12 - L'ALLENAMENTO -
- Capitolo dodici -
L'allenamento
Sono in camera mia con l'armadio aperto di fronte a me. E' da qualche tempo che non mi alleno con papà e non ricordo dove ho messo la mia rashguard preferita.
Butto per aria un po' di vestiti, ma finalmente la trovo. Recupero anche un top da allenamento e dei leggins a compressione e mi cambio.
Una volta vestita, mi guardo nello specchio appeso all'interno dell'anta sinistra del mio armadio. L'abbigliamento tecnico che sto indossando, mi calza perfettamente addosso come una seconda pelle. Lo sento aderire al mio corpo come un guanto e mette in risalto le mie forme. Sospiro e poi acconcio i capelli scuri in due trecce che faccio partire dalla fronte.
Dopo essermi preparata, chiudo l'armadio ed esco dalla mia stanza.
Scendo le scale fino al piano terra e poi mi dirigo nel corridoio dove si trova la camera degli ospiti e una porta che dà accesso ad una rampa di scale che va giù fino al seminterrato.
Papà, quando ero piccola, ha trasformato quella vecchia stanza in una vera e propria palestra. Accendo la luce. Il locale non è molto grande, ma ha tutto ciò che ci serve per allenarci come si deve. Appena finite le scale, sulla sinistra ci sono un tapis roulant e una panca con un bilanciere e una serie di pesi. Sulla parete di fronte, ci sono due sacchi da boxe appesi al soffitto e due da muro, dove di solito alleno i calci frontali e quelli girati.
Il pavimento è quasi interamente coperto da un tatami rosso scuro che papà ha messo per permetterci di allenarci nel judo e nella lotta a terra. Mi tolgo scarpe e calze prima di salirvici sopra. Mi metto al centro e incomincio a correre sul posto e a fare una serie di esercizi di riscaldamento.
Mi sto scaldando il collo ruotandolo più volte, quando sento due voci maschili provenire dal piano di sopra. Dei passi pesanti scendono le scale e poi spuntano mio padre e Jonathan. Entrambi sono già pronti e vestiti per cominciare.
Mi tiro su in piedi e i miei occhi cadono su Jonathan. Lui mi guarda, un sorriso aleggia sulle sue labbra. E' molto muscoloso. La sua rashguard nera e rossa aderisce perfettamente al petto possente e i bicipiti sono lasciati liberi dalle maniche. Ha quadricipiti molto voluminosi e polpacci sodi.
Deglutisco.
Ho come l'impressione che perderò la scommessa con mio fratello.
<< Ti sei già scaldata? >> mi domanda mio padre, mentre si leva le scarpe e si affianca a me iniziando a correre sul posto.
Annuisco.
<< Avevo cominciato a fare un po' di stretching >> confermo.
Jonathan ci raggiunge e non dice una parola. Mi guarda in silenzio, studiando ogni mio movimento mentre continuo a preparare i muscoli. Mi sento osservata, ma non mi dà fastidio.
Mio padre mi parla della sua mattinata e di come sia contento di essere riuscito a pulire il garage per bene dopo mesi. Onestamente, non lo ascolto con molta attenzione. Sono concentrata su me stessa. Non so nemmeno io perché, ma voglio assolutamente vincere la scommessa con mio fratello. E soprattutto, far vedere a Jonathan che sono brava, che so muovermi, difendermi e attaccare al meglio. Non so il motivo per cui sento questo bisogno improvviso, in fondo non gli devo nulla, non devo dimostrare niente. Però è così.
<< Facciamo qualche tiro coi colpitori, Nev? >> mi chiede papà.
Io annuisco e vado verso il lato opposto della stanza, dove si trovano i sacchi. Lì accanto, c'è un armadietto con le fasce e i guantoni. Mio padre presta un paio di entrambi a Jonathan e in silenzio, lui ed io indossiamo le protezioni. Papà recupera da terra due colpitori e li indossa, spostandosi poi al centro del tatami.
Vado verso di lui e lo guardo sorridendogli complice. Lui ricambia e i suoi occhi azzurri si illuminano.
Jonathan è a pochi passi da me e ci osserva in silenzio.
<< Ok, Nev. Facciamo vedere a maestro Miyagi quanto colpisci forte >> dice mio padre, voltandosi verso il suo amico con un sorriso malizioso.
Jonathan ride fragorosamente. Quella risata mi suona familiare, come se l'avessi sentita così tante volte da poterla riconoscere ovunque. Nella mia testa passano veloci una serie di immagini di un Jonathan più giovane allegro e spensierato. Me ne rimane impressa una, dove lui tiene in braccio una piccola bambina di circa un anno e la lancia in aria. Ridono entrambi. Sono felici.
Trattengo un respiro e scuoto la testa. Mi stanno ritornando i ricordi della mia infanzia in maniera sempre più rapida e improvvisa. Fortunatamente mio padre non sembra essersene accorto, ma gli occhi di Jonathan mi dicono il contrario. Mi sta fissando, incuriosito e forse anche un po' incupito.
Scuoto la testa e ritorno a concentrarmi su mio padre davanti a me. Mi metto in posizione di guardia, col piede sinistro avanti e quello destro indietro. Incurvo un po' la schiena, i gomiti bassi a coprirmi lo stomaco e il più possibile attaccati al corpo, i guantoni appoggiati al viso.
<< Ci sono >> dico.
Mio padre annuisce e mi mostra la combinazione da eseguire. Diretto destro, diretto sinistro, schivata, gancio destro e gancio sinistro.
Semplice, perfetta per cominciare.
Parto piano, cercando di essere precisa. Poi aumento il ritmo e la forza dei pugni. Il segreto, mi diceva sempre mio padre da piccola, è usare tutto il corpo, non solo le braccia. Quando assesti un colpo, è tutto il corpo che si muove. Sono le spalle, il bacino, le gambe, i piedi che seguono la traiettoria che vuoi dare al tuo attacco. Solo sfruttando tutta la tua forza e la coordinazione, il colpo andrà a segno e farà male.
Mi muovo precisa, veloce, diretta. Cambiamo varie combinazioni, aggiungendo colpi e schivate. I miei pugni arrivano forti, tuonando sulla pelle del colpitore. Tutto il mio corpo si muove in sintonia, è carico, pieno di energia.
<< Pausa >> ansima mio padre. Non sembra, ma tenere i pads è stancante tanto quanto colpirli, soprattutto se chi lo fa è bravo e tiene un buon ritmo.
Annuisco, respirando a fondo anche io.
<< Brava >> la voce di Jonathan cattura la mia attenzione e mi volto. Mi ha osservata per tutto il tempo, sentivo il suo sguardo addosso in ogni passo, in ogni sferzata. Voglio che sappia, che veda che sono brava. Che so far male.
<< Grazie >> sussurro, levandomi un guantone e sistemandomi un capello ribelle che mi ricade sulla fronte sudata.
Lui annuisce e viene verso di me. Ha le braccia conserte e mi osserva girandomi in torno.
<< Facciamo una ripresa, ti va? >> mi domanda.
Lo guardo negli occhi. Una scintilla gli brucia le iridi chiare e le sue labbra sono increspate in un sorriso di sfida.
Annuisco.
<< Michael mi ha detto che crescendo gli hai reso la vita difficile e che lo hai spesso messo al tappeto. Vediamo come te la cavi con me >> dice, puntando poi lo sguardo su mio padre a pochi passi da noi.
Lui sorride e mi guarda. Vedo nel suo viso la fierezza e l'orgoglio che prova nei miei confronti. Sa che sono brava. Crede in me e questo mi mette ancora più voglia di dimostrarlo anche a Jonathan.
Infilo i guantoni e mi avvicino al mio avversario. Lui sembra irrigidirsi un attimo ma poi si rilassa e mi porge un guantone in segno di saluto.
Batto il mio contro il suo e poi faccio qualche passo indietro, preparandomi.
<< Usa anche i calci, questa volta. Voglio vedere come muovi le gambe >> mi intima lui.
Annuisco in silenzio e mio padre, che ci fa da arbitro, fa partire il piccolo timer che è appeso al muro.
Suona e partiamo.
Non voglio essere la prima ad attaccare. Sono curiosa di vedere come si muove Jonathan davanti a me. Noto già che abbiamo entrambi la stessa guardia, ma le sue braccia sono tenute più rilassate e meno attaccate al corpo rispetto alle mie.
Mi studia, mi gira intorno, esattamente come sto facendo io con lui. Poi attacca.
Mi viene addosso con un paio di diretti e un gancio che prontamente riesco a schivare. Non attendo che si allontani e mi sposto leggermente a sinistra, colpendo uno spazio che aveva lasciato aperto sul ventre.
Lo centro e subito faccio perno sulla gamba sinistra e gli arrivo di lato, assestandogli un gancio al viso. Si para, ma scopre di nuovo lo stomaco, così ne approfitto per calciare. La mia tibia compie un movimento a parabola dal basso verso l'alto e lo prende nello stesso buco dove prima era riuscito ad entrare il mio gancio destro. Mi sposto subito e torno a muovermi scattante sui piedi.
Lui mi sorride. Sembra quasi divertito.
<< Facciamo sul serio, allora >> sussurra.
E poi carica di nuovo. Questa volta ci va giù pesante e capisco che il primo attacco era solo per scaldarsi. Cerco di schivare i colpi e di assestarne altri. I miei polmoni bruciano in cerca d'aria e le mie gambe si muovono veloci tra spostamenti, schivate e calci.
E' bravo. Avevo immaginato che lo fosse, ma sembra essere più di semplice talento. Non pare nemmeno far fatica, il suo fiato non è corto come il mio, il sudore che impregna la sua fronte, non è paragonabile a quello che lucida la mia. Sembra quasi che non si stanchi mai, anzi, ogni colpo è quasi come una ricarica per lui.
Un suo montante mi prende il fegato e una fitta di dolore si irradia in tutto il mio corpo.
Noto mio padre fare un leggero passo verso di noi, ma poi si blocca nel vedermi continuare a schivare e a colpire.
Non mi faccio fermare da un pugno ben assestato, non voglio mostrarmi debole o dolorante. Non darò a Jonathan la soddisfazione di battermi e di dimostrare di essere il migliore.
Con la coda dell'occhio vedo che mancano trenta secondi alla fine della ripresa. E allora carico.
Gli vado addosso e inizio a colpirlo con una serie di combinazioni chiudendo sempre con un calcio. Noto sul suo viso un'espressione sorpresa e questo non fa altro che invogliarmi ancora di più a seguire la mia strategia.
Lui indietreggia e io gli sto addosso. Un suo gancio mi arriva a pochi centimetri dal viso e lo schivo indietreggiando. Da quella posizione allora mi sposto in avanti e tento una ginocchiata saltata.
Gli pinzo la bocca dello stomaco proprio quando il timer segna la fine dei quattro minuti della ripresa.
Jonathan si leva i guantoni e si porta una mano sugli addominali, massaggiandoseli. Cerco di trattenere un sorriso e di non dare a vedere quanto io sia fiera di avergli tenuto testa.
Lui alza lo sguardo e un sorriso compiaciuto appare sulle sue labbra.
<< Avevi ragione Michael >> dice Jonathan a mio padre << l'hai addestrata bene >>.
Mi volto e negli occhi di papà vedo quello stesso luccichio che aveva ieri sera in cucina. Ho di nuovo quella strana sensazione, come se in quelle parole ci sia un significato più profondo rispetto a quello che riesco a cogliere io.
<< Ho solo tramandato ciò che tu mi hai insegnato >> lo lusinga mio padre.
Jonathan annuisce e torna a guardarmi.
<< Picchi forte, sai? >> mi dice.
Alzo le spalle.
<< Abbastanza >> rispondo con falsa modestia.
Lui si leva i guantoni e li passa a mio padre. Poi si siede e con un cenno della mano mi invita a fare lo stesso.
<< Fammi vedere come te la cavi nella lotta a terra >> mi ordina.
Non me lo faccio ripetere due volte. Mi sfilo i guanti e copio la sua posizione.
I miei occhi lo fulminano e lui trattiene un sorriso divertito.
<< Non so sei pronto a farti fare il culo di nuovo >> lo sfido.
Mio padre ride e Jonathan fa lo stesso. Le sue iridi luccicano di un fuoco ardente. Anche lui esattamente come me, non sa perdere. E sotto sotto, so che non si aspettava che sarei riuscita a stargli dietro.
Avvicina il pugno e io glielo batto in segno di rispetto.
<< E tu sei pronta, invece? >> mi sussurra piano.
Oh sì che lo sono. E iniziamo a lottare.
L'acqua calda mi scorre incessante sul corpo carico di energia.
Sorrido ancora ripensandoci. Era da tempo che non mi allenavo così bene. Jonathan nella lotta a terra è decisamente più forte di me, vuoi per la maggiore esperienza e per la sua mole decisamente più imponente della mia. Ma sono riuscita a farmi valere.
L'ho finito ben tre volte su cinque, tutte per sottomissione.
Nei suoi occhi ho visto lo stesso orgoglio che c'era in quelli di mio padre. Non so perché questa cosa mi renda felice, ma è così. Sono contenta di avergli dimostrato di essere brava, di saper far bene qualcosa .
Chiudo l'acqua ed esco dalla doccia, avvolgendomi in un accappatoio di spugna morbido. Jonathan e papà sono ancora di sotto, credo avessero voglia di passare un po' di tempo da soli. Meglio così, io devo prepararmi per stasera.
Sono riuscita a chiedere a mio padre se Chris potesse andare al cinema e lui ha acconsentito. A dirlo a mamma ci avrebbe pensato lui, ha promesso.
Vado in camera mia, dove mi cambio e indosso un paio di jeans e un maglione bianco.
Recupero il telefono che avevo lasciato sulla scrivania mentre mi lavavo. Sulla nostra chat di gruppo, Donna ha scritto di vederci per le sei, così avremo il tempo di accompagnare Chris e Kathy allo spettacolo delle sei e trenta e noi di cenare.
Mi porto il cellulare in tasca e faccio per uscire dalla stanza, quando il mio occhio cade sui due libri datemi da Eris il giorno prima. Sono entrambi aperti sul mio letto. Quando sono arrivata a casa dopo scuola, mi sono messa a sfogliarli, ancora più incuriosita di scoprire la verità sulla mia vita.
Non posso fare a meno di pensare chi c'è adesso nel seminterrato.
Jonathan, potrebbe fornirmi tutte le risposte che cerco. Sono sicura che abbia capito che l'ho riconosciuto e che so chi è. Eppure non ha mai accennato alla questione. Non so se perché prima ci stessimo allenando, e quindi fossimo impegnati o per altro.
Sta di fatto che il nostro tacito accordo di ieri non è stato infranto. Ma io sono così stanca di aspettare, di avere visioni su un passato sempre più oscuro e misterioso.
E poi la questione dei vampiri, di Aaron. Mi mette ancora più in crisi rispetto al resto. Ogni volta che chiudo gli occhi, non posso evitare di pensare a quell'uomo. Cosa ha a che fare con me? Perché è così presente nella mia vita? Cosa sono io per lui?
I miei dubbi mi consumano e mi fanno venire un gran mal di testa.
Cerco di ricompormi e torno in bagno per asciugarmi i capelli e truccarmi. Quelle semplici e automatiche azioni, mi fanno rilassare e la mia mente si fa più leggera.
Terminato di prepararmi, esco dal bagno e faccio per tornare in camera mia.
Mi blocco sulla porta.
Jonathan, con ancora indosso gli abiti da allenamento, è in piedi accanto al mio letto. In mano, tiene il grande libro sui Whiteoak. E' di spalle, perciò non nota la mia presenza.
Mi irrigidisco e un respiro mozzato mi tradisce. Lui si volta di scatto verso di me e i suoi occhi chiari mi catturano.
Tra di noi c'è silenzio.
Lo guardo e d'istinto, la mia attenzione ricade sul libro che tiene tra le mani. Lui se ne accorge, ma mi sorprendo nel vedere che non fa nulla per nascondere il fatto che stesse frugando di nascosto nella mia camera.
Incrocio le braccia al petto, un po' indispettita.
<< Cosa fai nella mia stanza? >> domando diretta.
Lui sospira continuando a sfogliare il libro.
<< Come lo hai avuto? >> mi dice, cambiando discorso.
Scuoto la testa e chiudo la porta. Non voglio che questa conversazione arrivi ad altre orecchie oltre alle nostre. Non al momento.
Mi avvicino a lui, arrabbiata. Gli strappo il libro dalle mani e lo butto sul letto.
Lui alza un sopracciglio, colpito dalla mia reazione.
<< Non hai risposto alla mia domanda. Cosa ci fai in camera mia? >> ripeto, scandendo bene le parole. Il tono della mia voce è basso, infuriato per quella violazione del mio spazio privato.
Lui sospira e si porta le mani sui fianchi.
<< Cercavo il bagno >> risponde.
Trattengo una risata amara e delusa. Che falso.
Non sono stupida, è chiaro che stesse cercando informazioni su di me. Su quello che so di lui e di come sono venuta a conoscenza di tali informazioni. Adesso è certo che ha capito. Che so chi è lui.
<< Cazzate, volevi ficcare il naso nelle mie cose per capire come faccio a sapere chi sei >> gli sputo in faccia quella verità con una tale stizza, che lo colgo di sorpresa.
Il suo petto inizia ad alzarsi e abbassarsi più velocemente. Si sta innervosendo anche lui.
Bene, avevo proprio voglia di litigare col mio padre biologico oggi.
Scuote la testa e punta un dito verso di me, intimandomi di stare attenta a ciò che dico.
<< Tu non sai niente, Nevena >> sussurra lui, la rabbia nella voce.
Mi avvicino ancora di più. Sono a pochi centimetri dal suo viso e i miei occhi sono infuocati.
Non mi sorprende che sostenga il mio sguardo. Siamo padre e figlia, dopotutto.
<< So che sei mio padre >> gli rispondo, i miei occhi incollati ai suoi. Lo sfido, cercando di farlo crollare, di rivelarmi perché mi ha abbandonata.
Nelle sue iridi, vedo brillare una luce diversa. Mi sembra quasi che il suo cuore si stia spezzando dal modo in cui mi guarda.
Scuoto le spalle, un po' agitata da quella reazione. Anche se sento di essere stata toccata da quella scintilla, non posso mollare adesso, non posso farmi vedere debole e mollare la presa. Voglio sapere la verità.
<< Te lo ripeto, Nevena. Non sai nulla di questa storia >> risponde, cercando di rimanere calmo. Ma il tremolio della sua voce lo tradisce, così incalzo.
<< Ah sì? Forse perché qui nessuno ha intenzione di dirmi la verità. Perchè mi hai abbandonata? >> gli domando secca.
Lui sorride amaramente e scuote la testa. Non mi guarda più negli occhi.
<< Non ti ho abbandonata >> mi risponde piano.
Rido. Non è una risata di gioia. E' amarezza.
Continua a dirmi bugie, una dietro l'altra. E io sono così stanca di sentire gente che mi mente sempre, ogni giorno. Sono sfinita, voglio delle risposte. Non sto più alle loro regole, non sono più disposta ad attendere il mio diciottesimo compleanno, anche se è fra pochi giorni.
Mi è stato nascosto fin troppo.
<< Certo che lo hai fatto. Mi hai lasciata, mi hai affidata ad un'altra famiglia per chissà quale folle motivo. Ho passato gli anni più belli della mia vita con mio padre, mia madre e mio fratello. E all'improvviso, dopo quasi diciotto anni, ritorni e non mi degni neanche di una cazzo di spiegazione?! >> sbraito.
Dire che sono furiosa è riduttivo. Mi tremano i muscoli, sento il fuoco nelle vene che si irradia per tutto il corpo e arriva al viso.
Jonathan non dice nulla, ma i suoi occhi tornano a incrociare di nuovo i miei. In entrambi, divampa la stessa rabbia.
<< Non è stata una scelta che ho preso a cuor leggero, Nevena. Ho dovuto lasciarti, non potevo fare altro >> la sua voce, nonostante il calore che gli invade le guance, è calma << dovevo proteggerti >> termina.
<< Da chi? >> domando.
Lui scuote la testa, ma non dice nulla.
Chiudo gli occhi, frustrata dalla situazione. Mi allontano da lui e cammino nella mia stanza, cercando di riprendere a respirare regolarmente e calmarmi.
Mi avvicino al davanzale della finestra e mi ci appoggio.
<< Sono così stanca >> gli rivelo.
Lui si volta verso di me e un'espressione di tristezza gli appare sul viso.
<< Sono così stanca di tutti questi segreti >> proseguo << voglio solo avere delle risposte. Sono giorni che vivo male, che non dormo serena. Vengo colta da incubi, da ricordi improvvisi, da visioni che mi stordiscono ogni volta che ritorno alla realtà. Io sto vivendo un inferno e tu non vuoi dirmi nulla >> sussurro.
Lui mi si avvicina. Non mi sposto quando mi posa una mano sul braccio. Alzo lo sguardo su di lui e trattengo un respiro.
Sta piangendo.
<< Doverti lasciare, è stata la cosa più difficile e dolorosa della mia vita. Non mi sono mai perdonato per questo. Ho perso tutto. Il tuo primo giorno di scuola, la tua prima lezione di nuoto. Non ti ho mai potuto aiutare con i compiti o difenderti dai bulli. Mi sono perso i tuoi compleanni. Ma l'ho fatto per te, per salvarti >> mi risponde.
Scuoto la testa e in quel momento, mi accorgo di star piangendo anche io.
<< Ma da chi? >> domando esasperata.
Sul suo volto, appare un sorriso amaro e la sua mano scivola via dal mio braccio.
<< Da chi voleva farti del male. Nevena, non posso dirti altro al momento, ti prego. Non rendermi le cose più difficili di così >> sussurra lui.
Annuisco, consapevole che nemmeno ora che si è un minimo aperto con me, avrò le risposte che cerco.
Sospiro, stanca. Onestamente, non so più cosa dire. Il nostro tacito accordo è crollato, ora ci siamo detti entrambi quello che già sapevamo, ma che nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo ad alta voce. Eppure, nonostante questo, Jonathan non ha intenzione di rivelarmi nient'altro. Non per il momento almeno.
Mi domando il perché questa verità che tanto bramo, abbia una data di scadenza precisa. Perché non posso sapere tutto adesso? Cosa cambia dal conoscerla ora o fra pochi giorni?
Tutto questo mistero mi sta solo facendo venire un gran mal di testa.
<< Nevena? >> mi sento chiamare.
Alzo lo sguardo su Jonathan e mi irrigidisco un attimo nel vedere la sua espressione. Sul suo viso, aleggia un'aria terrorizzata mentre osserva il davanzale esterno della mia finestra. Sul legno e sul vetro, ci sono dei graffi profondi, quelli apparsi qualche notte fa.
<< Cosa c'è? >> domando.
Lui la apre di scatto, senza dire nulla. Sfiora con le dita i profondi solchi sul legno e un rivolo di sudore gli scende lungo la tempia.
<< Cos'è stato a rigare il davanzale? >> la sua voce è flebile, quasi un sussurro.
Scuoto la testa, confusa da quell'improvvisa domanda.
<< Non lo so, sono apparsi due notti fa. Credo sia stato un corvo >> rispondo non curante.
<< No >> risponde secco << è stato qualcos'altro >>.
Quelle parole mi fanno scendere un brivido lungo la schiena. La mia mente d'istinto proietta davanti a me il volto di Aaron.
Possibile che...
<< Nev! >> le urla di mio fratello dalla stanza accanto, interrompono la mia conversazione con Jonathan.
Mi riprendo un attimo e vado alla porta. Chris è proprio in mezzo al corridoio, già vestito per la serata.
<< Nev, sbrigati! Kathy e Donna ci aspettano al cinema fra venti minuti! >> esclama lui, euforico.
Gli sorrido e annuisco.
<< Sì, Chris. Arrivo subito, tu inizia ad andare di sotto >> gli rispondo.
Chris annuisce e scende le scale di corsa, sparendo dalla mia visuale. Rientro in camera e la mia attenzione torna su Jonathan. E' intento ad osservare quegli strani segni sulla mia finestra.
Chissà a cosa si riferiva prima.
<< Devo andare, Chris mi aspetta >> mi scuso.
Lui annuisce mentre mi raggiunge lentamente.
<< Stai attenta >> sussurra lui.
Lo guardo corrucciata. A cosa dovrei fare attenzione di preciso?
<< A cosa? >> gli domando confusa.
Lui scuote la testa e mi sorride triste.
<< Niente, non è il momento di parlarne. Guida piano >>.
Sono le sue ultime parole prima di lasciarmi sola, sullo stipite della porta, con ancora più domande e dubbi di prima.
Dopo aver lasciato Kathy e Chris al cinema, Donna ed io aspettiamo Sally davanti all'entrata del ristorante Wenzhou.
Sospiro sovrappensiero. La conversazione con Jonathan mi ha messo addosso una strana agitazione. Non so cosa sia stato di preciso, se l'avermi finalmente confessato la sua vera identità o la sua reazione nel vedere i segni sulla mia finestra.
Il modo in cui ha reagito a quei graffi, ha fatto scattare nella mia testa un campanello di allarme. Mi ha detto di tenere gli occhi aperti, di stare attenta. A cosa si riferiva?
Un piccolo angolo della mia mente non fa altro che pensare ad Aaron e a ciò che è. Un mostro, una creatura assetata di sangue. Un assassino. Possibile che c'entri lui in tutta questa storia?
Un pulsante e imperterrito mal di testa che mi perseguita da tutto il pomeriggio, torna a tormentarmi.
<< Nevena stai bene? >> mi domanda Donna, distogliendomi dai miei pensieri.
Le annuisco sorridendo. Un colpo violento alla tempia destra mi fa stringere gli occhi. Donna sembra preoccupata ma io continuo a sorriderle, cercando di non dar troppo a vedere il dolore.
<< Sì, tranquilla. Ho solo un po' di emicrania >> le rispondo.
<< Vuoi che andiamo a prendere qualcosa alla farmacia qui vicino? >> mi chiede lei.
Scuoto la testa e cerco di rilassarmi, ignorando il fastidio alle tempie.
<< Non ti preoccupare. Sally ti ha detto se sta arrivando? >> le domando, cercando di centrare la conversazione su qualcos'altro.
Donna fa cenno di aspettare e recupera il telefono. Attendo qualche secondo mentre risponde ad un messaggio e mi sorride.
<< Ha detto che ci raggiunge fra poco, esce ora dal turno in piscina >>.
<< Ok, va bene. L'aspettiamo dentro? Inizia a fare freddo qua fuori >> le dico, stringendomi le braccia avvolte nel giacchetto nero di pelle.
Donna annuisce e mi fa strada verso l'entrata del ristorante.
Dopo aver dato il nome della prenotazione, ci accomodiamo ad un tavolo vicino ad una parete completamente decorata da antiche stampe cinesi. Quando Donna era ancora al liceo con noi, venivamo spesso a cenare o a pranzare qui. E' il nostro ristorante cinese preferito.
Ling, il proprietario, ci conosce da quando avevamo quattordici anni. Per lui siamo come di famiglia. E' un locale piccolo, ma molto accogliente e a conduzione familiare.
Mi piace questo posto perché mi sento a casa. E poi, i jiaozi di nonna Mei, sono i più buoni di tutta Chelsea.
Donna si scosta i lunghi capelli biondi e lisci dal viso e mi guarda con attenzione. La osservo anche io, ricordandomi di alcuni suoi strani comportamenti degli ultimi giorni.
Mi è sembrato che si preoccupasse per me, e tutto è iniziato da quando le ho detto che sarei andata a Boston per una ricerca sulla mia famiglia di origine. Perché tutta questa apprensione nei miei confronti?
Ma la cosa che più mi ha confusa, è stata la sua reazione quando oggi, Chris, ha parlato di Jonathan. Non so, ho avuto come la sensazione che sapesse qualcosa di lui, che lo conoscesse.
Onestamente, non saprei come prenderla se fosse davvero così. Una delle mie migliori amiche che conosce il mio padre biologico? Come dovrei reagire ad una notizia del genere?
<< E' andato bene oggi l'allenamento? >> mi domanda lei. I suoi piccoli occhi verdi mi osservano, cercando di carpire qualsiasi minimo gesto che possa rivelarle qualcosa di più.
<< E' stato molto intenso. Però mi sono divertita. Non mi allenavo così bene da parecchio >> le rispondo.
Lei annuisce e appoggia i gomiti magri sul tavolo, posando il mento su una mano.
<< E' bravo l'amico di tuo padre, allora >> aggiunge lei.
Cerco di studiarla, di trovare una risposta nel suo sguardo o in una piccola smorfia sul suo viso perfetto. Ma nulla, rimane impassibile. Eppure sono sicura, che tutta questa curiosità non sia una coincidenza.
<< Sì, lo è. Come mai sei così interessata a lui? >> la incalzo.
Lei alza un sopracciglio e scuote le spalle.
<< Non lo sono, era per chiacchierare >> si difende lei.
Scuoto la testa. Oggi, evidentemente, tutti si divertono a dirmi bugie.
<< Mmm... oggi, quando è venuto fuori l'argomento, fuori da scuola, mi sei sembrata interessata. Come se quel nome, Jonathan, non ti fosse nuovo >> la mia risposta la coglie di sorpresa. Il suo corpo si irrigidisce e inizia ad agitarsi sulla sedia.
In silenzio, si versa un bicchiere d'acqua e aspetta un po' prima di rispondermi.
<< Non è così, te lo avrei detto >> sbotta lei, con una punta di nervosismo nella voce.
<< Donna >> la chiamo. I suoi occhi chiari incontrano i miei e noto in quelle iridi verdi la stessa apprensione che le ho sentito nella voce oggi. << Mi sembri strana in questi giorni, ti vedo agitata. E ho come l'impressione che tu ti stia preoccupando per me. Che succede? >> le chiedo sincera.
Sono così stanca di non avere risposte e di ricevere solo false promesse o bugie. Mi sento così impotente in questa situazione, che ormai trovo perfino difficile arrabbiarmi.
Donna scrolla le spalle.
<< Nevena, davvero, non c'è niente che non va >> mi risponde.
<< Donna, basta mentirmi. Sono circondata da persone che non fanno che raccontarmi cazzate da giorni, non mi serve che lo faccia anche la mia migliore amica >> la supplico.
Lei sospira. Sul suo volto un'espressione combattuta. Non voglio obbligarla a rivelarmi nulla di personale, ma sento che il suo strano comportamento ha a che fare con me. E dunque non posso far finta di nulla. E' chiaro che qualcosa tra noi è cambiato, almeno da parte sua.
Mi osserva in un modo diverso dal solito, si preoccupa per me in maniera quasi ossessiva. Sento sempre i suoi occhi addosso quando siamo in compagnia.
Il picchio violento alla testa torna a rimbombarmi nel cervello, provocandomi scariche di dolore per tutto il corpo. Cerco di non farlo notare alla mia amica, ma mi costa un certo sforzo.
<< E' complicato, Nev. Non so come iniziare il discorso >> mi sussurra lei.
<< Tranquilla, sono qui per ascoltare. Sii solo sincera >> la prego.
Lei mi sorride. Apre la bocca per parlare ma la suoneria del mio cellulare interrompe la nostra conversazione.
Alzo gli occhi al cielo. Sul display del telefono vedo il nome di Sally e la maledico un po' per il pessimo tempismo.
Rispondo.
<< Sì, Sally? >> la saluto.
<< Nev, ho chiuso adesso la piscina. Sto andando a prendere la macchina. Dieci minuti e ci sono >> mi risponde lei. La sua voce è un po' affannata, segno che sta camminando a passo spedito.
<< Ok, tranquilla. Vuoi che ti ordiniamo già qualcosa? >> le chiedo.
Il suo respiro pesante mi rimbomba nelle orecchie, aumentando il dolore nel mio cervello. Strizzo di nuovo gli occhi e mi porto una mano sulla tempia destra. Cosa mi succede?
<< No no, tranquilla. Tanto fra poco sono lì >> la sento fermarsi e armeggiare con qualcosa dall'altro capo del telefono << se solo trovassi le chiavi dell'auto... ah, eccole! >> un tintinnio metallico risuona vicino al microfono del suo telefono.
Quel suono acuto mi provoca un fitta acuta alla testa e devo staccare di poco il telefono dal mio orecchio.
Donna mi guarda preoccupata e mi chiede se sto bene. Annuisco e torno alla conversazione con Sally.
<< Va bene, allora ti aspettiamo >> le dico.
<< Ok, dammi solo diec... >> non termina la frase. La sento sussultare e subito il mio mal di testa passa in secondo piano.
Una strana sensazione mi prende la bocca dello stomaco.
<< Sally? >> la chiamo.
Lei è in silenzio. Poi parla, ma non con me.
<< Che cosa vuoi? >> sussurra a qualcuno lì accanto a lei.
<< Sally?! >> cerco di attirare la sua attenzione, ormai con l'ansia a mille. Ma non odo nulla dall'altra parte, solo un inquietante silenzio.
E poi un urlo.
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