capriccio del momento, senza aver dato alcun tipo di segnale prima; esplosioni simili erano spesso e volentieri fuochi di paglia che si estinguevano in poche settimane.

In caso contrario, tutto sarebbe dipeso dal suo legale e dalla sua personale astuzia.

Avrei dovuto organizzare una visita conoscitiva al più presto.

La signora Gòmez interruppe i miei pensieri posando un bicchierino di plastica fumante sulla mia scrivania. Le feci segno di accomodarsi e fui felice di vedere che anche lei aveva una cioccolata calda.

«Ha ancora molto da fare?» le chiesi.

Lei guardò l'orologio appeso alla parete. «Ancora un'oretta. Il tempo di finire i bagni.» Mi sorrise.

Osservai le sue dita deformate dall'artrite arrotolarsi intorno al bicchiere caldo e il senso di colpa mi artigliò fino al cuore. «Come stanno le mani?»

Lei mi rivolse uno sguardo confuso, ma poi sgranò gli occhi.

«Oh, non benissimo, ma posso continuare a lavorare, non è un problema! Non deve preoccuparsi, signor Mason», rispose trafelata, facendo allargare il senso di vuoto che provavo.

«Questo lavoro mi serve», continuò, supplicante. «Mio marito si è infortunato sul lavoro e non può più lavorare. L'assicurazione non basta a coprire le spese mediche e...»

«Lo so.» Poggiai una mano su una delle sue. «Non intendo licenziarla.»

Lei si portò l'altra mano alla bocca, come per nascondere il sollievo, e annuì.

Ingurgitai il caffè bollente in un colpo solo, ustionandomi dalla lingua allo stomaco, e saltai in piedi. «Che ne dice, accendiamo il riscaldamento?»

***

Sandro Verri arrivò ai piedi del palazzo dello studio legale con due limousine lunghe quanto il mio appartamento.

Cosa se ne facesse un uomo solo di due auto lo capii nell'esatto momento in cui lui mise un piede a terra e una massa informe di guardie del corpo e giornalisti gli si avviluppò intorno.

Mi irrigidii davanti agli obiettivi e lanciai uno sguardo a mio padre, che con me e metà dello studio era sceso in strada a dare il benvenuto al nostro esimio cliente.

Lui non mi notò.

Guardava fisso il multimiliardario, con in volto il sorriso trionfante di chi aveva chiuso l'affare della propria vita.

Le mani iniziarono a sudarmi e un principio di tachicardia mi chiuse l'aria nei polmoni. Fortunatamente, non ebbi il tempo di pensare troppo a quello che stava accadendo.

«Benvenuto!» La voce di mio padre in un italiano stentato mi riporto dritto al presente.

Mio padre e Verri si salutarono con una stretta di mano tanto salda da sbiancare loro le nocche. Il secondo si tolse gli occhiali da sole firmati e sorrise alle macchine fotografiche.

Sembrava un incontro tra vertici del governo in mezzo alla strada.

Sandro Verri era come nelle foto, solo con qualche segno della vecchiaia in più. Basso e corpulento, con i - pochi - capelli brizzolati pettinati all'indietro e occhi tanto celesti da fare impressione.

Indossava un completo appariscente, di un blu cangiante che virava al viola nei punti in cui la luce la colpiva direttamente.

Il famoso blu Verri.

Sul petto teneva appuntata una spilla in argento con il simbolo della sua azienda: una cometa stilizzata il cui tragitto formava una V.

Quando giunse il mio turno di salutarlo, impressi quanta più sicurezza possibile nel mio sguardo e nella mia stretta di mano.

«Alexander Mason», mi salutò, rimettendosi gli occhiali da sole. «Ho saputo che sei tra i più giovani e i più brillanti avvocati del Minnesota, mi aspetto grandi cose.»

«Sarà un piacere assisterla, signor Verri.»

Verri esplose in una risata fragorosa, dandomi una pacca sulla spalla. «Mi piace questo spirito, giovane.» Mi artigliò dove la sua mano si era appoggiata e mi strattonò al suo fianco, in favore dei paparazzi. I flash ci investirono e per un attimo non vidi più nulla. «Gli ultimi non sono stati dello stesso parere», sibilò al mio orecchio, mentre ero ancora troppo scombussolato per ritrarmi.

Mi lasciò andare e si diresse all'interno spavaldo, come se lo stabile fosse una sua proprietà. «Allora, chi mi porta un caffè? Uno serio, non quello schifo delle macchinette.»

Io rimasi qualche istante a fissarlo, domandandomi in cosa diavolo mi fossi cacciato, ma bastò un'occhiata di mio padre a rimettermi in riga.

Mi avviai verso l'ingresso e lui subito mi affiancò. «Ti sta testando. Non farti mettere i piedi in testa. Mi raccomando.» sussurrò, prima di voltarsi radioso verso la stampa. «Signori, siete pregati di attendere fuori. Sono certo che alla fine del colloquio l'avvocato Mason sarà felice di rispondere alle vostre domande, per il momento chiedete pure a me.»

Io feci finta di non notare quello che aveva appena detto e mi infilai in ascensore con Verri e due delle sue guardie del corpo.

«Non vedo l'ora di andarmene da questo posto polvero- Ah, ecco il mio avvocatino!» Tuonò l'imprenditore. «Portaci allo studio, su.»

Ebbi l'impulso di uscire dall'ascensore e andarmene, ma non lo assecondai.

Premetti il tasto del piano e mi voltai per guardarlo negli occhi.

Lui mi rivolse un sorriso a trentadue denti, che evaporò insieme alla sua aria boriosa nell'istante in cui le porte dell'ascensore furono chiuse.

«Con tutto il rispetto, signor Verri.» Cominciai, non lasciandomi intimidire dal suo improvviso cambio di atteggiamento. «In quanto suo avvocato, ritengo necessario chiarire sin da subito che vorrò essere avvisato dei prossimi eventuali coinvolgimenti della stampa.»

«Non mi sembra di averti ancora assunto, avvocatino», mi ammonì, in una gara di sguardi che aveva tutta l'aria di essere l'unica parte importante di tutto il colloquio.

«Ha ragione. Ma come ha detto lei, sono il migliore avvocato dello stato» E questa volta enfatizzai la parola per essere sicuro che capisse il concetto. Poteva avere tutti i soldi di questo mondo, ma questi non gli davano il permesso di sminuirmi. «E per ottenere la sua eredità ha bisogno di me e del team di mio padre.»

«Per chi mi hai preso, Mason? Per un poveraccio?» Mi congelò con il suo sguardo. «Non m'importa un diavolo della baracca nei boschi di mia madre o dei suoi spicci.»

Sollevai un sopracciglio. «E allora di cosa?»

«Mia figlia. La rivoglio, Mason. Non me ne faccio un cazzo di un bravo avvocato; mi serve un avvoltoio, un uomo com abbastanza palle da farla tornare a casa con la coda tra le gambe», mi squadrò da capo a piedi. «Sei quello che cerco o no?»

No.

Ma potevo esserlo.

«Ci servirà la stampa.»

Verri si lasciò sfuggire un ghigno. «Vedo che capisci in fretta, avvocato. Allora abbiamo un accordo.»

***

Finito il colloquio con Verri dovetti rifugiarmi in bagno per riprendere fiato.

Quell'uomo era una iena.

Per un attimo pensai a sua figlia e a quanto danno avrei dovuto arrecarle.

Davvero ero disposto a cadere così in basso?

Chinai la testa nel lavandino e mi bagnai il volto con un getto d'acqua fredda.

Sì, lo ero.

Lei era solo una ragazzina viziata, scappata all'estero per un capriccio perché era ricca abbastanza da poterselo permettere. Si meritava una lezione.

Dovevo solo continuare a ripetermelo e alla fine ci avrei creduto.

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