14 - IL PESO DELLA VERITÀ -

- Capitolo quattordici -

Il peso della verità

E' notte fonda. Nel corridoio fuori dalla mia stanza d'ospedale, c'è un gran silenzio. Ogni tanto viene interrotto dal ciabattare di qualche infermiere e dal suono dei campanelli provenienti dalle camere dei pazienti.

Sono sdraiata, gli occhi intenti a fissare il soffitto. Non riesco a dormire. Le emozioni della giornata mi tengono sveglia. Le immagini inquietanti vissute oggi, mi perseguitano. Provo a non pensarci, ma ogni volta che tento di chiudere gli occhi, vedo solo sangue.

Fiumi e fiumi di liquido rosso che sgorgano dal corpo di Sally, esanime al suolo. Lo vedo brillare, ne sento l'odore ferroso dentro i polmoni, il suo sapore mi pizzica la punta della lingua. Lo sento scendere dentro di me, riempirmi l'esofago, scorrere fluido e lento fino allo stomaco.

La mia testa ricomincia a pulsare al ricordo di quella sensazione. La scuoto, cercando di allontanare quei pensieri malati. Cosa mi sta accadendo?

In quel momento, sento dei passi leggeri fuori dalla porta.

Mi tiro su a sedere, con molta meno fatica rispetto a poche ore prima.

Mi sto riprendendo incredibilmente in fretta, anche se sento ancora i muscoli indolenziti, soprattutto quelli delle gambe.

La maniglia si abbassa e appare una donna.

Eris mi sorride senza dire niente, si richiude la porta alle spalle e si avvicina a me.

E' stupenda, coi capelli scuri e lisci lasciati sciolti sopra un lungo abito blu scuro a collo alto.

Una sua mano pallida si posa sul mio viso, sistemandomi una ciocca di capelli ribelle.

<< Come hai fatto a entrare? >> le domando incuriosita. Non pensavo che sarebbe venuta proprio adesso. Speravo che mi venisse a trovare domani mattina. Ma lei ha insistito per raggiungermi subito.

Mi sorride divertita.

<< I miei poteri sono versatili. Diciamo che non mi ha notata nessuno >> mi risponde lei.

Le sorrido. Non smetterò mai di sorprendermi pensando a quante cose mi sono persa. Sapere che la magia esiste, che le streghe sono reali tanto quanto lo sono i mostri che vivono i nostri incubi di bambini, avrebbe sicuramente cambiato molte cose nella mia vita. Chissà, forse ora non dovrei lottare per tenere in vita le persone che amo.

<< Astuta >> commento.

Lei mi guarda e sul suo viso appare un'espressione preoccupata.

La comprendo.

Quando poche ore fa, l'ho chiamata al telefono, aveva percepito fosse accaduto qualcosa di orribile. Ma non credo si aspettasse questo. Un attacco di un vampiro. E io ero coinvolta.

<< Dimmi cosa vuoi sapere, Nevena >> va dritta al punto.

Mi agito un secondo sul mio letto, cercando di mettere insieme le parole giuste per le mille domande che mi frullano in testa.

<< La mia amica, Sally, è quasi morta oggi. E' stata attaccata da qualcuno, o meglio, da qualcosa. Aveva un morso sul collo >> dico alzando lo sguardo su Eris.

Lei annuisce, mantenendo salda l'attenzione su di me.

<< E' stato un vampiro, vero? >> chiedo, anche se conosco già la risposta.

Sospira, mettendosi le mani in grembo e osservandosele.

<< Sì, Nevena. E' stato un vampiro >>.

<< Come ha fatto a trovarla? Perché lei? >> domando, più a me stessa, che alla strega seduta accanto a me.

<< E' nella loro natura, Nevena. E' il loro modo per nutrirsi >> mi spiega, calma, Eris << ma non credo che questo sia il caso di un semplice vampiro affamato >>.

La sua voce è bassa, faccio quasi fatica a sentirla.

Annuisco, consapevole della risposta che ancora non mi è stata data.

<< E' qui per me >> sussurro.

Eris non dice una parola. Ma il suo silenzio è così ricco di significato, che non c'è bisogno che risponda alla mia domanda, per confermare la mia idea.

Mi sento terribilmente in colpa. Sally è quasi morta oggi. Per colpa mia. Per una vita che non ho chiesto di avere, per una famiglia e un lignaggio che non mi sono scelta, e di cui ho scoperto l'esistenza solo da poco.

Se è questo che mi aspetta, se è questo il mio futuro, non voglio che le persone che amo debbano viverlo. Non voglio dover stare allerta anche per loro, per timore che possano fargli del male.

<< Ma se è me che vuole, perché attaccare Sally? >> domando, cercando di comprendere il piano del mostro.

Eris mi guarda, desolata e rassegnata dalla situazione.

<< Vuole farti crollare >> mi risponde schietta.

Punto i miei occhi nei suoi.

<< Perché? >> domando.

Eris sospira, sul volto la sua espressione è tesa, preoccupata. Non credo se la senta di dirmi la verità, ma io ho bisogno di conoscerla. Devo sapere chi sono, che cosa comporta essere una Whiteoak. Sarà sempre così? Dovrò lottare per tenere in vita i miei cari? Sarà questa, d'ora in poi, la mia vita?

<< Eris, ti prego >> la supplico.

Lei annuisce.

<< Non dovrei essere io a raccontarti tutto questo, Nevena. Non era previsto che la verità ti venisse rivelata da me >> mi risponde Eris.

Scuoto la testa, stanca ormai di sentire sempre le stesse storie, le stesse frasi ripetute all'infinito.

<< Non posso aspettare oltre >>.

Sono sincera. Tutta questa storia, si sta protraendo fin troppo. Ogni minuto che passa, il mio cervello mi manda immagini di un passato che non ricordo di aver vissuto, il mio corpo non mi risponde più e la gente che amo rischia di essere uccisa. Non posso attendere altri due giorni. Assolutamente no.

In quel momento, la porta si apre.

Mi blocco quando vedo spuntare Jonathan.

E' vestito uguale a poche ore fa, quando mi sono svegliata in questo letto d'ospedale.

Ha il volto stanco, delle occhiaie scure gli contornano gli occhi.

Sposta lo sguardo su Eris. Non parla. Entrambi si osservano in silenzio, prima di sorridersi dolcemente a vicenda.

E' chiaro che si conoscono. La cosa non mi sorprende, in fondo, erano insieme nella mia visione di giorni fa.

Jonathan si avvicina a me, recupera una sedia sistemata accanto a una parete, e si siede accanto al mio letto, proprio a fianco ad Eris.

<< Come mai sei ancora qui? >> gli chiedo schietta.

Lui mi sorride, stravolto.

<< Volevo assicurarmi che stessi bene >> mi risponde.

Intuisco subito il messaggio fra le righe.

<< Intendi dire che volevi assicurarti che chiunque abbia aggredito Sally, non venisse a terminare il lavoro. Con me, magari >> ribatto.

Lui annuisce, serio. Le mani unite, strette in una presa salda.

<< Non biasimarmi, Nev. Potevi esserci tu al posto della tua amica >> mi risponde lui.

Scuoto la testa.

<< Dovevo esserci io. >> e quello che dico lo penso davvero.

Lui vuole me. Ha attaccato Sally, perché sapeva che così facendo mi avrebbe ferita, colpita dritta al cuore. Ha sicuramente pensato che sarei stata troppo scossa per reagire, per difendermi. Ma non è così.

<< Nevena >> mi volto, riportando l'attenzione su Eris << credo che debba essere Jonathan a parlarti >> sussurra lei.

Annuisco.

Guardo Jonathan, mio padre, seduto a pochi centimetri da me.

Non ricambia il mio sguardo, tiene la testa bassa. Poi comincia a parlare.

<< Quando avevo diciannove anni, mi sono allontanato dalla mia famiglia. Avevo studiato, ero stato educato secondo i loro ideali di violenza, odio e lealtà verso i Whiteaok >> alza lo sguardo, gli occhi aperti in due piccole fessure.

<< Mio padre non è stato un genitore amorevole e gentile. Ha cresciuto me e i miei fratelli con mano ferma, facendoci credere che al mondo esistessero solo i buoni e i cattivi. Noi, ovviamente, eravamo i buoni, degli uomini che erano stati scelti per portare a termine una missione: eliminare il male dal mondo. E quel male, ci diceva, era rappresentato dai vampiri >>.

Ascolto il suo discorso con grande attenzione, senza perdermi una parola.

<< Non c'era posto per l'amore nelle nostre vite. Non ci ha mai abbracciato, mai dato una pacca sulla spalla o dimostrato affetto. Per lui, eravamo dei soldati che doveva addestrare per rendere delle macchine omicide. I miei fratelli gli assomigliano molto, ma non io >> un sorriso amaro si dipinge sul suo volto.

<< Io ero la pecora nera della famiglia. Ero un bambino essenzialmente buono, non avevo il carattere duro e forte di mio padre e dei miei fratelli. Ero quello che se cadeva a terra, si metteva a piangere. E per darmi una lezione, mio padre mi picchiava. >>

Chiudo gli occhi, cercando di togliermi l'immagine di un piccolo Jonathan, vessato dal padre. Non riesco a immaginare un'infanzia più brutta di questa. Un padre che non ti ama, che ti ritiene solo una pedina nel suo grande gioco.

<< "Sei un debole" mi ripeteva ogni volta che ne aveva l'occasione. "In questa famiglia non c'è posto per i deboli". Era un incubo, lo è sempre stato. Fortunatamente, avevo mia madre, Elizabeth >> sorride dolce pronunciando quel nome.

<< Le assomigliavo tanto. Avevo preso da lei la dolcezza, la gentilezza, l'altruismo. Tutte doti che in mio padre mancavano e che, secondo lui, non mi rendevano abbastanza forte, abbastanza uomo >> le mani di Jonathan si stringono forti, le sue nocche diventano bianche.

<< Mi sono addestrato, sono diventato un duro. Ho seppellito tutto ciò che di buono c'era in me, per diventare quello che lui voleva che io fossi. Un cacciatore, brutale, senza rimorsi. Dovevo diventare impassibile, farmi scivolare addosso ogni emozione. E l'ho fatto, per molto, troppo tempo Ma mio padre era avido di potere e di odio. Abbiamo sempre avuto un codice, noi Whiteoak: si uccide solo se il vampiro ha recato danni a un essere umano. Dovevamo avere delle prove prima di agire. Ma le cose sono cambiate. Mio padre ha trasmesso troppo bene i suoi ideali d'odio e ben presto, ogni vampiro era considerato una minaccia >> sussurra.

<< Nevena, tu non hai idea di quanto sangue ho sparso. Di quanti vampiri ho ucciso. Alcuni non erano nemmeno adulti, erano dei bambini. Ma non poteva essere fatta alcuna distinzione, ognuno di loro doveva essere eliminato. Da eroi, da guerrieri, in poco tempo, siamo diventati quello che temevamo di più: dei mostri >> quelle parole gli escono dalle labbra con un tale ribrezzo, da farmi rivoltare lo stomaco.

<< Hai ucciso dei bambini? >> domando sottovoce.

Lui sospira, annuendo piano.

<< La maggior parte nati vampiri, non ancora trasformati. Erano degli esseri viventi, ancora. Innocenti. Ma a mio padre non importava >> risponde secco, scrollando le spalle.

Lo guardo, un po' confusa.

<< In che senso, nati vampiri? >> domando.

Eris posa una mano sulle mie, attirando la mia attenzione.

<< I vampiri possono essere di due tipi, Nevena: i "nati" e i "creati". I nati sono vampiri che sono stati generati esattamente come un essere umano. Sono il frutto dell'unione di due vampiri. Da piccoli sono dei comuni bambini, con la sola differenza che possono nutrirsi sia di cibo umano che di sangue. Diventano vampiri veri e propri, soltanto quando raggiungono la maturità fisica e anagrafica, che non è uguale per tutti, ma va tra i 18 e i 21 anni, di solito. >> mi spiega Eris << i creati, sono degli umani che vengono trasformati, invece >>.

<< Quindi non sono immortali? Cioè, invecchiano? >> domando confusa.

Eris scuote la testa.

<< No, non invecchiano. Solo i nati vampiri lo fanno. Ma più che un invecchiamento, lo definirei uno sviluppo. Una volta raggiunta la loro forma definitiva, non cambiano più >>.

Annuisco. Non pensavo che la loro natura fosse così complessa.

Torno a guardare Jonathan.

<< Ti sei sentito in colpa perché avevi ucciso delle creature molto più simili agli umani? >> gli domando, riferendomi ai bambini.

Lui annuisce, sospirando.

<< Non mi sono mai perdonato per quello che ho fatto. I loro volti, li rivedo ogni notte nei miei incubi. Ho tolto così tante vite innocenti per il volere di un uomo che si credeva un dio >> le parole di Jonathan, sono colme di rabbia.

Le vene sul suo collo si gonfiano e pulsano violente. Lo sento tutto, il risentimento e il disprezzo nei confronti del padre.

Mio nonno.

Scuoto la testa. Mi sembra ancora assurdo che io e l'uomo di questa storia, in realtà siamo parenti.

<< A diciannove anni ero così stanco di quella vita, che ho fatto le valigie e me ne sono andato >> continua Jonathan << ho viaggiato, per un po'. Sono andato al college, dove ho conosciuto Michael e Suzanne. Eravamo un bel trio>> mi viene da sorridere a quelle parole.

<< Siamo diventati come una famiglia ed io in quel momento avevo davvero bisogno di qualcuno che mi ascoltasse, che mi capisse e non mi giudicasse. Ringrazio ogni giorno di averli incontrati. Mi hanno salvato da me stesso. E senza di loro, tu non saresti qui >> mi guarda, gli occhi pieni di lacrime che minacciano di uscire.

<< Finito il college, siamo partiti per un viaggio in Europa. L'abbiamo visitata tutta, in lungo e in largo. E' un continente così ricco di storia, di tradizione, di arte. Quando siamo arrivati in Bulgaria, ho deciso di fermarmi lì per un po'. Avevo bisogno di riflettere su cosa fare della mia vita. Ed è stato lì, che ho incontrato Yana >> non riesce più a trattenere le lacrime, quando pronuncia quel nome.

Mi sorride e poi si porta una mano nella tasca dei pantaloni. Recupera il suo portafoglio, lo apre e ne estrae una piccola fotografia.

Me la porge.

Eris con un movimento della mano, accende la luce soffusa che si trova sopra il mio letto.

Trattengo un respiro quando guardo l'immagine stretta tra le mie dita.

Ci sono Jonathan, decisamente più giovane e spensierato, insieme ad una donna con in braccio una neonata. Guardo la ragazza nella foto e non posso fare a meno di notare la nostra somiglianza.

E' bellissima. I capelli folti e neri, le ricadono sulle spalle scoperte e pallide. I suoi occhi, sono di un verde chiaro molto acceso. Sorride all'obiettivo. Tra le braccia, stringe una bambina di pochi mesi, allegra e sorridente. Ha gli occhi di due colori diversi: uno marrone e uno azzurro chiaro.

Non mi rendo nemmeno conto di star piangendo, fin quando la dolce e calda mano di Eris, non mi asciuga le lacrime che mi rigano il viso.

La guardo con gli occhi lucidi, ringraziandola con un sorriso.

<< Mi sono innamorato di tua madre nell'attimo in cui l'ho vista la prima volta >> sussurra Jonathan << era incantevole. Insegnava in un asilo nido, sai? >> mi guarda, col sorriso stampato sul volto.

<< Era dolce, gentile, amorevole. Non so come abbia fatto ad attirare la sua attenzione, ma fortunatamente è andata così. Ci siamo frequentati per un po', volevo essere sicuro che non scappasse da me, quando le avrei rivelato la mia identità >> sussurra.

Lo guardo, confusa da quella frase.

<< Usavi un nome diverso, all'epoca? >> domando.

<< Solo il cognome. Volevo evitare di essere rintracciato dalla mia famiglia. Come Whiteoak, avevo dei doveri, un lavoro da svolgere. Sarei sempre stato un fuggitivo >> riesco a percepire il dolore e l'amarezza nelle sue parole.

Non posso nemmeno immaginare, quanto sia stata dura vivere così. Sempre in viaggio, sempre in movimento. In fuga dalla tua stessa famiglia.

<< E poi, non volevo che lei avesse paura di me >>.

Quell'ultima frase mi risuona nella testa, ancora e ancora. Non riesco a decifrarla. La analizzo continuamente, cercando di arrivare da sola alla soluzione. Ma niente.

Guardo Eris, in cerca di un aiuto.

Lei sospira e si volta verso Jonathan, quasi a chiedergli con quel gesto, il permesso di parlare.

Lui annuisce in silenzio.

<< Nevena, tu sei speciale >> mi sussurra lei, stringendo le mani nelle mie << non sei solo una Whiteoak. Sei molto di più >>.

<< Non capisco... >> scuoto la testa, ancora più confusa di prima.

Eris fa una smorfia che assomiglia tanto ad un sorrisetto nervoso e mi stringe più forte le mani.

<< Sei diversa, da qualsiasi altra persona al mondo. Tu sei una Whiteoak, ma sei anche figlia di una vampira >>.

Il mio cuore si ferma. Sento il mio corpo irrigidirsi, la mia pelle ghiacciarsi.

Non so cosa dire, non riesco a muovere un muscolo.

Una vampira. Mia madre era una vampira. Una di quelle creature che i Whiteoak, sono decisi a sterminare. Un mostro. Dello stesso tipo di quello che ha quasi ucciso la mia amica.

Sfilo di scatto le mani dalla stretta di Eris, cogliendola di sorpresa.

<< Non è possibile >> dico più a me stessa, che alle due persone nella stanza insieme a me.

Non può essere vero.

<< Nevena, ascoltami. Lo so che è dura da capire e da metabolizzare, ma è la verità. Yana era un vampiro. Una nata, per essere precisi >> continua Eris.

Scuoto la testa. Non voglio crederci.

<< Mi stai mentendo >> dico.

Jonathan mi si avvicina e sento una sua mano, posarsi sulla mia spalla.

I suoi occhi chiari si specchiano profondamente nei miei, confermandomi in silenzio quello che Eris mi sta raccontando.

<< Dimmi che non è vero >> sussurro, la voce rotta dal pianto << dimmi che non sono un mostro >>.

Scuote la testa e in un secondo, sono stretta tra le sue braccia. Non mi ha mai abbracciata da quando è arrivato, questa è la prima volta. Non so bene come reagire, subito. Ma poi, forse per le forti emozioni o perché quel corpo non mi sembra poi così estraneo, mi lascio andare.

Poso le mani sulla schiena di Jonathan, e nascondo la testa sul suo petto.

Sto singhiozzando.

Una sua mano mi accarezza i capelli, cercando di calmarmi.

Sono scossa dalla verità.

Se prima pensavo di stare vivendo un sogno, un qualcosa di surreale, ora mi rendo conto di quanto tutto questo sia un incubo.

Nel giro di pochi giorni, la mia vita è stata completamente stravolta.

I sogni, le visioni, i ricordi improvvisi, non erano nulla in confronto a quello che sto vivendo ora.

Poche ore fa, una delle mie due migliori amiche, è stata aggredita e quasi uccisa da una creatura orribile, che fino a qualche settimana fa, pensavo non esistesse e che fosse solo il frutto dell'immaginazione umana.

Oggi, invece, scopro non solo che una di quelle bestie, ha attaccato Sally, ma che, in parte, io sono come lui.

Un vampiro, un demone che si nutre delle vite degli altri esseri viventi. Sono tutto ciò che l'altra parte di me, la cacciatrice, una Whiteoak, dovrebbe odiare e sterminare.

<< Nevena, tu non sei un mostro >> la voce di Jonathan mi risuona delicata e dolce nelle orecchie << e non lo era nemmeno tua madre >>.

Si allontana lentamente da me, guardandomi in viso con tenerezza. Cerca di confortarmi, di starmi accanto in un momento tanto difficile quanto irreale.

Tento di fermare le lacrime e di rallentare il mio respiro affannoso.

Ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è al sangue.

Rosso, caldo e dall'odore intenso. Lo vedo sparso sull'asfalto, sotto il corpo della mia amica e del mio. Lo sento bagnarmi le labbra, chiamarmi, attrarmi sempre di più.

Mi irrigidisco nuovamente quando un'altra fitta di dolore improvviso mi colpisce la nuca.

Jonathan sembra accorgersene e mi prende il viso tra le mani.

Mi osserva, gli occhi luminosi e preoccupati.

<< Nevena, stai bene? >> mi domanda.

Scuoto la testa.

<< No >> sussurro, le lacrime che tornano a scendermi copiose sul viso << ho appena scoperto di essere in parte un vampiro, la stessa cosa che ha aggredito Sally e l'ha quasi uccisa. Ogni volta che chiudo gli occhi, vedo solo il suo corpo morente immerso in una pozza di sangue. E poi quell'odore >> tiro su col naso, quasi come se riuscissi a percepirlo << lo sento anche adesso >>.

Jonathan si scosta da me, visibilmente angosciato dalla mia reazione.

Eris mi si avvicina e cattura la mia attenzione, posando una sua mano sulla mia.

<< Nevena, devi cercare di non agitarti. E' normale quello che provi >> mi risponde lei,

cercando di tranquillizzarmi.

Io soffoco una risata nervosa.

<< Ah, lo sai? >> rispondo acida << io non credo. Non hai idea di quanto io mi senta in colpa per non averla salvata prima. E' quasi morta a causa mia. E poi quella sensazione >> le mie parole mi escono quasi come dei sibili dalle labbra.

<< Stavo così male. Sentivo tutto il mio corpo contorcersi e spezzarsi, la testa mi stava scoppiando. E poi la gola, era arida e dolorante e tutto quel sangue >> scuoto la testa, gli occhi chiusi mentre le immagini di oggi mi tornano in mente una ad una << non so spiegare se ne ero più attratta o disgustata >> confesso.

Nessuno dice nulla.

Forse le mie parole li hanno sconvolti. Non è difficile da credere.

Tutta questa situazione è assurda. Sono la combinazione di due realtà che non dovrebbero mai incontrarsi. Metà cacciatrice e metà vampira. Un errore, uno scherzo della natura che non sarebbe mai dovuto esistere.

Mi porto entrambe le mani alla testa. Ho l'impressione che questo dolore non mi lascerà andare per diverso tempo, forse anche per tutta la vita.

Sento il sangue pulsare nelle tempie, violento. La stanchezza mi assale all'improvviso.

<< Nevena, cos'hai? >> mi chiede Eris, preoccupata.

<< Sta tornando il mal di testa. Credo di averne abbastanza di informazioni per oggi >> sussurro.

Nemmeno mi accorgo di essermi appoggiata al cuscino.

Jonathan si alza e mi solleva un po' per sistemarmi meglio nel letto.

Mi adagia piano e mi tira su le coperte.

Chiudo gli occhi, cercando di rilassarmi e attendere che il violento palpitare nel mio cranio, si calmi e mi lasci riposare. Ne ho avuto abbastanza di notizie destabilizzanti per oggi. Il mio corpo e la mia mente non ce la fanno più.

La calda mano di Jonathan mi accarezza i capelli e il viso. Le sue dita sono delicate e leggere sulla mia pelle. Il suo tocco mi rilassa un po' e pian piano la mia mente si offusca e si fa più leggera.

Il sonno prende lentamente possesso del mio corpo, sciogliendo i muscoli rigidi del mio corpo.

<< Continueremo il nostro discorso quando starai meglio >> la voce di Eris mi arriva dolce e un po' ovattata alle orecchie.

<< Vado a chiamare l'infermiera. >> sussurra Jonathan << ti faccio dare qualcosa per il dolore >>.

I suoi passi si allontanano e la porta si apre.

Anche Eris si muove e fa per andarsene.

La mia mente si annebbia sempre di più, ma improvvisamente mi torna in mente il sogno di prima.

<< L'ho visto >> le parole mi escono naturali dalle labbra.

I passi nella stanza si bloccano.

<< Chi hai visto, Nevena? >> mi chiede Eris.

Mi giro sul lato, rannicchiandomi in posizione fetale. Il sonno mi rallenta e non riesco a rispondere velocemente alla domanda della strega.

<< Aaron >> dico << ci siamo parlati, in un sogno. Ha detto che è stato un suo "errore" ad aggredire Sally >> sussurro.

<< Un "errore"? >> domanda Eris.

Sospiro, la stanchezza che mi scivola addosso sempre di più.

<< Una sua creazione difettosa. Cosa significa? >> riesco a domandare.

La sento avvicinarsi a me e sfiorarmi piano il viso.

<< Ne riparliamo quando starai meglio. Devi riposarti. Ti ha detto altro? >>

Mi muovo tra le lenzuola. Non riesco a rispondere.

Eris sospira e si avvicina alla porta.

<< Siamo uguali, lui ed io >> dico, tornando per un secondo nel mondo della veglia << ora lo so >>.

Il sonno si abbatte su di me, pesante. Mi sembra di percepire una risposta, ma gli occhi

mi si appesantiscono sempre di più e il buio mi avvolge in un dolce abbraccio.

Mi addormento.





Sono passati due giorni da quando sono stata ricoverata.

E oggi, finalmente, posso uscire.

"Il giusto regalo per il tuo compleanno", mi hanno detto.

Già. Oggi è il gran giorno. Compio diciotto anni.

Non mi sento felice ed entusiasta come mi ero immaginata. Anzi, sono tutto fuorché lieta.

Ieri, Jonathan non si è fatto vedere. Non so se perché era ancora scosso per l'accaduto, o perché non si sentiva ancora pronto a rivelarmi tutta la verità.

Ammetto che sono già abbastanza scossa. Non riesco ancora a crederci.

Mia madre era un vampiro. E quella sua natura maligna l'ho ereditata anche io.

Ogni volta che provo a rifletterci, un'orribile sensazione mi prende alla bocca dello stomaco e devo reprimere l'istinto di vomitare per il disgusto.

Il pensiero che anche io sia un mostro, lo stesso che ha ferito Sally, non fa che torturarmi.

Non sono riuscita a dormire stanotte. Il dolore alla testa e il senso di colpa mi hanno tenuta sveglia. Le fitte sono continuate dal giorno dell'attacco. Vanno e vengono, a volte con più intensità di altre. Ma non ho detto nulla ai dottori.

Ho finto, messo su una maschera serena mentre in realtà, dentro di me, urlavo. Sento il mio corpo cedere in ogni sua parte, crollare sotto quel pulsare inarrestabile. Ma fingo ogni volta che mi chiedono se io stia bene.

Non voglio rimanere in questo posto neanche un secondo di più.

Sto chiudendo la mia borsa, quando dalla porta entra mio padre.

Lo guardo senza battere ciglio.

Sono stata molto dura e fredda con i miei genitori dopo essere venuta a conoscenza della mia vera natura.

Non so se sia perché sono furiosa, spaventata o disgustata da me stessa.

Per tutta la giornata di ieri, me ne sono rimasta in camera, a fissare il vuoto. Mia madre e mio padre mi parlavano, ma io non riuscivo a fare altro a parte pensare a cosa sarà la mia vita da adesso in poi.

Mia madre era una nata vampira. Quindi questo significa che presto anche io diventerò come lei. Un brivido mi scende lungo la schiena a quel pensiero.

Quando succederà? Sta già accadendo forse?

Non riesco a non pensare alle parole di Aaron. Ha parlato di "transizione". Forse intendeva dire che mi sto trasformando pian piano? Che sto diventando un vampiro a tutti gli effetti?

E' tutto così assurdo, sbagliato. Mi viene la nausea, ma cerco di reprimerla.

Mio padre si avvicina a me, in silenzio. Mi aiuta a preparare la borsa.

Passano minuti in cui nessuno di noi due dice nulla. Sono sicura che Jonathan gli abbia parlato, gli abbia detto che ora so cosa sono.

Ma non osa parlarne. Forse preferisce farlo a casa, in un luogo più tranquillo.

<< Sei pronta? >> mi domanda, dopo un tempo infinito.

Annuisco.

<< Bene >> si carica in spalla il mio bagaglio e fa per uscire.

<< Perché non me lo avete detto? >> domando all'improvviso.

Mio padre si blocca e si volta lentamente verso di me.

Sul suo viso, un'espressione desolata.

<< Nevena, non potevamo. C'era un accordo >> risponde mio padre.

Scuoto la testa, la rabbia che pian piano mi monta nel corpo.

Come hanno potuto tenermi nascosta una cosa del genere? La mia vita sarebbe stata completamente diversa, forse meno traumatica, se lo avessi saputo. Sarei stata pronta.

Ora invece mi sento persa, impotente, completamente sbagliata. La sensazione di essere uno scherzo della natura, prende sempre più piede nei miei pensieri.

Che cosa sono io? Un'umana? Una cacciatrice? Un mostro?

Non riesco a darmi una risposta.

<< Avevo il diritto di sapere >> sussurro.

Mio padre sospira.

<< Lo so. Ti racconteremo tutto, promesso >> mi risponde.

Annuisco e tiro dritta verso la porta.

Camminiamo in silenzio lungo i corridoi dell'ospedale.

Al piano terra, ci fermiamo.

Lo guardo, confusa dalla nostra pausa.

Lui mi sorride.

<< Hanno spostato Sally al reparto di chirurgia. Se vuoi puoi andare a salutarla, è orario di visita >> mi dice lui.

I miei occhi si illuminano e li sento riempirsi di lacrime.

<< Posso? >> domando.

Lui annuisce e io gli sorrido, grata.





Il reparto di chirurgia è abbastanza grande e sempre in movimento.

Mia madre lavora spesso qui.

Chissà se ha visitato anche lei Sally in questi giorni.

Mi muovo lenta e silenziosa nel corridoio del reparto. Al bancone, chiedo a Julia, un'infermiera che conosco da quando sono piccola, dove si trovi la stanza di Sally.

Lei mi sorride dolce. I suoi occhi a mandorla mi guardano gentili.

<< E' la 15. In fondo al corridoio a destra >> mi risponde.

<< Grazie >>

<< Di nulla, tesoro >> sorride.

Mi avvio verso la stanza. Quando sono accanto alla camera 12, mi blocco.

Scorgo un movimento scattante e rapido con la coda dell'occhio, dall'altro lato del corridoio.

Mi volto, ma non c'è nessuno. Che strano.

Per un attimo mi è sembrato di vedere un ragazzo camminare veloce non troppo lontano da me.

Un campanello d'allarme mi suona nella testa.

Non mi accorgo di aver velocizzato il passo.

Arrivo davanti alla camera di Sally, quasi correndo. Nella stanza non c'è nessuno a parte la mia amica sdraiata nel letto.

Non riesco a non piangere quando la vedo.

E' seduta. I capelli rossi e ricci, sono raccolti in una coda disordinata sopra la testa. La sua pelle, è ancora più pallida di come la ricordavo. Le vene blu, risaltano sotto il suo incarnato diafano. Non posso fare a meno di reprimere un conato di vomito, quando noto la benda che le copre la ferita sul collo.

Mi avvicino e lei si volta verso di me.

I suoi occhi, non appena mi vede, diventano lucidi e scoppia in lacrime.

Un secondo dopo, sono seduta sul letto accanto a lei e ci abbracciamo.

Piangiamo entrambe, senza dirci nulla. In questo momento, non c'è bisogno di parlare. I nostri corpi stretti insieme, stanno dicendo tutto quello che serve.

Rimaniamo in quella posizione, per un tempo lunghissimo.

Poi Sally, con la fronte appoggiata sulla mia spalla, mi dice: << Grazie per avermi salvata >>.

A quelle parole, le mie lacrime scendono ancora più copiose.

La stringo più forte a me, baciandole la folta chioma rossa.

Non so se esista un dio o una qualche forza superiore che governa questo mondo, ma la ringrazio di non aver preso la mia amica.

Non so come avrei reagito, se fosse morta. Probabilmente sarei morta anch'io.

Di delusione, di rabbia, di senso di colpa per non aver fatto abbastanza per tenerla in vita.

Cerco di fermare quei terribili pensieri.

Non serve adesso struggersi per questo.

Sally è qui, avvolta tra le mie braccia, viva. Dolorante, ferita e bisognosa di cure.

Ma è viva.

<< Non potevo lasciarti morire >> le sussurro.

Lei ride sulla mia spalla e poi si allontana appena da me per guardarmi il viso.

Ha la pelle pallidissima.

Mamma mi ha detto che ha perso parecchio sangue e che è stato difficile riuscire a farla tornare stabile. Non oso pensare al dolore che la mia amica deve aver provato. Alla paura che l'ha travolta in quel momento.

<< Ti ricordi cosa è successo? >> le chiedo.

Lei sospira e scuote la testa.

<< No, ricordo solo il dolore e poi più nulla >> mi risponde.

Aggrotto la fronte.

Sono sicura che Sally conoscesse il suo aggressore. Lo ha riconosciuto e poi lui l'ha attaccata. Forse la sua mente, per un qualche meccanismo di difesa, le ha fatto cancellare quel ricordo.

<< La persona che ti ha aggredita >> domando, cercando di sondare il terreno in cerca di una risposta << te la ricordi? Il suo aspetto, per esempio >>.

Lei continua a scuotere la testa con occhi vuoti.

<< No, Nevena. Ho un vuoto. L'ho già detto alla polizia, non mi ricordo niente >>

<< Io sono convinta che tu conoscessi il tuo aggressore >> affermo.

Lei mi guarda, visibilmente scossa dalle mie parole.

<< Come fai a dirlo? >>

<< Quando mi hai chiamata, appena prima che cadesse la linea, hai parlato con questa persona. Hai detto: "Che cosa vuoi?". E' chiaro che lo conoscessi, Sally. Non ricordi proprio niente? Il colore dei capelli, qualche tratto del viso... >>

<< No, Nevena! >> sbotta lei, alzando la voce.

Mi blocco.

Ho esagerato.

Non è il caso di riempirla di domande a cui evidentemente non può rispondermi.

E' sotto shock. Si è appena salvata da morte certa, è in piena convalescenza. Non dovrei stupirmi che non abbia voglia di parlarne.

<< Nevena >> continua << l'ho già detto agli agenti, non so chi sia stato. E al momento, non mi va di parlarne >>.

Annuisco e le prendo una mano nella mia stringendola.

<< Certo, scusami >>.

Lei ricambia la mia stretta e sospira. Cambiamo argomento e parliamo del mio ricovero. Le riferisco ciò che mi hanno detto i medici, ovvero che ho avuto un attacco epilettico. So che non è così, le parole di Jonathan me lo hanno confermato. Però non c'è bisogno che Sally lo sappia.

<< Comunque, me ne stavo quasi dimenticando. Buon compleanno, Nev! >>.

Mi abbraccia e io la ringrazio.

Non voglio rovinarle l'umore dicendole che da adesso in poi tutto sarà diverso.

Che questo giorno tanto atteso, in realtà si sta rivelando un incubo a cui sembra non esserci fine.

<< Mi spiace non poter festeggiare insieme >> sussurra lei, con voce un po' triste.

<< Stai tranquilla, recupereremo >> le prometto.

Lei mi sorride e io mi guardo intorno nella stanza.

Solo in quel momento, mi accorgo di un mazzo di rose bianche sul tavolino accanto alla finestra.

<< Chi ti ha portato quei fiori? >> le chiedo.

Lei segue la direzione del mio sguardo. Guarda i fiori e un sorriso imbarazzato le appare sulle labbra.

<< E' stato Lucas >> mi risponde.

Lucas. Il ragazzo nuovo.

Di nuovo quella strana e particolare sensazione mi prende la bocca dello stomaco. La stessa che ho provato la prima volta che l'ho incontrato a scuola.

C'è qualcosa in lui che non mi convince.

Non saprei dire se sia il suo aspetto, il suo modo lento e cauto di parlare o i suoi occhi vacui e tenebrosi.

Percepisco in lui qualcosa di pericoloso, di cupo e inquietante.

Immediatamente, mi tornano in mente le parole che mi ha detto quel giorno nel corridoio della scuola.

Quelle parole così simili a quelle della visione di Aaron.

Possibile che...

Un brivido mi percorre tutto il corpo.

E se Lucas fosse un vampiro? Se fosse stato lui a ferire la mia amica?

La mia idea prende sempre più forma, mentre collego insieme tutti i pezzi del puzzle.

Il suo aspetto non è certamente quello di un ragazzo umano sano ed in salute. E' arrivato da poco in città e non si sa nulla sul suo passato o dove abbia studiato. E poi conosce Sally, sono "amici".

Guardo la mia amica, preoccupata.

Perché attaccarla? Perché prendere di mira lei per arrivare a me?

<< Quando è venuto? >> le chiedo.

<< E' andato via pochi minuti prima che arrivassi tu >> mi risponde lei.

Allora non me lo sono immaginata. C'era davvero una sagoma nel corridoio, quando stavo venendo da Sally.

Era Lucas.

Cosa vuole? Qual è il suo piano?

<< Sally >> sussurro << quel ragazzo, non mi piace. Ha qualcosa di strano >> le rivelo.

Lei soffoca una risata.

<< Ma dai, Nev. Non metterti a fare la detective proprio adesso. Lucas è solo molto riservato, tutto qui >> continua lei.

<< Non mi convince, Sally. Insomma, questo spunta dal niente più assoluto, fa amicizia con te e non ti dice nulla della sua vita. Da dove viene? Dove abita? E' qui con i suoi genitori? Non sai nulla di lui >> la preoccupazione si percepisce distinta nelle mie parole.

Ma Sally scuote la testa. Mi sembra quasi arrabbiata.

<< Nev, devi smetterla di vedere il marcio in ogni persona. Lucas non nasconde nulla, non ha niente che non vada. Se non ti piace, è un problema tuo! >> mi risponde secca.

Sospiro.

Cosa ti prende Sally? Perché lo difendi? Perché non ti accorgi di quanto questa situazione sia strana e pericolosa?

<< E se fosse stato lui ad aggredirti? >> le domando.

Lei scoppia a ridere. Una risata fragorosa, nervosa e sorpresa.

I suoi occhi spalancati e increduli mi fissano, ma lo capisco che non è d'accordo con me.

<< Questa poi! Nev, tu non stai bene >> sbotta lei.

<< Sally, andiamo. Come puoi non renderti conto che c'è qualcosa che non va in lui? >>

Le poso una mano sulla sua.

Lei la sfila, di scatto. Il mio cuore si crepa un po' per quel gesto.

<< Sei tu che hai qualcosa non va >> mi risponde secca.

Ecco, questa fa male.

Lei non può saperlo, ma ciò che ha appena detto è vero.

Sono un completo disastro. Ho davvero qualcosa che non va.

Sono un mostro, una creatura che non dovrebbe esistere. Una parte di me vorrebbe dimenticare questi ultimi giorni, lasciare che la mia mente cancelli tutto quanto.

Sospiro, ma non rispondo. Non ho nulla da dire.

Lei si sistema meglio nel letto, appoggiandosi con la schiena sui cuscini.

<< Meglio se vai >> mi dice << ho bisogno di riposare >>.

Annuisco e mi alzo dal letto.

<< Scusami. Non volevo farti arrabbiare >> le rispondo.

Lei fa un cenno con la testa e poi si sdraia su un fianco, dandomi la schiena.

<< Vengo a trovarti domani, ok? >> le dico.

Lei non risponde.

Mi arrendo e vado verso l'uscita, con le lacrime che, per l'ennesima volta in questa giornata, mi rigano il viso.

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