POSTFAZIONE
EPISTOLA DEL PROF. R. DESTEFANIS A COMMENTO DELLA MIA RACCOLTA.
Caro Andrea,
scusami per l'imperdonabile ritardo innanzi tutto, ma purtroppo sono stato molto occupato tra gli impegni familiari e quelli professionali.
Mi ha fatto piacere leggere le tue epistole, di cui preliminarmente ti devo dire che ho apprezzato (e invidiato) la chiarezza. Come scoprirai leggendo, ti "ruberei", se ho il tuo beneplacito, a scopo didattico un intero paragrafo per agevolare agli studenti la comprensione di Popper. Dopo la chiarezza, la prima cosa che ho notato è che non sei solo molto intelligente (ma questo mi era chiaro fin da subito), quanto anche avvezzo alla storia della filosofia ben più di quanto potessi immaginare data la modestia con la quale ti sei presentato a me. Anche questo, l'ho apprezzato molto e spero di proseguire le nostre conversazioni, per quanto non possa certo dare un grande contributo. Ebbene, è stato un piacere ulteriore ritrovare nei tuoi scritti, brevi ma così densi (soprattutto i primi due), "tracce" di filosofi che non citi ma che, d'un tratto, appaiono a rischiarare la strada di chi cerca "la vita e la verità".È un'espressione altisonante, questa, che forse ti potrebbe suonare strana. Con il tempo io (così torinese!) mi sto avvicinando al pensiero della "scuola di Milano" (Papi ecc.), quei filosofi il cui ultimo rappresentante vivente è Carlo Sini. Mi piace molto quello che è uno dei loro appelli-slogan-programmi di ricerca, che per quello che posso cerco di trasmettere nel mio piccolo ai ragazzi: "non separare il pensiero e la vita". Il richiamo implicito è qui a un filosofo che mi è sempre stato ostico come Husserl e al suo "mondo della vita" o "precategoriale", innestato con il pragmatismo americano (il significato di un concetto è dato dalle sue conseguenze pratiche).
Ti scrivo tutto questo perché, in senso diverso da quello che tento di dire, mi sembra di aver notato in alcuni dei tuoi scritti un filo conduttore, il continuo rischio di un solipsismo (in campo speculativo) e/o imperialismo (nei rapporti con il "mistico" di Wittgenstein: metafisica e dintorni...) della ragione, al quale si contrappone il rischio speculare, quello di abbandonarsi al dogmatismo religioso o allo scetticismo (che in fondo, è fede nell'unica proposizione certa ammessa dagli scettici, che non possiamo dire di certo su nulla).È molto giusto quello che scrivi quando dici che si "conosce mediante la conoscenza" e non si può "conoscere la conoscenza" pretendendo di estraniarsi dalle sue meccaniche. Mi verrebbe da dire, dal mio punto di vista, che "la conoscenza è un atto continuo" (riprendo queste tue due parole) molto meno teoretico di quanto si potrebbe credere. Siamo immersi in questo "foglio-mondo" che continuamente scriviamo a partire da strutture psicologiche e categorie concettuali che si sono evolute nel tempo attraverso l'interazione con l'ambiente (bello riportare, vado a memoria, un aforisma di Nietzsche, "Umano, troppo umano": il pregiudizio comune a tutti i filosofi è che la ragione si sia mantenuta immutabile nel tempo, la conseguenza è che il loro castello di idee varrà al massimo per un tipo particolare di uomo, quello di una certa epoca). E sì, avvicinarsi a questo punto di vista sarebbe, è un trauma e non è semplice da accettare: la filosofia diventa un prodotto storico "inventato" da un certo tipo di uomo, la scienza nasce dall'esigenza necessaria di "mettere le briglie" alle radici dionisiache del vivere (tu lo accenni dando una piega in senso morale, seconda epistula); dare un senso a ciò che senso forse non ha rendendo possibile l'esistenza (è tipica dei malati come l'esperienza di relativo sollievo che si ha quando il dottore diagnostica una malattia, anche grave, dopo che per molto tempo si avvertiva il disturbo senza sapere che cos'era: nominare è la prima forma di dominio che ha l'uomo sulle cose, e come nel caso del malato si tratta di una forma di controllo incerta ed effimera). La ragione è uno strumento potente, che però proprio per questo pecca della hybris greca, la tracotanza propria dei tiranni. Lo scienziato è l'ultima metamorfosi dell'inquisitore, diceva Nietzsche non a caso: vuole sapere tutto, vuole il controllo su tutto (mentre il "mistero" rimane lì sullo sfondo). Ma se ci pensiamo, la ragione non è in grado nemmeno di definire sé stessa! Lo sapeva Heidegger che, in una polemica con Adorno che l'accusava di irrazionalità, gli replicò chiedendogli di definire la razionalità: ma la ragione non può definire sé stessa, definiens e definendum non possono essere gli stessi altrimenti si commette un'infrazione logica (petizione di principio) e si offende la stessa ragione... Queste derive del mio discorso ti stanno probabilmente deludendo, temo, ma anche nel mio caso non portano a un esito scettico, quanto piuttosto a riconnettere il pensiero e la vita, il mondo, cornice in cui il pensiero è iscritto.
Ti ho anticipato che apprezzo, e invidio, la tua chiarezza "matematica". Anch'io parlando di Popper parlo di avvicinamento asintotico alla verità (per inciso: ottimo collegamento tra matematica e filosofia al colloquio orale dell'esame di stato), ma questo paragrafo su Popper è veramente scritto benissimo e non saprei esprimermi in maniera così concisa e chiara (sto parlando di quando scrivi: "Così come l'addestramento della mente giunge a convergenza, allo stesso modo si corroborano, per dirla con Popper, i criteri di verifica ecc....").Mi piace la tua definizione di "verità" e sono d'accordo sul fatto che il suo problema, come hai ben intuito, stia nella sua "collocazione". Mentirei se dicessi che sono riuscito a seguirti totalmente quando nella prima epistola il discorso si è fatto troppo analitico per me (ossia dall'operatore di creazione in avanti), ma spero che un giorno avrai la pazienza di provare a spiegarmelo.
Gli spunti presenti in queste poche pagine sono davvero tanti e non ti tedio con altre considerazioni. Quello che posso dirti è che, diventassi mai un giorno uno scrittore di mediocre successo, mi piacerebbe aiutarti a pubblicare le tue opere filosofico-matematiche in un volume miscellaneo, perché secondo me sono meritevoli di essere conosciute al di fuori di una cerchia ristretta di persone. Hai mai pensato di trasformare i tuoi scambi epistolari in un'opera letteraria, rendendo l'interlocutore un personaggio fittizio (magari uno studente molto dotato)? Pensaci.
Ho incrociato tua madre e mi ha detto che di salute stai un po' meglio, meno male.
Qui la vita procede e speriamo che tu possa tornare presto ad essere dei nostri.
Un caro saluto,
Roberto
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top