2 - VISIONI -


- Capitolo due -

Visioni

Entro in aula senza bussare, come mio solito.

Il professor Sherman si volta verso di me, il gessetto tra le dita, gli occhiali rossi troppo bassi sul naso.

Mi guarda con un'aria di disapprovazione per il ritardo e sospira.

<< Nevena Whiteoak Felton, sei in ritardo >> dice calmo.

Io rimango ferma sulla porta senza sapere bene cosa dire. Non ho scuse.

O meglio, una scusa l'avrei, ma non posso certo dire al mio professore di storia di essere entrata in una specie di stato di trance in cui una voce nella mia testa mi diceva di stare attenta ad un uomo che non conosco e che probabilmente non esiste visto in un sogno in cui andavo a fuoco.

<< Lo so, mi dispiace >> dico alla fine.

Lui sospira e scuote la testa mentre con la mano mi indica un posto libero in fondo all'aula.

Io lo ringrazio e con gli occhi di tutti puntati addosso, mi dirigo verso il mio posto. Appoggio libro e astuccio sul banco e lentamente mi siedo, cercando di prestare attenzione alla lezione.

Il professor Sherman si volta verso la lavagna e ritorna a scrivere qualcosa che la mia entrata in classe aveva precedentemente interrotto.

Apro il mio quaderno, recupero una penna blu e comincio con lo scrivere in alto a destra la data di oggi.

5 Ottobre 2014.

Mancano solo sei giorni al mio diciottesimo compleanno. Onestamente non ho mai pensato a come sarebbe stato avere diciotto anni, essere indipendente, anche se non abbastanza per entrare in determinati locali o per bere alcolici. I miei genitori hanno sempre aspettato con grande trepidazione i miei diciotto anni, e anche io, in un certo senso.

Li ho sempre attesi con una certa ansia e trepidazione, perchè sapevo che il giorno del mio diciottesimo compleanno avrei ricevuto delle risposte.

Risposte riguardanti il mio passato, un passato che non ricordo e di cui ho solo pochi frammenti impressi nella memoria.

Non mi è mai stato nascosto il fatto di essere stata adottata, d'altronde porto due cognomi, di cui uno è quello della mia famiglia di origine. Però non mi sono mai interessata della mia famiglia, non ho mai avuto la voglia e la curiosità di andare alla ricerca di persone che potrebbero essere imparentate con me. Ma crescendo, ne ho come sentito l'esigenza, l'esigenza di conoscere qualcosa della Nevena prima di essere adottata dai Felton.

<< Oggi, parleremo innanzitutto di un progetto molto importante che il corpo docenti della scuola ha deciso di realizzare >> inizia a parlare il professore Sherman. La sua voce è calma, lenta e risoluta.

Alzo lo sguardo e vedo che sulla lavagna c'è il nome della nostra cittadina: Chelsea.

<< Come penso sappiate, Chelsea quest'anno festeggia i 390 anni della sua fondazione. Ed è per questo che il corpo insegnanti ha deciso di incentrare parte del corso di storia, sulla fondazione e sullo sviluppo della nostra città >>.

Sapevo dell'anniversario, ma non avevo idea di questa trovata del corpo insegnanti, che molto probabilmente è stato fortemente voluto dal sindaco e dagli eredi delle famiglie fondatrici della città.

<< Lo scopo di questo progetto è conoscere, comprendere e analizzare la storia dei luoghi e delle persone che hanno vissuto in questa città e che l'hanno resa tale. Ma, per rendere questa ricerca ancora più personale, abbiamo pensato che ognuno di voi dovrebbe presentare una ricerca da qui a due settimane, sulla storia della propria famiglia >>.

L'annuncio del professor Sherman attira la mia attenzione. Cosa potrebbero mai centrare le famiglie degli studenti con la fondazione di Chelsea?

<< Crediamo che conoscere la storia della propria famiglia possa essere qualcosa di molto importante e costruttivo. E poi chissà, magari potreste scoprire segreti, vicende e altri fatti che nemmeno voi sapete appartengano al vostro nome >> il professor Sherman sembra entusiasta del progetto assegnatoci, ma ancora non mi so spiegare cosa centri questo con l'anniversario della nostra città.

Incomincio a pensare a quante ricerche dovrò fare per venire a conoscenza delle origini della mia famiglia. Ed è in quel momento che mi assale un dubbio.

Alzo la mano.

<< Si, Nevena? >>

<< Su quale famiglia dovrebbe concentrarsi la mia ricerca? >> domando al solo scopo informativo.

Alcune persone si voltano, non capendo a cosa io mi stia riferendo. Probabilmente molti di loro non sanno che sono stata adottata e spiegano i due cognomi come l'unione di quello di entrambi i miei genitori.

Fortunatamente per me, il professor Sherman conosce la mia storia e sa a cosa io mi stia riferendo.

<< Scegli tu, Nevena. Anche se credo sarebbe interessante conoscere la storia di una parte di te che non ti è familiare >>. La sua risposta è semplice e diretta quanto basta per farmi decidere.

Incentrerò la mia ricerca sulla famiglia Whiteoak.

L'unico problema è che non ne so assolutamente nulla al riguardo. E non so da dove cominciare.



Sono seduta a gambe incrociate sul letto di Major. Il suo laptop mostra la pagina iniziale di Google. Mi mordo un labbro cercando di pensare a cosa cercare per primo.

Cosa dovrei inserire nella barra di ricerca? Ci sono così tante cose che non so di me. Anche se qualcosa i miei genitori mi hanno accennato nel corso degli anni.

Per esempio il fatto che io sia nata in Bulgaria.

Istintivamente digito il mio nome nella barra di ricerca e premo "invio".

Spuntano fuori diversi risultati.

Clicco su uno dei primi, in cui viene spiegato il significato del nome Nevena.

Accanto alla traslitterazione in inglese, c'è il suo corrispettivo in cirillico. Ora sono sicura che le parole della voce nella mia testa fossero in bulgaro.

Scopro che Nevena è un nome di origine slava, derivato dalla parola neven che significa "calendula".

<< Dunque il mio nome è quello di un fiore >> dico tra me e me a voce alta.

Non pensavo che Nevena fosse il nome di un fiore, anzi, ho sempre pensato che avesse un significato molto più forte, duro.

<< Calendula Whiteoak Felton >> provo a ripetere più volte a voce alta, per cercare di capire come suona. Storgo il naso. << No, decisamente meglio in bulgaro >> mi rispondo da sola.

<< Che cosa è meglio in bulgaro? >> Major entra nella stanza con addosso solo un asciugamano avvolto in vita.

Dopo la scuola è andato a correre come suo solito, mentre io cercavo di cominciare una ricerca sulle origini dei Whiteoak.

Major si siede accanto a me, dandomi un bacio sulla spalla.

Io gli sorrido e gli indico lo schermo del pc.

<< Il professor Sherman ci ha parlato di un progetto sulla nascita della città. E come compito extra ci ha assegnato una ricerca sulla storia della nostra famiglia. Io devo trovare più informazioni possibili sulla mia famiglia di origine >> gli spiego.

Lui annuisce e scruta attento lo schermo.

<< Si ma cosa centra l'origine del tuo nome? >> mi domanda.

Io scrollo le spalle.

<< Non so molto delle mie origini, anche se i miei genitori non mi hanno mai nascosto il fatto di essere stata adottata. E mi hanno anche promesso che mi avrebbero spiegato di più sul mio passato quando avrei compiuto diciotto anni >> gli dico. << Però attualmente di me non so molto. E una delle poche cose che so è che sono nata in Bulgaria e dunque ho pensato che il mio nome fosse bulgaro >> traggo le mie conclusioni e lui sembra afferrarle. I suoi occhi scorrono lungo la pagina e recepiscono ogni informazione.

<< Ti chiami come un fiore >> mi sorride lui, il tono di voce quasi sorpreso.

<< Anche io non pensavo significasse "calendula" >> rispondo.

Lui mi sorride ma poi si fa più serio.

<< Ok, ma il tuo cognome è Whiteoak >>

Io annuisco, sapendo benissimo dove vuole andare a parare.

<< E Whiteoak non è sicuramente un cognome bulgaro, lo so >> rispondo prima che possa farlo lui << ma ero comunque curiosa di sapere cosa significasse il mio nome. Insomma, è una delle poche cose che so di me >>.

Major annuisce e mi prende una mano nella sua, stringendola.

<< Non posso nemmeno immaginare quanto debba essere strano non sapere chi si è >> mi confida lui.

Io mi volto, i miei occhi incatenati ai suoi. E' così bello poter parlare apertamente con lui. Non ho mai avuto qualcuno, al di fuori della mia famiglia, con cui confidarmi. E Major è l'unico che fino ad ora ha saputo darmi quella sicurezza e quell'amore di cui avevo bisogno.

<< Sono pronta a scoprirlo >>

Major mi sorride incoraggiante, poi si alza, recupera dei vestiti puliti dall'armadio e ritorna in bagno per cambiarsi.

Lo guardo scomparire dietro la porta di legno bianco, poi cancello "Nevena significato" dalla barra di ricerca di Google e ci inserisco il mio cognome.

Tra i primi risultati che saltano fuori c'è una foto di una quercia bianca.

Le mie dita si bloccano sulla tastiera. Fisso la miniatura di quell'immagine cercando di dare un senso a tutti gli eventi che si sono susseguiti da questa notte.

Non può essere che sia una semplice coincidenza sognare una quercia in fiamme che rimane incolume dal fuoco, svegliarsi e trovare una foglia di quercia ai piedi del letto, un'altra poche ore dopo nell'armadietto della scuola e successivamente venire a sapere che la mia famiglia è in qualche modo legata a quest'albero.

Pensandoci bene, letteralmente il mio cognome significa "quercia bianca". Dunque la quercia potrebbe essere una sorta di simbolo di famiglia.

Ma tutto questo non spiega il sogno e le foglie che ho trovato.

Mi sta girando la testa per l'assurdità della situazione. Istintivamente chiudo il laptop e decido di lasciar perdere i Whiteoak, almeno per le prossime due ore.



Major ed io scendiamo dalla macchina e veniamo investiti da una forte folata di vento. Mi avvolgo un po' più stretta nel giacchetto di pelle tentando di scaldarmi.

<< Cavoli che freddo! >> esclama Major chiudendo l'auto e prendendomi per mano.

L'ho convinto a venire a fare un po' di allenamento in piscina con me. E' difficile che Major si lasci coinvolgere in una sessione di vasche in piscina. Non ama molto l'acqua. Anzi, la detesta, ma da quando stiamo insieme ha cercato di farsela piacere.

<< Entriamo, prima di congelarci >> lo sprono tirandolo verso l'entrata del palazzetto sportivo della scuola.

La nostra scuola è una tra le più grandi della contea e i suoi stabili sportivi non sono da meno. Quello per la piscina è uno dei più grandi.

Appena entrati, ci si trova davanti una sala tonda con al centro un bancone al quale è, post lezioni, perennemente seduta Sally.

Sally è una delle poche amiche che mi sono fatta al liceo. Ci siamo conosciute il secondo anno, proprio qui in piscina. Il padre di Sally è l'allenatore della squadra di nuoto ma Sally, sfortunatamente per lui, non ha ereditato il talento e l'interesse del padre per questo sport. Così, per non stargli troppo lontana, si è offerta di lavorare come "receptionist" al bancone della piscina. In pratica lei è quella che ti fa firmare il registro delle presenze, quella che ti consegna le chiavi degli armadietti e che organizza le prenotazioni delle vasche per gli allenamenti della squadra di nuoto e di quella di pallanuoto.

Appena entriamo, Sally alza la folta chioma rossa e si tira su gli occhiali che le erano scivolati sul naso.

Ci sorride raggiante, tutta lentiggini e denti bianchissimi.

<< Ciao ragazzi! Avete deciso di farvi una nuotata? >> ci domanda Sally mentre si volta sulla sedia girevole per recupare due chiavi degli armadietti.

Io le sorrido e prendo le chiavi passandone una a Major.

<< Si, sono riuscita a convincerlo a unirsi a me >> le dico facendo un cenno con la testa a Major che ci guarda roteando gli occhi al cielo.

<< Beh, oggi sarete tranquilli in vasca. La squadra di nuoto ha prenotato l'allenamento questa sera alle sei. Buon per loro, ma non per me. Dovrò starmene tutta la sera qui seduta ad aspettare che escano >> sbuffa lei.

<< Beh dai, vedila dal verso positivo: mentre aspetti puoi ripassare per il test di storia di Giovedì >> le rispondo.

Sally arriccia il naso in una strana e bizzarra espressione schifata.

<< Non mi preoccupa quello stupido test, ma quell'assurda ricerca che ci hanno obbligato a fare. La mia famiglia non ha niente di entusiasmante da raccontare. A meno che non ti interessino i tappi di sughero >>.

La guardo corrugando la fronte e poi mi volto verso Major che ha un'espressione molto simile alla mia.

<< I miei bisnonni erano proprietari di un'azienda di tappi di sughero. Niente di interessante >> risponde alla nostra confusione.

Major annuisce lentamente e prende la chiave dell'armadietto.

<< Ok, allora io vado a cambiarmi >> mi dice. Annuisco e replico la sua azione, salutando Sally e augurandole una buona giornata.



Esco dallo spogliatoio avvolta nel mio accappatoio bianco e raggiungo la zona vasche. Major è seduto sulla panca di fronte la vasca grande, quella che passa da uno e mezzo a cinque metri.

Sembra tranquillo e un pelo annoiato mentre si infila la cuffia e gli occhialini rossi che gli ho regalato lo scorso Natale.

A parte noi, non c'è molta gente: una ragazza che nuota a dorso e un insegnante con un ragazzo disabile in vasca piccola.

Mi avvicino a Major e tolgo l'accappatoio per poi lasciarlo sulla panca.

<< Andiamo pigrone? >> sprono Major dandogli una pacca sul braccio.

Lui ruota gli occhi al cielo e con un verso che non si addice ad un diciottenne si alza stirandosi le braccia sopra la testa.

<< Sissignora >> mi risponde.

Sorrido e lascio le infradito a bordo vasca.

<< Ti lascio la corsia veloce. Sono troppo stanco per stare al tuo passo >> mi dice spostandosi alla mia sinistra. Sale sul blocchetto e si prepara per tuffarsi. Poi entra in acqua e prosegue a stile libero, tranquillo ma non esageratamente lento.

Mentre Maj prosegue la sua vasca, io mi bagno il corpo d'acqua e poi salgo sulla pedana per i tuffi.

Porto gli occhialini scuri sugli occhi, mi posiziono per eseguire un tuffo di testa. Guardo l'acqua e il pavimento azzurro e blu del fondo piscina, respirando lento e profondamente. Poi mi tuffo. Rompo il pelo dell'acqua con le mani e poi inizio a nuotare. Muovo ogni muscolo del corpo mentre procedo rapida a stile libero per le prime vasche di riscaldamento.

E' così rilassante nuotare sola, senza avere la pressione addosso di altra gente pronta a disturbarti per rubarti la corsia.

Continuo a nuotare fermandomi ogni quattro vasche per riprendere fiato. Ogni tanto cambio stile o lo alterno a quello libero. Mentre procedo a rana, a ritmo calmo e rilassato, la mia mente inizia a viaggiare nei ricordi e inspiegabilmente mi viene in mente un particolare della mia infanzia.

Vedo, con gli occhi di una Nevena di circa tre anni, un salotto in stile antico dove un uomo e una donna stanno discutendo. L'uomo è voltato di spalle, la donna riesco a vederla solo in parte.

<< E' troppo pericoloso tornare a Sofia, Yana. Loro non devono sapere di lei >> la mano dell'uomo si porta indietro indicando me. Sono seduta su un divano di velluto verde scuro a righe nere. Cerco di capire dove mi trovo ma quel luogo non mi suggerisce nulla.

La donna scuote la testa, irritata.

Ha lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle, le braccia chiarissime sono lasciate libere dalla T-shirt nera. Cerco di guardarla in viso, ma intravedo solo un occhio azzurro.

<< Credi che non lo sappia, Jonathan? Credi che sarei disposta a mettere a rischio la vita di mia figlia per una sciocchezza? E' necessario tornare a Sofia e tu lo sai >> la voce della donna è decisa, risoluta ma nasconde una punta di paura.

L'uomo rilassa le spalle. Anche lui lo sa. Le sue mani si posano sulle spalle della donna, la quale abbassa la testa e si porta una mano sul viso, coprendosi gli occhi.

<< Non possiamo rimanere qui con le mani in mano. Loro sanno qualcosa, sanno di me. Come pensi che reagirebbero se venissero a sapere di nostra figlia? Dobbiamo tornare a casa >>.

<< Loro non sanno nulla di Nevena, Yana >> la voce dell'uomo è ferma e sicura, così sicura che sono quasi convinta delle sue parole.

La donna alza la testa e ora riesco a vedere il suo viso. E' di una bellezza sconvolgente. La pelle chiara mette in risalto i folti capelli castano scuro e gli occhi azzurro chiaro. Le labbra rosee sembrano quasi rosse in confronto al pallore della sua pelle.

<< Hanno saputo di me, quanto pensi che ci metteranno a venire a sapere di lei? >> gli occhi della donna si posano sulla piccola me seduta sul divano.

Istintivamente mi viene da sorridere.

Lei ricambia il sorriso, ma il suo è un sorriso triste e le lacrime iniziano a riempirle gli occhi e a scivolarle lungo le guance.

Le mani dell'uomo davanti a lei gliele asciugano.

<< La uccideranno, Jonathan. Non possiamo permettere che accada >> sussurra lei.

In quel momento un forte dolore mi percorre la testa. Sbuco fuori dall'acqua, prendendo una grossa boccata d'aria. Mi porto una mano alla testa e mi accorgo di essere arrivata alla fine della corsia. Devo avere battuto la testa contro il muretto della piscina.

<< Nev! >> mi sento chiamare. Mi volto verso destra, con la mano sulla testa e vedo Major passare sotto il cordone che divide le nostre corsie e raggiungermi. Si solleva gli occhialini sulla testa e mi guarda preoccupato.

<< Nev, che fai? Non lo hai visto il muretto? >> mi domanda posandomi una mano sulla porzione di fronte dolorante.

<< No. Mi sono distratta >> mi giustifico.

Lui sgrana gli occhi, guardandomi come se avessi detto la più grande stronzata del secolo.

<< Distratta? Mentre eri sott'acqua? >>

Faccio spallucce.

Lui scuote la testa e alza gli occhi al cielo.

<< Certe volte proprio non ti capisco, Whiteoak. Dai, vieni. Usciamo di qui e andiamo >> mi dice avviandosi verso la scaletta.

Io annuisco e lo seguo ripensando a ciò che è appena successo.

E' la terza volta che oggi mi perdo nei miei pensieri. E per di più, ora mi sono persa in quello che penso sia un ricordo.

Un ricordo dei miei genitori biologici. Parlavano di me. E di qualcuno che mi voleva morta

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