grazia_pia_r
PREMESSA
Questa seconda epistola è stata composta in collaborazione con grazia_pia_r , che ringraziamo enormemente. Il tema riguarda le difficili e delicate condizioni dell'Afghanistan - in particolar modo quelle della donna -. È un argomento di una certa sensibilità per cui la lettura è sconsigliata a un pubblico emotivamente vulnerabile.
Abbiamo scelto di immaginare un carteggio ideale tra una ragazzina di Kabul, Brishna, e un soldato della coalizione lì conosciuto.
Kabul, inverno 2022/2023
Mio caro amico,
come stai?
Ti invio i miei pensieri come fossero trascritti in una lettera. Proprio adesso, che non posso rivederti né incontrarti, mi sorprendo a parlarti. Non conosco il tuo nome... Che buffo! Dopo almeno sette anni, non conosco il nome di chi ricordo nelle mie preghiere...
Sono distesa sul materasso sfondato, pulcioso e lasciato sul duro pavimento...
L'ho rinvenuto gettato a lato, come un rifiuto in una discarica. Quel giorno, nel momento in cui mi hanno spinta, a forza, dentro questa stanza, sono stata investita dalla consapevolezza d'essere diventata spazzatura. Guardandomi attorno, ho osservato il più puro squallore trasudare da ogni prospettiva e dettaglio. Non ho trovato solo una stanza spoglia e umida. Non come tante altre. Piccola, stretta e alta, alta quanto l'imponente volta dell'ingresso principale alla moschea azzurra di Herat. Mura fredde, rigate dall'umidità, sbrecciate e con una crepa irregolare, lungo tre intere pareti, mi hanno stretta in un abbraccio che non vuole sciogliersi, nonostante le mie incessanti suppliche. Ho trovato macchie di sangue rappreso, di urina ed escrementi, dentro e fuori un pitale sudicio e dal tanfo penetrante. Altre macchie si sono aggiunte nei mesi...
Questo materasso è l'unica mobilia di cui dispongo. Così, provo ad averne grande cura, evitando di girarmi e rigirarmi, invano, mentre dormo. All'inizio, non ero abituata... Ma, in molti giorni e altrettante notti, il dolore che provavo ad ogni movimento mi ha addestrata...
La stanza si allaga dei miei sospiri che accarezzano come mani, di spettri esigenti e senza requie, rinsecchite e deformate da un interiore e muto senso di avvilimento. S'insinuano dalle narici, dalle orecchie, dagli occhi, da ogni orifizio e poro della pelle, sino a schiacciarmi l'anima. Gemo e sospiro, nuovamente, innescando un circolo vizioso e asfissiante che non placa la sete del sangue versato.
E' tornato il freddo. Nulla mi segnala il trascorrere del tempo ma, lassù, scorgo una piccola finestra aperta, con una grata... Come se qualcuno potesse mai raggiungerla! Comunque, entra vento e gelo. Un'altra volta, dopo un'altra estate... Ah! Dunque, sono reclusa qui da circa un anno e mezzo... Ho compiuto quattordici anni, da poco. Il regalo, che ho ricevuto, è stato un giovane grillo entrato in cerca di riparo, per l'inverno. Ci teniamo compagnia e, ogni tanto, chiacchieriamo. Non ridere di me. E' per distrarmi...
Sollevo un braccio coperto di ematomi e sfioro il viso con dita timide. Trovo le guance ancora gonfie e sento che si sono formate croste su escoriazioni e tagli vecchi. Asciugo la saliva che scivola fra le labbra insensibili, spaccate e, con lo stesso gesto, anche le lacrime che sfuggono al mio controllo e sento bruciare, invece, sulla carne viva. Scendo lungo il collo e, subito, una fitta lancinante mi fa serrare gli occhi e baluginare eteree scintille. L'ultima volta, dopo avermi denudata, hanno scelto di riempirmi di calci sulla faccia e in mezzo al petto... Credo si sia rotto qualcosa e temo un'emorragia interna ma, tanto, non verrà alcun dottore. Mai, scoprirei volontariamente i seni per lasciarmi visitare da un uomo e lo sanno...
Le ferite mi ricordano te. O, meglio, le tue ferite. Essendo un soldato, è facile che anche tu abbia una tale familiarità.
Spero che tu stia bene, vivo e pieno della misericordia di Allah!
Sei riuscito a tornare dalla tua famiglia? Devono aver sofferto la tua assenza...
Ero piccolina, accompagnavo la mamma presso una Onlus di sostegno per donne, bambini ma anche famiglie in difficoltà. Ricordi? Si trovava nella periferia di Kabul, a pochi isolati da casa nostra. In famiglia eravamo già in quattro e la mamma era nuovamente incinta. Papà lavorava presso un'agenzia stampa, la mamma tesseva tappeti che rivendeva a qualche mercante.
La prima volta, ti vidi lì davanti, a guardia dell'ingresso. Armato e in divisa, scrutavi il viavai di gente ed avevi un'espressione seria ma distesa, tanto che non provai paura affatto. Ti passai innanzi, quasi senza guardarti... Come migliaia di altre volte. Però, quanto eri alto!
Precedendoci, ti avvicinasti al portoncino e, aprendolo per lasciarci entrare, notai la fretta con cui frugasti in una tasca. Stavamo già oltrepassando la soglia, quando mi ritrovai dei cioccolatini sotto il naso. Ricordo il profumo intenso e goloso che invase le mie narici, nonostante fossero incartati.
Non potevo rifiutare, ma non osavo allungare la mano. Guardando i tuoi occhi azzurri come il cielo, tentennavo.
- Come ti chiami? - chiedesti in inglese.
- Brishna... - risposi fiduciosa.
- Ti piace il cioccolato?
Annuii col capo. E, senza aspettare oltre, li sigillasti nel palmo della mia mano, con uno sguardo amorevole da non dimenticare. La mamma ti ringraziò, sorridendo come fossi stato uno dei miei fratelli... Eppure, avevate pressappoco la stessa età. Lo capivo anche se ero piccola.
Quel giorno, inventasti un rito nuovo e, sino all'ultimo, mi ritrovai le mani piene di cioccolato.
Mi sentivo fortunata.
La mia famiglia aumentò di numero. Prima, arrivarono i due gemelli e, dopo sei anni, la mamma fu di nuovo incinta. In un momento pessimo. La pandemia fu l'ennesima guerra. In tutto il globo terrestre, si parlò del Covid-19. In Afghanistan, prima decidemmo di pregare, per scongiurarlo e, infine, non potemmo ignorarlo, non riuscendo più a contare i morti. Tu eri qui. Conosci le nostre idee, su certe cose. Non si può morire da soli. Tantomeno, in un ospedale senza acqua, senza personale qualificato e senza strumentazioni adatte. Né senza i nostri riti funebri... Schiacciati da troppe speculazioni, piuttosto che morire di fame come drogati, prostitute e suicidi, siamo ritornati nelle scuole, al lavoro, nelle strade piene di chioschi e di odori pungenti. Nelle strade dove il virus era padrone incontrastato ma, anche, l'unico posto in cui ritrovarsi tra le braccia di una sbiadita speranza. Meglio di niente.
Devi aver pregato, specie per i tuoi... Spero, con tutto il cuore, non sia accaduto nulla di brutto.
Sai come abbiamo superato quel periodo di stenti, in famiglia, con papà senza lavoro? Il nonno materno e, prima ancora, il bisnonno erano allevatori e le mogli conoscevano i segreti della preparazione del formaggio. Per tradizione, gli uomini si occupano degli ovini mentre le donne preparano il formaggio. Qualche capretta ci accompagna da generazioni, e papà ha trasformato la necessità in un'attività alternativa. Certo, era impaziente mentre la mamma, con gesti lenti, aggiungeva il miele. La stuzzicava e, un tantino, brontolava, senza cattiveria. Lei non si scomponeva e iniziava a raccontargli una storia qualsiasi, per distrarlo. Lui ci cascava sempre... Il Panir-e-Kishmishi è il formaggio con l'uvetta che, sono certa, ha deliziato pure il tuo palato. Lo mangiavamo e lo scambiavamo con della preziosissima farina, per preparare il pane. Durante il nostro breve lockdown, la farina non fu per tutti. A tavola, chiudendo la paura fuori dalla porta, scherzavamo tra di noi. In fondo, ogni giorno era un caso.
Travolgendo come un fiume che tracimi una diga e che la distrugga, con tutto l'impeto e la rabbia repressi a lungo, la quotidianità irruppe come nulla fosse stato, ridestando l'avido e sgargiante brulichio della vita per le strade della mia città come in un'estate festosa, nonostante la polvere e il morbo.
Ripresi confidenza con le persone gentili della Onlus, con il luogo e, mentre mia sorella Sabira già parlava dell'università, m'iscrissi ad un corso per comunicare con i bambini sordi. Mi piaceva. Le mie mani e le mie espressioni regalavano una luce sfolgorante agli occhi di chi viveva in un mondo privo di suoni. Avevo buoni motivi per essere una ragazzina felice. Una settimana dopo l'altra, le mie visite si moltiplicarono.
Ti ritrovai lì. Indossavi una delle mascherine distribuite dalla Onlus! Un intero popolo le disdegnava ma, tu no! Ricordo che sgranai gli occhi... Ti avevo immaginato invulnerabile ma dovevo smetterla di guardarti con gli occhi di una bambina.
Fui felice di rivederti... Chissà se hai mai intuito. Non ti ho mai detto neppure una parola e lo rimpiango. Ogni mattina, mi alzavo, sapendo che avresti ricordato di portare qualcosa anche per me...
Poi, la situazione precipitò.
Quando fu certo che le forze della NATO avrebbero lasciato il mio Paese per sempre, la normalità invocata dopo la pandemia fu un bel sogno svanito. Le banche strinsero i cordoni. Le aziende furono costrette a licenziare.
Capimmo che papà era in pericolo, a causa della sua professione. La mamma lo scongiurò di scappare. Lui non voleva saperne di lasciarci ma non potevamo permetterci altro. Alla fine, la mamma la spuntò. A luglio, uscì dalla porta con gli occhi lucidi e la promessa di venire a riprenderci.
Resistemmo sino a quando si allontanò e, infine, stringendoci attorno alla mamma, sfogammo la sofferenza...
Ah! Tu non ci crederai ma, ora, sono una donna sposata! Perché? Lo immagini...
In quei giorni, ci atterrì l'idea che io e mia sorella potessimo essere prese come "mogli" dai Taliban. Macché mogli! Sappiamo bene che è solo un pretesto affinché una serie di stupri appaia moralmente accettabile. Così, si organizzò il nostro matrimonio lampo. Sabira sposò un nostro lontano cugino. Lo stesso giorno, io sposai Ahmad, il nostro vicino di casa, un uomo impacciato ma buono di oltre quarant'anni. In abito verde, per noi donne velato, perché è il colore della primavera e dell'Islam, e a coppie prestammo giuramento e firmammo documenti, dinanzi a testimoni e fummo interrogati, sul Corano, dal mullah. Quindi, io e Sabira ci cambiammo d'abito e, indossando un pari, un velo bianco che ci avvolgeva, ci avviammo tutti verso il palchetto della cerimonia nuziale. Ricordo lo scambio delle fedi, i nastri gemelli sulle nostre fronti, ma niente smoking per gli sposi, niente processione di parenti, niente dolci, niente balli né canti. Qualcuno dei testimoni, benevolmente, tenne il libro del Corano aperto sulle nostre teste, come segno di protezione.
Non chiedermi come mi sia sentita perché è accaduto troppo in fretta. Non ho avuto il tempo di accogliere in me questa novità. E' stato come osservare qualcun'altra. Non conosco mio marito e, di preciso, non mi ha suscitato alcuna sensazione né sentimento. Ci siamo ritrovati estranei, sotto lo stesso tetto e senza sapere cosa fare di quell'intimità...
Era agosto. Subito dopo la prima decade, la mamma diede una mano per la sistematica distruzione di ogni tipo di documentazione presente negli archivi della Onlus. Collaboratori e assistiti erano in pericolo in modo uguale, e dovette sparire la fatica dell'operato di anni. In tre giorni.
Il 15 dello stesso mese, arrivarono loro. Il nostro esercito dimostrò quanto fosse mal addestrato.
Tu lo ricordi... Ci furono quei disordini e le partenze disperate, sino all'ultimo istante disponibile.
Io e la mia famiglia eravamo in casa. Pregavamo, certi che sarebbe stato inutile tentare la fuga.
I Taliban* arrivarono. Molte tute mimetiche, barbe, turbanti e mitra a tracolla.
Una vicina uscì in strada. Era una vecchia malferma sulle gambe ma dal piglio risoluto e dalla voce grossa.
- Voi non siete figli di Allah e nemmeno di donne! Voi siete demoni! - li apostrofò.
I ribelli la guardarono e si scambiarono occhiate truci.
- Chi sei tu?... Chi sei tu? - qualcuno sbraitò, di rimando.
Ghigni esagitati ne deformarono i lineamenti. Uno fece un cenno. Un altro si avvicinò alla donna. Afferrandola e trascinandola per i capelli, la costrinsero a inginocchiarsi, urlandole di chiedere perdono. Lei aveva la pace negli occhi e non emise un solo fiato. Le sparò e lei cadde in una pozza di sangue.
I gemelli videro e iniziarono a strillare e a piangere. La mamma non ebbe il tempo di calmarli.
I ribelli sfondarono la porta e ci bloccarono. Comunicando che casa nostra era sotto sequestro, in quanto famiglia di un traditore ricercato, ci prelevarono con la forza. Ci ammucchiarono su una vettura e ripartirono, sgommando. Giungemmo a un centro di detenzione e ci separarono. Fra lacrime e disperazione, strapparono via gl'intrecci delle nostre dita.
Da quel giorno, siamo in isolamento. Credo... Credo... Voglio credere che sia così perché significherebbe che siamo ancora vivi. Nonostante tutto e tutti.
È mattina e, se riuscissi a piegarmi un po', in quell'angolo, vedrei coriandoli di cielo, lassù, del colore dei bei giorni...
Non ho nulla da fare tutto il giorno, tranne sforzarmi di resistere al dolore. Non solamente mio.
Spesso, arrivano nuovi prigionieri. Da questo buco, riesco a udire le voci di chi percorre il corridoio. A volte, sì. Con toni gravi, blaterano fra loro come pettegole della peggiore specie. In questo modo, raccolgo notizie del mondo esterno.
Una donna ha provato a darsi fuoco davanti ad una scuola, una di quelle trasformate in centri di
addestramento reclute. A parte le ustioni, non ha sortito altri danni. Dopo l'arresto e una specie di processo, è stata condannata a morte.
Qui, vengo picchiata e insultata quasi regolarmente. Mi mancano alcuni denti, ho il naso rotto e ne tocco l'osso scoperto, ho un piede nero, gonfio e non riesco ad appoggiarlo a terra. Vogliono sapere dove sia fuggito mio padre e chi l'abbia aiutato. Non lo so, mi credi? Ma, se lo sapessi, perché dovrei ridurlo a questo? O, peggio...
Accanto alla mia stanza, è stata rinchiusa una ragazza che ha subito di tutto. Scariche elettriche, ripetuti stupri, oltre il pestaggio... Lei ha urlato, ha pianto, ha maledetto, ha benedetto. Di notte, sentivo lo stridore dei suoi denti. Non importava a nessuno. Non sono nate parole di consolazione, per lei. Anch'io sono stata vigliacca! Un fuoco rabbioso mi contraeva lo stomaco e risaliva e avvampava, sino alla radice dei capelli. Ma, le gambe non mi hanno retta. Tremando, ho coperto le orecchie... Incapace di fare altro. Che inutilità!
Giorno dopo giorno, mi preparo alla mia razione di violenza.
I miei occhi sono gonfi per mille ragioni, in fondo. Anche insospettabilmente piccole, come le corolle gialle dei fiori di zafferano che abbiamo abbandonato a casa, in un vaso.
Non serve che ti spieghi come stiamo ritornando a un tempo abietto, privo della speranza del cambiamento. Che, poi, la vita stessa è cambiamento... Possiamo ancora immaginarla e rimpiangerla, fuori dai nostri confini. Noi, siamo carne e pensieri sepolti in un opportuno dimenticatoio.
So di cosa parlano, sempre nel corridoio. Restrizioni. Divieti su divieti. Noi donne non potremo più lavorare fuori casa, se non alcune donne medico o infermiere, in alcuni ospedali. Non potremo uscire senza un uomo di famiglia che ci accompagni, un mahram. Accedere all'università sarà complicato sino a diventare impossibile, perché gli unici compiti, propensi a riconoscerci, sono quelli di madri e mogli. Non potremo ridere né organizzare feste. Non indosseremo più colori vivaci, perché stimolano fantasie sessuali. Non calzeremo scarpe con i tacchi, perché i passi di una donna non devono udirsi. L'abbigliamento sarà rigidamente controllato. Uscire in pubblico significherà indossare un burqa, un chador, un abaya accoppiato a un niqab o, in alcuni casi, un hijab ma scuro. Non potremo incontrarci in luoghi pubblici, nemmeno nei parchi. Prima o poi, lo so già, vieteranno di far volare gli aquiloni. Come nei racconti della nonna. Niente radio o televisione, Internet e niente libri proibiti, per tutti.
Nel frattempo, hanno reintrodotto punizioni come fustigazioni, mutilazioni ed esecuzioni pubbliche. Per i trasgressori dei dettami, loro li chiamano "crimini morali", derivanti da una specifica, rigida interpretazione del Corano.
Mi sposto piano, sul materasso e penso che sarebbe più facile lasciarsi andare. Morirei volentieri, se riuscissi a portare via loro, con me. O, almeno, una gran parte.
La ragazza ha smesso di respirare. L'ultima volta, l'hanno presa a pedate e colpita con i calci dei fucili, in mezzo alle gambe e sui genitali, sino a frantumarle il bacino e i femori. Udendo ciò che abbiamo udito, in ogni stanza, un terrore puro ha preso il sopravvento e, come una fitta e fetida coltre, ha congelato i nostri cuori, soffocandone ogni battito.
Dalla fronte, gocce di dolore. Non è sudore.
Dicono d'aver ucciso i miei familiari e mi sbeffeggiano...
Penso a mia madre, a mia sorella. E, gli altri? Dove sono? E, penso a mio marito... Lui non mi ha mai trattata male, mi ha accolta e mi ha dato tempo, senza sapere quanto ne restasse. Mi manca anche lui, ora... e desidero abbracciarlo forte.
La mia rabbia sta crescendo a dismisura. Resto in ascolto e percepisco l'assenza della ragazza... Un'altra parte di me, anche lei. L'ho realizzato troppo tardi. La mia esistenza scorre e sto rischiando di travisarla. Mi sto smarrendo come ho già perso te. In silenzio.
Secondo dopo secondo, la mia furia vorrebbe divampare. E' così frustrante riconoscersi impotenti... Non riesco a imprigionare le lacrime. Non più... E, sai, all'improvviso, ogni cosa diventa chiara, trasparente come il fiato che non so trattenere.
Non voglio rimanere qui, in quest'angolo grigio. Respirare pena, morte, sconfitta eterna...
Qui dentro, il tempo è immobile in un'istantanea sfocata e sfatta. I giorni diventano catene dimenticate e arrugginite.
Chi sono? Me lo chiedo, mentre mi sforzo di richiamare, alla memoria, voci di ieri e risposte.
Se mi arrendessi, se mi annullassi in questa ignavia collettiva, la nicchia dove riposa il mio spirito rimarrebbe vuota, in un soffio. E, l'accidia sarebbe la fine.
Voglio aria pura, ascoltare voci che confabulano di sciocchezze quotidiane, nutrirmi dei colori del cielo e della terra...
Mentirò... Ho deciso, mentirò! Giurerò che non protesterò su alcuna regola. Inventerò qualcosa, sul percorso seguito da mio padre. Giurerò che non parlerò di ciò che ho vissuto, reclusa in questa stanza. Mentirò su questo e su qualsiasi altra cosa... Ti sembrerà una soluzione disperata, infantile. E' vero! Hai ragione. Non per piegarmi... e ne pagherò le conseguenze. Ma, non oggi.
Desidero rivedere i miei cari... Tutti vivi, spero intensamente! Un giorno, so che sarò madre e, per mia figlia, sogno una cascata di colori così come li ricordo. Le vie di Kabul zeppe di rossi e blu. Corolle gialle da innaffiare nelle placide sere. Cioccolatini dentro incarti pastello. Aquiloni da far volare in cieli di un delicato azzurro...
E, mentre il mio cuore canta in rime, come gli Hazara*, i tuoi occhi sono ancora la mia ispirazione.
Ti saluto, piccolo grillo. Quando l'inverno finirà, ritrova la tua via.
Che Allah sia con te, doni successo alle tue imprese e ti protegga,
mio caro amico.
Brishna.
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Da qualche parte nel centro dell'Europa, dicembre 2022
Carissima Brishna,
sentire il giornale parlarmi di Kabul mi riempie gli occhi di dolore e lacrime. Se non presto attenzione rischio di macchiare la carta su cui scrivo, di mescolare il mio pianto all'inchiostro, facendo illeggibile la mia grafia. Non dovrei sciogliermi tanto facilmente. Ma certi pensieri vanno lasciati liberi di muoversi, di pascolare e correre lungo il foglio senza guinzaglio. Altrimenti mi sentirei male e dovrei vomitare e l'ultima volta non è stato affatto piacevole.
Da quanto ho capito, gli americani, pur consapevoli di quanto sarebbe accaduto, si aspettavano di vedervi combattere, ma vi hanno lasciato a fronteggiare un nemico più forte e meglio preparato. Vi hanno messo tra le mani un forcone dai denti smussati e vi hanno lanciato addosso un giaguaro. Era prevedibile un rapido ritorno dei talebani, ma forse si reputava il governo più stabile di quanto non fosse. Per di più eravamo ancora in preda al Covid e da quelle parti non fu semplice arginarlo.
Ricordo bene la carenza di acqua potabile e le complicate condizioni igieniche e i pochi ospedali, privi delle strumentazioni adatte, popolati da tanti malati e medici insufficienti o incompetenti. Nonostante gli ingenti aiuti umanitari, per affrontare l'epidemia andammo incontro a una guerra. E una già bastava.
Ho sentito alcune cose, alcune cose molto brutte. In giro si racconta di stragi, certe voci di corridoio parlano di inaudite violenze, stupri, furti e saccheggi. Sussurri mi portano alle orecchie notizie orribili, orrori e porcate tali da inquietare persino i più forti e da far tremare un muro. Chiunque abbia osato collaborare con certe agenzie sta andando incontro ad aspre punizioni e sadici interrogatori, secondo quanto riportato dalla cronaca. Se ne dicono di tutti i colori, ma sopratutto sulle brutali condizioni della donna.
La mia immaginazione vola, viaggia fino a tornare in Afghanistan e cerca il tuo sorriso, lo sguardo della bambina a cui avevo regalato qualche misero cioccolatino squagliato dai raggi del Sole. Mi ricordavi mia figlia. Tenevo sempre una sua foto nella tasca della giacca. Con il tempo si è macchiata e scolorita, ma la forma del suo volto era impressa come inchiostro indelebile nella mia memoria. E vi somigliavate così tanto che, incontrando te, mi parve di rivederla. Pensare una ragazzina come te, come lei, immischiata nelle vicende di cui tanto si discute in televisione mi fa rabbrividire, mi percuote come se fossi una foglia in balia del vento.
Non si può più cantare, né parlare tra amici o ascoltare un dibattito in radio, mi narrano. Non si limitano a rubarvi dei diritti, a ridurvi a mogli e madri, ma arrivano a privarvi di quanto vi renda umane. Vi vestono tutte alla stessa maniera e vi chiudono nelle case - neanche poi così grandi, temo - , reprimono ogni possibile forma di espressione, sigillando i mille colori del multiforme volto umano, pronto a piegarsi alle migliaia di sfumature e sfaccettature del carattere, sotto il grigiore di un burqa.
Brishna, con ogni muscolo spero tu sia riuscita a fuggire o, quantomeno, a metterti al sicuro in qualsivoglia maniera. Sarei disposto a rivolgermi a qualunque dio antico o nuovo, a qualunque idolo sia mai stato forgiato o sia venuto mai in terra piovendo dal cielo, se lo sapessi sufficiente a trarti in salvo e, magari, a lasciarmiti portare ogni mattina un cioccolatino squagliato.
Qui fa freddo, piove spesso e tira un vento che non si lascia sopportare. In questo senso, mi mancano gli inverni secchi di Kabul. Mi piacerebbe avere tue notizie, ma capisco bene che sia impossibile riceverne. Scrivo questa lettera sapendo di non potertela mandare, poiché ignoro dove tu sia. Ma custodirò il foglio nel cassetto della scrivania, assieme agli altri sogni ancora da realizzare. E se mai dovessi tornare da quelle parti lo avrò con me, puoi starne certa. In effetti, mi piacerebbe prendere più confidenza con la cultura afghana, magari in tempi più clementi. Quando ero lì, non avevo modo di andarmene in giro o di interagire più di tanto con la popolazione. Tu sei stata l'unica straordinaria eccezione.
Ah, dimenticavo; tu non sai il nome. Forse, neppure ti ricorderai del mio volto o dei miei occhi. Sono il soldato straniero, quello davanti alla onlus. Non c'è ancora stata l'occasione per una presentazione fatta come si deve. Mi chiamo Bruno e indosso un cognome che non ha importanza.
Tanti saluti, affetti e speranze.
Il tuo amico Bruno
Note al testo:
* Taliban: studente/studenti. Gruppo di fondamentalisti islamici. Il loro sistema di governo è guidato dalla Sharia - "la retta via" -. Questa racchiude una serie di principi etico-morali estrapolati dal Corano e dalla Sunna, non codificati. Sono pareri e tradizioni più che testi propriamente scritti.
* Hazara: una delle differenti etnie presenti in Afghanistan. Perseguitati e discriminati, in ogni modo, da ogni altra etnia. Sterminati, in un passato non troppo lontano. Se ne ritrovano, ai confini con Pakistan, Iran. Perseguitati anche in quei Paesi. Una sparuta rappresentanza dovrebbe essere nuovamente presente a Kabul. Noti per la loro musica e i versi. Tradizioni tramandate oralmente. Sono tra i più attenti ai diritti delle donne. Fanno parte degli islamici sciiti.
* Sunniti: ligi alla più ortodossa tra le correnti islamiche , basano il loro agire sulla Sunna, libri di consuetudini e leggi, scritti sotto osservazione o diretta dettatura di Maometto. Perciò la Sunna è ritenuta la corretta interpretazione del Corano.
* Sciiti: possono seguire la Sunna. Riconoscono come soli eredi di Maometto i discendenti, in linea maschile, di suo genero, il califfo Alì. L'Imam è la loro Guida (interprete). Sciiti e sunniti, questo è il "succo", hanno e seguono interpreti e interpretazioni diverse dell'Islam.
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