13 - SALLY -

- Capitolo tredici -

Sally


<< Sally?! Sally?! >> continuo a urlare il nome della mia amica, invano.

Dall'altre parte del telefono non si sente più nulla. E' caduta la linea.

Mi metto le mani tra i capelli, il respiro affannato e rapido. La testa si fa più pesante rispetto a prima, gli occhi iniziano a lacrimarmi per il dolore e per la paura.

E' successo qualcosa di orribile.

Sally, lei è... non lo so cosa sia successo, ma c'era qualcuno con lei. E le ha fatto del male.

Non mi rendo nemmeno conto di essermi alzata di scatto e di essere scappata fuori dal ristorante in un attimo. La voce di Donna mi arriva forte alle orecchie, facendomi voltare durante la corsa per raggiungere la mia auto.

<< Nevena! Nevena, cos'è successo?! >> urla, cercando di starmi dietro.

<< E' successo qualcosa a Sally! Credo che l'abbiano aggredita! Chiama la polizia! >> grido, mentre le mie gambe si muovono rapide e scattanti verso il parcheggio.

Dietro di me, Donna cerca di raggiungermi, ma io sono più veloce. Non sento nemmeno i polmoni bruciare, i miei muscoli proseguono la loro corsa fino alla mia auto. Recupero il telecomando e faccio scattare le portiere. In un attimo, sono al posto di guida, la chiave già inserita nel quadro di avviamento. L'accendo, tolgo il freno a mano ed esco velocemente in retromarcia dal parcheggio.

Freno di colpo, per evitare di investire Donna che mi si è parata davanti al cofano. Abbasso il finestrino.

Lei si sporge verso di me, lo sguardo confuso e preoccupato. Il suo petto si alza e si abbassa freneticamente per colpa dello sforzo che ha appena dovuto fare per inseguirmi.

<< Nevena, cos'è successo? >> mi domanda, boccheggiando.

<< Qualcuno ha aggredito Sally! Chiama la polizia, io vado da lei! >> urlo, mettendo in prima e pronta a partire.

La mano calda e morbida di Donna si posa sulla mia, stretta al volante. Mi volto verso lei emettendo un lamento esasperato. Devo muovermi, sento che Sally è in pericolo. Devo salvarla.

<< Vengo con te >> mi risponde la mia amica, ma io sto già scuotendo la testa e accelerando per andare via.

<< No, chiama la polizia e vai a prendere Chris e Kathy al cinema. Corri! >> le ordino.

Non le do nemmeno il tempo di ribattere. Sfreccio a grande velocità verso l'uscita e sulla strada. Una macchina, a cui non do la precedenza, suona il clacson. Il guidatore mi starà sicuramente riempiendo di insulti, ma al momento è l'ultimo dei miei problemi.

L'unica cosa a cui riesco a pensare è Sally. Alla sua voce, al suo respiro mozzato e all'urlo che ha lanciato al telefono. Stringo forte il volante tra le mani mentre la vista mi si annebbia per colpa delle lacrime che stanno riempiendo i miei occhi.

Delle potenti fitte continuando a prendermi a martellate la testa, facendomela girare. Le mie mani allentano involontariamente la presa sul volante. La macchina comincia a slittare incontrollata sulla strada. Cerco di riprendere il controllo della vettura, riportandola dritta sulla corsia.

Ci riesco, ma il dolore non sembra cessare. Anzi, diventa sempre più forte, insistente.

Non riesco a capire cosa mi stia succedendo, ma quello che so è che devo salvare Sally.

C'era qualcuno con lei. E le ha fatto del male. Se ha provato anche solo a torcerle un capello, io...

Scuoto la testa e aumento la velocità. Devo sbrigarmi.

Dopo circa cinque minuti, svolto a sinistra, lungo il viale in cui si trova la piscina.

Sterzo violentemente a destra, senza guardare se ci siano altre vetture sulla carreggiata.

Entro nel parcheggio e soffoco un urlo quando la vedo.

Sally è riversa a terra, in una pozza di sangue.

Freno violentemente e smonto dalla macchina.

Corro e in un secondo sono accanto a lei.

Non saprei come descrivere l'immagine che ho davanti ai miei occhi. La mia amica è al suolo, svenuta, almeno credo. I suoi capelli rossi e ricci, sono sciolti e sparsi sull'asfalto. La sua pelle è pallida e sporca di sangue sulla fronte, sul viso. Mi accorgo che sul collo ha una profonda ferita che zampilla sangue.

Mi butto su di lei, levandomi il giacchetto e premendoglielo sulla lacerazione per fermare l'emorragia, o almeno tentare di rallentarla.

Il mio viso è bollente, bagnato di lacrime salate inarrestabili. Non riesco a smettere di guardare il corpo inerme di Sally accanto a me. Il mio cuore batte all'impazzata e la mia testa pulsa sempre più forte, provocando spasmi doloranti che si irradiano in tutto il mio corpo.

Cerco di reprimere l'istinto di piegarmi in preda al male. La priorità adesso non sono io, è Sally.

Le porto la mano libera sul viso, chiamandola.

La sento respirare, ma il suo fiato è troppo debole.

Urlo, arrabbiata e impotente.

Sento il cellulare vibrarmi nella tasca dei jeans e lo recupero senza guardare chi sia a chiamarmi.

<< Pronto >> rispondo, piangendo.

<< Nevena! Nevena, dove sei?! >> al telefono è mio padre. Nella sua voce, riconosco la paura e la preoccupazione. Donna deve averlo avvertito.

Singhiozzo, continuando a premere con forza la mia giacca sulla ferita aperta della mia amica. Ho le mani sporche del suo sangue.

<< Papà >> lo chiamo, la voce rotta dal pianto << hanno fatto del male a Sally... >> non riesco a continuare, faccio cadere il telefono a terra e mi chino di più su di lei.

Se solo fossimo venute a prenderla, forse adesso questo non sarebbe successo. Una stretta alla bocca dello stomaco, mi fa piegare in due e un urlo viscerale esce dalle mie labbra.

<< Nevena! Nevena, cosa succede?! Stiamo arrivando! Resistete! >> riesco a sentire la voce di mio padre dal telefono a pochi centimetri da me.

Non resisto più. Il mio corpo non mi risponde. Vengo colta da tremiti che in un attimo diventano vere e proprie convulsioni. Il sangue nella mia testa mi ribolle furente, causandomi una sofferenza che non riuscirei a descrivere a parole. Le mie gambe diventano rigide e le braccia si contorcono in pose innaturali.

Cado in avanti, perdendo la presa sulla giacca che stavo usando per tamponare la ferita di Sally.

Crollo, accanto al suo corpo. Il mio si agita, facendomi sbattere più volte il cranio a terra. Sento gli occhi scattare in ogni direzione, davanti a me solo rosso.

Il sangue di Sally mi inzuppa i capelli, mi sporca il viso, le mani, i vestiti. Cerco di avvicinarmi a lei, di proteggerla, ma non ci riesco.

Questo corpo non è più mio.

Ed eccole di nuovo, veloci, dolorose e spaventose. La mia mente vaga e rivivo momenti che non ho mai ricordato attraverso le visioni che mi investono.

Sono tutte rapide, una di fila all'altra. Mi devastano.

Vedo una donna simile a me che mi sorride dolce. I suoi denti però sono come quelli di quella creatura spaventosa che ha abitato i miei incubi in questi giorni. Ha il volto e i canini sporchi di sangue. Le manine di una me bambina le sfiorano le labbra e poi se le porta alla bocca.

Lo sento in gola, che scende giù, bruciandomi da dentro fino allo stomaco. Quel gusto ferroso, dolce e caldo. Sento quel liquido scivolare dentro di me.

Un gemito esce dalle mie labbra e ritorno lucida per un momento. Mi rendo conto solo ora di avere le mani sul viso, all'altezza della bocca. Quelle mani, sporche del sangue della mia amica morente accanto a me.

Dentro di me, qualcosa si risveglia. Una sensazione oscura, pericolosa ed inquietante.

Cerco di resisterle, colta dagli spasimi sempre più violenti. I miei occhi si muovono irrequieti, facendomi perdere conoscenza più volte nel giro di pochi secondi.

Tento di recuperare il controllo del mio corpo, di allungare una mano verso quella di Sally. Arrivo a sfiorarle le dita, ma quel contatto è lieve, debole.

Piango mentre le convulsioni continuano a farmi contorcere. Sento quel liquido caldo e viscoso che mi si appiccica addosso. Ne sento l'odore, forte e pungente. La sensazione di prima ritorna e un suono soffocato tenta di uscirmi dalla gola bloccata.

Riesco a percepire il debole pulsare del cuore di Sally accanto a me, sento il poco sangue che le rimane in corpo, scorrerle lungo le vene bluastre sotto la sua pelle diafana. Le vedo pulsare, una ad una, lentamente.

La ferita sul suo collo continua a sgorgare quel liquido vermiglio che mi attrae in modo macabro.

Vorrei urlare, farmi a pezzi da sola per quello che il mio corpo e la mia mente mi stanno facendo.

Un improvviso indolenzimento inizia a insinuarsi nella mia mascella, facendomi spaventare.

Cerco di resistere e nel farlo, sbatto violentemente la nuca sull'asfalto sotto di me. Un fischio mi riempie le orecchie, la vista mi si annebbia, il corpo continua a muoversi agitato.

Forse sto morendo, forse è questa la mia fine.

Con la coda dell'occhio guardo la mia amica accanto a me.

Vorrei tanto dirle che soffro per lei, che mi dispiace di non essere riuscita a salvarla. Ma non ci riesco.

Il mondo pian piano si oscura sempre di più.

In un angolo lontano della mia mente, mi pare di udire il suono delle sirene.

Ma non riesco a stare sveglia, non ce la faccio più.

Così chiudo gli occhi.



Apro gli occhi e mi guardo intorno, confusa.

Sono in una casa che non conosco.

Sembra molto lussuosa ed elegante, a giudicare dall'arredamento. Mi trovo in un enorme salotto, con alte finestre che salgono fino al soffitto, coperte da leggere tende di seta scura. Dei quadri di arte contemporanea decorano le pareti minimaliste della stanza. Al centro, dei divani di pelle bianca circondano un tavolino di vetro di design. Sulla parete opposta, il fuoco scoppietta in un camino, unica fonte di luce nella sala.

Fuori è notte, le stelle brillano alte nel cielo e la luna piena illumina la foresta che circonda la casa. Cammino, spostandomi verso una finestra semi aperta che dà su un terrazzo di marmo semi circolare.

L'aria notturna e fresca mi riempie i polmoni e mi culla. Mi sento così serena, in pace. Il verso dei gufi e dei pipistrelli che popolano il bosco che si staglia davanti a me, mi tiene compagnia. E' così calmo qui fuori. Un paradiso.

<< Sei tornata a trovarmi >>

Una voce bassa, calda, profonda, si unisce ai suoni della natura intorno a me. Mi volto, in direzione di quel suono.

Aaron è in piedi accanto alla finestra da cui sono passata poco prima. Appoggiato con le spalle alla parete, mi guarda, il viso rilassato e le labbra increspate in un sorriso appena percettibile.

Più lo osservo e più mi accorgo di quanto il suo aspetto non sia umano. I capelli biondi sono lasciati morbidi sulle spalle, lucenti anche alla sola luce della luna. La sua pelle chiara e liscia sembra quasi brillare. La sua postura perfettamente eretta ma rilassata, sembra quasi forzata, come se una persona comune non potesse assumerla senza concentrarsi un minimo per mantenerla.

E' etereo.

<< Sono morta >> rispondo, ricordandomi dell'aggressione di Sally e delle mie convulsioni.

Lui scuote la testa e sorride beffardo. Si scosta dalla parete accanto alla finestra e, con passo quasi fluttuante e silenzioso, si avvicina a me.

Stranamente, non mi allontano da lui. In me non c'è terrore, né ansia. Solo una grande serenità.

I nostri occhi identici si incontrano e la tranquillità che stavo provando, si accentua ancora di più. Qualcosa, in quel suo sguardo così familiare, mi rilassa.

<< Non sei morta, stai solo sognando >> sussurra lui, appoggiando le mani al cornicione di marmo.

<< Non posso essere sopravvissuta a quello che ho passato. Quel dolore era... >> non trovo le parole.

<< Lo so. Ti divorava dentro, ti lacerava ogni parte del corpo. Lo sentivi nelle ossa, nei muscoli, nel cervello, nel cuore >> le sue parole descrivono alla perfezione ciò che io

non sono riuscita a spiegare.

<< Sì, era proprio così >> concludo, abbassando la testa e guardando un punto non ben specificato del bosco sotto di me.

<< E' cominciata >> la voce di Aaron mi fa voltare verso di lui. Nei suoi occhi, uno scintillio predatorio mi mette in agitazione.

<< Cosa è cominciata? >> chiedo, quasi sussurrando.

Aaron non risponde subito, mi osserva con curiosità. Sento i suoi occhi scivolarmi addosso, esaminarmi ogni parte del corpo in maniera minuziosa e precisa. Poi il suo sguardo si ferma sul mio.

<< La tua transizione >>.

Scuoto la testa confusa dalle sue parole.

<< Non capisco... >>

Lui ride, una risata piccola e leggera, divertita ma educata.

<< Certo che non capisci. Quello stolto di Jonathan Whiteoak non ha ancora avuto il coraggio di rivelarti nulla. Ed ora eccoti qui >> la sua mano pallida allunga un dito nella mia direzione << a cercare risposte dall'unico che può fornirtele senza mentirti >> mi sussurra.

<< Non ti ho cercato, io ero con la mia amica. Tentavo di salvarla da... >> mi blocco. La mia mente ha un flash. Rivedo Sally a terra, quasi morta in una pozza del suo stesso sangue. Una ferita profonda sul collo, un... morso.

Alzo lo sguardo verso Aaron. La sua espressione serena non è cambiata, eppure credo sappia cosa voglio insinuare.

<< Sei stato tu >> gli dico avvicinandomi a lui << hai aggredito la mia amica >> sputo fuori quelle parole con una tale rabbia, che quasi mi meraviglio di me stessa.

Lui non si sposta, non cambia nulla sul suo volto. Rimane assolutamente impassibile di fronte alla mia accusa.

<< Non sono stato io ad aggredire la tua amica. Ma uno dei miei figli, sì >> mi risponde lui.

Sorride divertito per la mia reazione. Ho un'espressione corrucciata e interrogativa, curiosa e confusa da quella sua ultima frase.

<< Figli? >> domando.

<< Vampiri. Discendono tutti da me. Io sono il loro padre, il loro padrone, il loro sovrano. Sono l'unica certezza che hanno nella loro vita immortale >> afferma, ma poi la sua espressione cambia repentinamente.

Stringe forte le dita sul cornicione di marmo. Un crepitio attira la mia attenzione. Quando Aaron allenta la presa, noto che dei solchi si sono formati lì dove aveva posato le mani.

Deglutisco.

<< Ma alcune delle mie creazioni sono, come dire... difettose >> sussurra << è stato un "errore" a ferire la tua amica. Non mi obbedisce >> la sua voce è sibilante, avvelenata di rabbia e di risentimento.

Lo fisso, cercando di cogliere le sue emozioni e ciò che vuole dirmi.

<< Cosa intendi con "difettose"? >> gli chiedo.

Lui si volta verso di me e mi sorride.

<< Leggi il libro che ti ha dato la strega e scopri la tua storia, prima che le verità non dette ti investano >> mi risponde lui.

Faccio per rispondergli, quando una voce lontana pronuncia il mio nome. Forte, sempre più forte.

Il mio sguardo torna ad Aaron. E' immobile, il sorriso appena percettibile sulle sue labbra morbide.

<< Presto scoprirai tutto, Nevena >> la sua voce è sempre più debole, lontana.

Pian piano la vista si sfoca, riportandomi indietro. Lo guardo un'ultima volta e riesco a malapena a recepire ciò che ha da dire.

<< Siamo molto più simili di quello che credi >> sussurra.



Mi sveglio. Strizzo gli occhi a causa delle luci chiare appese al soffitto.

Sbatto le palpebre un po' di volte, per mettere a fuoco l'ambiente intorno a me. Un forte odore di disinfettante mi inonda le narici e capisco subito di essere in ospedale.

Cerco di fare mente locale, osservandomi le mani. Nel braccio sinistro, ho inserita una canula a cui è collegata una flebo. Guardo la mano destra e mi accorgo che è molto indolenzita. La ruoto, mostrando il palmo. Sopra, ci sono dei profondi tagli che devo essermi procurata affondando le unghie nel pugno chiuso.

Nella stanza con me, all'inizio mi sembra che non ci sia nessuno. Ma poi il mio sguardo cade su due figure. Sono seduti sul divanetto accanto alla parete, appisolati.

Jonathan e mio padre sonnecchiano spalla a spalla. Mi fa strano vederli insieme in una situazione così intima.

Cerco di spostarmi nel letto. Un lamento soffocato mi esce dalle labbra quando provo a sistemarmi.

In quel momento, Jonathan apre gli occhi e ci guardiamo.

Si alza e me lo ritrovo accanto. Si siede sul bordo del letto, senza dire una parola. I suoi occhi lucenti, sono colmi di lacrime che tenta invano di trattenere. Il suo volto è pallido, come se avesse appena visto un fantasma.

Cerco di muovermi, ma non ne ho le forze. Tutto il mio corpo è indolenzito, rigido. Come se un camion mi fosse passato sopra più volte, ripetutamente.

La mano di Jonathan si posa sulla mia spalla.

<< Ti aiuto io, stai ferma >> sussurra piano.

Annuisco e lascio che mi posi le mani sotto le braccia. Emetto un verso di dolore quando mi tira su, mettendomi più dritta con la schiena.

<< Scusa >> mi dice.

<< Cos'è successo? >> quasi non riesco a pronunciare quelle parole. La gola mi fa male, la sento gonfia.

Jonathan sembra capirlo e mi passa un bicchiere d'acqua che era posato sul comodino accanto al mio letto.

<< Bevi >> mi ordina.

Prendo in mano il bicchiere e me lo porto alle labbra. La mia gola ringrazia per quel liquido fresco e subito provo un po' di sollievo.

Jonathan riprende il bicchiere e lo tiene in una mano, mentre l'altra si posa sulla mia. Non la scosto.

<< Cos'è successo? >> ripeto la domanda.

Lui sospira.

<< Non ti ricordi nulla? >> mi chiede.

In quel momento, mi torna tutto in mente. La telefonata di Sally, il suo urlo. Io che la raggiungo e la trovo in fin di vita a terra. Il sangue che riempie il terreno sotto di noi. La mia mano sul suo collo che tenta di fermare l'emorragia. E poi un forte dolore. Lancinante, penetrante, sordo che mi coglie in pieno, facendomi tremare fin dentro le ossa.

Ricordo le visioni, rapide e fulminee nella mia testa. La sensazione di attrazione e repulsione allo stesso tempo per il sangue che mi ricopriva tutto il corpo.

E poi lui. Aaron. La nostra conversazione. Forse era solo un sogno, forse la mia mente era talmente scossa in quel momento, da proiettarmi la sua immagine. Eppure sembrava così reale. Le sue parole mi risuonano vivide nelle orecchie. Ricordo ogni cosa.

Alzo lo sguardo su Jonathan, di nuovo consapevole della situazione.

<< Sally... lei è... >> non riesco a finire la frase. Il solo pensiero che sia morta e che io non abbia potuto fare nulla per aiutarla, mi devasta.

Lui mi stringe forte la mano, attirando il mio sguardo nel suo.

<< Sta bene. Ha perso parecchio sangue ma è viva. Grazie a te >> quelle parole mi scaldano il cuore e mi fanno tornare a respirare normalmente.

<< Se non fosse stato per te, ora non sarebbe più qui con noi. Hai bloccato l'emorragia quel tanto che è bastato prima che l'ambulanza vi raggiungesse. Sei stata brava, Nevena >> la sua voce è orgogliosa e triste allo stesso tempo. Lo sa cosa ho dovuto passare, comprende il mio stress.

<< E cosa è successo a me? >> chiedo.

Fa per rispondere, ma mio padre dal divano si sveglia e si rende conto della situazione. Mi ritrovo avvolta in un suo abbraccio senza accorgermene. Piange e le sue mani mi accarezzano i capelli, il corpo, le mani. Come per assicurarsi che io sia davvero qui e che non sia solo un sogno.

Mi prende il volto fra le mani e mi bacia una guancia. Le sue lacrime calde mi bagnano la pelle.

<< Grazie a Dio >> sussurra.

<< Sto bene >> gli rispondo piano.

Lui scuote la testa e mi stringe di nuovo a sé. Lo lascio fare.

<< Dovremmo chiamare il medico e dirgli che ti sei svegliata >> suggerisce Jonathan.

Mio padre annuisce ed esce dalla stanza.

Torno a guardare l'altro mio padre seduto accanto a me. Non si è mai spostato.

<< Ti diranno che hai avuto una crisi epilettica >> sussurra piano.

I nostri occhi si osservano, parlandosi in una maniera silenziosa. Ripenso alle parole di Aaron.

"E' cominciata la tua transizione".

Quella frase mi tormenta, mi incute timore e ansia. Cosa intendeva Aaron? A cosa è dovuto il mio malessere? Il solo pensiero di dover riprovare ancora quel dolore, mi fa venire i brividi in tutto il corpo.

<< E non è così, vero? >> domando, già conoscendo la risposta di Jonathan.

Il suo sguardo è desolato, quasi colpevole. Non riesco a comprendere la tristezza che riempie le sue iridi chiare, eppure la percepisco. Sento che soffre per me, per ciò che è successo e per ciò che accadrà.

Non mi risponde.

Gli basta scuotere la testa e io sospiro, preoccupata e ansiosa. In attesa dell'inevitabile destino che mi aspetta, qualunque esso sia.



Passo la notte in osservazione. Per tutta la sera, ho ricevuto continue visite da parte della mia famiglia, di Donna e di Major.

Li ho visti tirare un sospiro di sollievo nello scoprire che stavo bene e piangere di gioia.

Mia madre mi ha stretta così forte quando mi ha vista sveglia, che per poco non mi strozzava. Ha detto che era di turno, quando Sally ed io siamo arrivate.

Ne ho approfittato per avere notizie della mia amica. Mi ha detto che è ancora in terapia intensiva. Si è salvata per miracolo, mi ha rivelato. E' stata diverse ore in sala operatoria, dove hanno fermato l'emorragia e le hanno fatto diverse trasfusioni per restituirle tutto il sangue che aveva perso. Però se l'è cavata.

"E' stata fortunata" ha detto mamma, gli occhi gonfi dal pianto.

Non dev'essere stato facile vedere arrivare in quelle orribili e preoccupanti condizioni, sua figlia e la sua migliore amica. Le ho chiesto se potevo andare da Sally, ma non è stato possibile. Le sue condizioni sono ancora precarie, anche se non è più in pericolo di vita.

"Magari fra un paio di giorni. Quando la sveglieremo dal coma farmacologico" mi ha promesso mamma.

Poco dopo sono arrivati i colleghi di mio padre. Il capitano Barnes mi ha fatto una serie di domande, sperando di riuscire a ricostruire gli eventi. Purtroppo non sono stata molto d'aiuto. Però sono certa, e l'ho detto al capitano, che Sally sia stata aggredita da qualcuno che conosceva.

Quelle parole...

"Che cosa vuoi?".

E' chiaro che Sally conoscesse il suo aggressore.

La polizia ha detto che si metteranno subito in azione. Prenderanno sicuramente visione dei filmati delle telecamere della piscina, sia interne che esterne. E di quelle posizionate lungo la via. Sperano di trovare il bastardo che ha quasi ucciso la mia amica.

Stringo forte il lenzuolo bianco e ruvido del letto tra le mani. Dentro di me, sento montare una rabbia incontrollata, nera. Chiunque sia stato, non la passerà liscia. Non con me.

Immediatamente, cerco di ricostruire come posso la scena. Quella ferita, non era una qualsiasi. Era un morso. Identico a quello che nella mia visione di giorni fa, Aaron aveva lasciato su quella povera donna a cui ha tolto la vita.

Sono sicura che il mostro che ha ferito Sally, non sia umano. Non ho dubbi ormai su questo. Sto, pian piano, accettando il fatto che in questo mondo esistano cose che non riusciamo a spiegare.

E' stato un vampiro. Ma chi? E perché?

Non è possibile che per tutto il tempo che ho vissuto qui, una di quelle creature sia apparsa solo ora. Sono certa che non sia un caso e la conversazione che ho avuto con Aaron nel mio sogno, me lo conferma.

Ha parlato di "figli", di "creazioni". Quindi tutti i vampiri sono suoi discendenti. Ha senso riflettendoci bene. Lui è il primo vampiro della storia, lui ne ha generati altri, dando così inizio alla sua stirpe. Ma come? Li ha concepiti? Ha trasformato degli umani e li ha resi come lui?

Ho così tante domande. Eppure so che al momento, con tutto quello che mi è successo, i miei genitori e Jonathan, sarebbero restii a dirmi tutta la verità.

Mi rannicchio nel letto, sovrappensiero. Mi stringo le ginocchia al petto e sospiro. Mancano solo due giorni al mio diciottesimo compleanno, ormai. E' arrivato il momento per me di scoprire cosa nasconde il mio passato, e cosa ne sarà del mio futuro.

Però l'attesa mi tortura. L'idea di non poter conoscere la verità da mio padre e mia madre, da Jonathan, ora che già so che esiste una realtà fatta di mostri e di streghe che coincide con la nostra, non mi va giù.

Non posso fare a meno di pensare che Aaron ha ragione. Lui è l'unico che non mi ha mentito, che mi ha rivelato qualcosa in più su di me.

Sento che tra noi c'è una forte connessione. Un legame oscuro, ma forte. Lo so che è pericoloso, lo percepisco nella sua voce, nei suoi gesti, in quegli occhi uguali ai miei, ma privi di anima. Eppure, non posso fare a meno di convenire con lui, di rimanerne affascinata. L'oscurità che emana, mi scivola sulla pelle, come una carezza suadente e delicata. Mi sussurra, mi chiama, mi invita a seguirla.

Forse è per questo che lo vedo nei miei sogni e nelle mie visioni. Il modo in cui comunichiamo, in cui ci osserviamo, mi mette in allerta ma allo stesso tempo mi esalta. Sento che condividiamo più di un paio di occhi identici. Ma cosa?

E poi le mie convulsioni, quel dolore così intenso da farmi credere di stare per morire. Jonathan aveva ragione quando poche ore fa, ha detto che mi avrebbero comunicato di aver sofferto di un attacco epilettico. Ma non è così.

Aaron ha parlato di transizione. Jonathan è stato zitto, ma sa che il mio non è stato sicuramente un problema neurologico.

E allora cos'era? Cosa significa "transizione"?

Le domande mi frullano nella testa così frenetiche da farmi male.

Penso, penso e penso ancora. E poi un'illuminazione.

Vorrei avere qui con me i libri che ho preso a Boston giorni fa, ma non è possibile. Non posso chiedere ai miei genitori di portarmeli. Tantomeno a Jonathan, non acconsentirebbe comunque. Loro sono decisi ad aspettare il mio compleanno. Ma non io. Basta adesso.

Mi sporgo a destra del letto, verso il comodino. Recupero il cellulare e controllo l'ora.

Sono le dieci e cinquanta.

Apro la rubrica e scorro i contatti in cerca di quello che mi interessa.

Mi blocco quando lo trovo. Penso a cosa sto per fare, alle conseguenze. Ma le subirò in ogni caso da qui a pochi giorni. Sono stanca di vivere nell'ombra, nel dubbio. Voglio sapere.

Faccio partire la chiamata e attendo.

<< Pronto? >> una voce dolce e vellutata risponde dall'altro lato del telefono.

<< Eris? >> la chiamo << sono Nevena, ho bisogno di parlarti. Subito >>.

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