1 - 💼Eredità a sorpresa💼(pt.2)

Presente

Allo studio legale Mason era l'inferno.

Avvocati che sbattevano la testa sulla scrivania, segretari che sbraitavano al telefono, addetti alle pulizie che si scannavano nei bagni, gente che si alzava, gente che si sedeva, gente che correva nei corridoi con un caffè per mano e un tic per occhio.

E poi c'ero io, che rientravo nella categoria di quelli con le mani nei capelli e lo sguardo fisso nel vuoto.

«Alexander?» mi chiamò il mio capo, nonché mio padre. «Non ho tutta la mattina. Le lettere di licenziamento sono già pronte.» Mi sventolò davanti al naso un preoccupante plico di fogli. «Che facciamo?»

Lo guardai senza la minima idea di cosa rispondergli.

Ero combattuto.

Quando quella mattina aveva preteso un colloquio solo io e lui, tutto mi sarei aspettato che l'annuncio della fine dello studio legale di famiglia.

Eravamo in perdita da un anno e la situazione stava andando a rotoli sempre più un fretta. Continuando così, avremmo chiuso.

Ci erano rimaste poche alternative: accettare un caso grosso, che avrebbe attirato clientela e prosciugato tutto il mio tempo libero, o tagliare il personale in tronco.

Lo sguardo mi cadde sulla scrivania, dove mia madre mi sorrideva beata da dentro una cornice di legno scuro.

Poi scivolò oltre le vetrate del mio ufficio, sulla mandria impazzita di colleghi.

Al diavolo.

Raddrizzai la schiena e finsi di essermi solo fermato a riflettere. «Caso grosso.»

Non c'erano alternative.

Perdere il sonno era un prezzo che potevo pagare.

Il mio psichiatra non sarebbe stato d'accordo con questa conclusione, ma ci avrei pensato più tardi.

«Ottimo», fece mio padre, stoico.

C'erano due cose che quell'uomo aveva ereditato da mio nonno e che a me mancavano: la proprietà dello studio legale e un'incomprensibile imperturbabilità.

Lui non si scomponeva davanti a nulla, preferiva lasciare agli altri questa incombenza.

Da qui le grida animalesche che arrivavano dal corridoio.

«Quindi Verri lo affido a te», concluse.

Processai quello che aveva detto con un istante di ritardo e strabuzzai gli occhi. «Verri?»

Quel Verri?

Mio padre afferrò il mio portatile e lo girò verso di sé, digitò qualcosa e lo raddrizzò di nuovo.

Il motore di ricerca era aperto su quella che sembrava la testata di un giornale straniero, ma per mia fortuna la pagina era già stata tradotta.

Più leggevo l'articolo, più il mio sopracciglio destro si sollevava.

A quanto pareva, la figlia di Sandro Verri, CEO dell'omonima casa automobilistica italiana, aveva ricevuto in eredità una casa qui, nel Minnesota, e aveva ben pensato di contattare l'esecutore testamentario e trasferirsi senza avvisare nessuno.

Ovviamente i giornali si stavano sperticando nel cercare di far passare la notizia come l'ennesima crepa nel colosso che era sempre stata la famiglia Verri.

Prima il divorzio con la moglie e poi questo bisticcio con la figlia: secondo chi aveva scritto quell'articolo, Sandro Verri stava iniziando a perdere sempre più colpi.

Che sia la fine della casata Verri? Si domandavano.

Non avrei saputo rispondere; non mi importava.

Presi atto della vicenda senza neppure provare a formulare una mia idea al riguardo. Non volevo irritarmi per nulla.

C'era gente che credeva di poter fare qualsiasi cosa solo perché ricca da fare schifo.

Diedi giusto un'occhiata all'immagine che accompagnava l'articolo.

Sandro lo riconoscevo, non era raro vederlo sui giornali. Era un uomo dallo sguardo severo, con quella punta di boria tipica da miliardario e il ghigno di chi teneva in pugno così tanti azionari da perderne il conto.

Sua figlia, invece, ero certo di non averla mai vista. Eppure, per qualche motivo, non mi era nuova. Quel viso giovanile e quegli occhi scuri mi erano familiari.

Forse era solo un'impressione.

Mio padre rigirò il portatile verso di sé. «Sandro Verri ha ingaggiato il nostro studio per fare causa alla figlia. Vuole invalidare il testamento redatto da sua madre. Ha già qualche prova a suo favore: la donna faceva uso di antidepressivi, nell'ultimo periodo era poco presente a se stessa e altro di cui parleremo...» Spiegò frettoloso. «Gli ho promesso che l'avrebbe rappresentato il migliore dei nostri avvocati.»

«Non c'è una qualche celebrità che ha voglia di divorziare, piuttosto?» Tentai.

«In Minnesota?»

«Impugnare un testamento non è una cosa semplice da fare», sottolineai, sperando che mio padre cogliesse il sottinteso.

Un processo del genere sarebbe potuto durare mesi, se non anni interi. Per non parlare del fatto che il cliente era Sandro Verri, che tutti sapevano essere l'uomo meno flessibile del pianeta.

Non si poteva fare.

«Te lo sei scelto tu il caso grosso», mi lapidò. «La metà di loro», continuò, indicando lo sciame impazzito di persone che affollava lo studio, «conta su di te, Alexander. Dimostraci che sei il mio degno successore.»

Tradotto: fallisci e io licenzio chi mi pare e lo studio, se per miracolo sopravvive al fallimento, lo eredita qualcun altro.

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