Prologo
La sala era poco illuminata, quel che bastava perché i clienti potessero vedere dove andavano o chi avevano di fronte, o perché il barista potesse portare le ordinazioni al tavolo. Nell'aria c'era il profumo di nachos al forno, formaggio fuso e chili, un aroma stuzzicante e tentatore che invitava a prendere qualcosa da mangiare, incalzando la fame e pungolando gli stomaci vuoti.
Il mormorio del pubblico andava già scemando, segno evidente che i clienti, generalmente ragazzi tra i venti e i trent'anni, si stavano preparando all'intrattenimento. Il locale, per quanto piccolo e fuori mano, aveva registrato il tutto esaurito: cena più spettacolo a poco più di venti dollari era una tentazione a cui pochi potevano resistere.
Ma chi me l'ha fatto fare...
Sbirciando per l'ennesima volta da dietro il telo che copriva l'entrata degli artisti, la diciannovenne Orlaith cercò di non rimettere all'idea di salire sul palco sotto l'unica luce forte presente in quella stanza. Anche per questo non aveva ancora toccato cibo: il suo stomaco si era ristretto a furia di borbottare, ed era così affamata che ormai non sentiva più nulla. Era in quel tipo di situazione in cui, a furia di ignorare la pancia vuota, la fame e il bisogno di cibo, ormai le era come passato l'appetito.
Non era la prima volta che si esibiva, a dire il vero, ma ad ogni spettacolo l'ansia da prestazione la assaliva. Per non peggiorare le cose doveva saltare sempre la cena, rimandandola fino al termine della performance, bere molto e cospargersi di deodorante per evitare di sudare in modo eccessivo. Sì, perché gli aloni di sudore sotto le ascelle si notavano eccome, e sua madre era stata tanto carina da ricordarglielo non meno di mezz'ora prima. Tutto perché, la primissima volta che si era esibita, aveva commesso l'errore di indossare una camicetta chiara che aveva messo bene in mostra ciò che accadeva sotto le sue braccia mentre suonava.
Si impose di calmarsi, traendo cinque profondi respiri e pensando a un campo di trifogli al mattino, all'odore dell'erba bagnata e al vento che ne accarezzava la superficie. Il suo Giardino Privato, il solo posto in cui nessuno poteva disturbarla e niente poteva darle fastidio.
La crisi passò rapidamente, lasciando il posto a un più gestibile nervosismo prespettacolo. Se lo avesse ignorato e non si fosse fissata su quella sgradevole sensazione tutto sarebbe andato a meraviglia.
Si ritirò quindi nella stanzetta adibita a camerino, usando il piccolo specchio per controllare di essere in ordine. Il suo stesso sguardo color acqua le restituì un'espressione tesa sul suo viso, ovale e dagli zigomi alti; vide chiaramente alcuni ciuffi fuori posto, scampati all'impietosa cattura di sua madre mentre la pettinava.
Fece del proprio meglio per far rientrare nei ranghi le chiarissime ciocche rosse e quando fu soddisfatta si voltò verso la piccola custodia nera poggiata contro la parete opposta.
La aprì, rivelando il suo violino. Era di sette ottavi, più piccolo rispetto ai quattro quarti che generalmente venivano usati da un adulto normale. Tuttavia, una persona minuta come lei era più che a suo agio con simili dimensioni.
Non era uno strumento eccezionale, e anzi lo aveva acquistato di seconda mano: la cordiera era in semplice plastica, e le fasce, il manico e il fondo (e persino il ponticello) erano in pioppo.
L'archetto, quantomeno, aveva la bacchetta in fibra di carbonio, un buon materiale, resistente ed economico.
Nonostante il fatto che non fosse particolarmente pregiato, amava quel violino. Era il primo con cui si fosse mai esibita, lo usava quasi ogni giorno quando faceva pratica, e lo riponeva nella sua custodia sotto il letto ogni notte.
All'improvviso sentì la voce del proprietario del locale che la presentava: "Orlais Alexander, virtuosa del violino".
Mai una volta che qualcuno lo azzecchi...
Decise di sorvolare sulla pronuncia errata del suo nome. In fondo, era già parecchio aver trovato un lavoro pagato.
***
- B... buonasera...-
Il microfono fece riecheggiare il suo timido saluto nella sala. Alcuni visi li conosceva: in fondo alla stanza c'erano i suoi genitori che, incrociando il suo sguardo, le fecero un gran sorriso (suo padre sollevò anche il bicchiere verso di lei); poco distanti da loro, radunati tutti allo stesso tavolo, c'erano alcuni dei suoi vecchi compagni di liceo, tra i quali spiccava Annie che, alzando le braccia, le mostrò entrambi i pollici; un po' sparsi vedeva persone che avevano assistito ad alcune delle (poche) esibizioni passate. La maggior parte della gente, tuttavia, era nuova per lei.
Concentrati. Stai calma. Pensa al Giardino.
- Buonasera.- ripeté con più convinzione - Questo è uno dei miei primi pezzi. Vi auguro buona serata.-
Mise l'archetto sulle corde e, nell'istante in cui suonò la prima nota la sua mente si svuotò, lasciando solo l'euforia e la vitalità che ogni volta la assalivano quando usava il violino.
La melodia invase la stanza, avvolgendo nel suo abbraccio caldo il pubblico. Iniziò tranquilla, lenta, quasi malinconica, ma andando avanti ebbe un crescendo, aumentò la sua energia, prese vigore. L'archetto si mosse più rapidamente sulle corde. Era diventato un animale, un furetto che correva avanti e indietro, si spostava da una parte all'altra, che giocava con le note e le spingeva verso gli altri, eccitando gli animi fino al culmine, quando lasciò sfumare l'ultima nota con la quale concluse il brano di apertura della serata.
Appena la musica fu cessata, Orlaith ricevette il primo applauso.
Qualsiasi demone avesse preso possesso del pubblico, Orlaith non poté esserne più felice: quando venne il momento di scendere dal palco sentì i lamenti di delusione inseguirla. Molti chiesero il bis, qualcuno scoppiò in un nuovo applauso, e il proprietario del locale fu costretto ad alzare un po' la voce per annunciare la chiusura e invitare tutti ad andarsene.
Orlaith incassò con gran piacere il compenso per la serata, circa duecento dollari. Spiccioli, tutto sommato, ma quanto bastava per comprare corde e crini di ricambio per violino ed archetto. Il resto lo avrebbe tenuto da parte, come faceva sempre, per il proprio futuro.
Ripose il violino e si avviò verso la macchina, dove i suoi genitori la stavano aspettando. Lungo la strada venne però intercettata da qualcuno.
- Signorina Alexander?-
Sentendosi chiamare si fermò, voltandosi verso lo sconosciuto che le si faceva incontro: era alto, decisamente più di lei, e alla luce dei lampioni le sembrava chiaramente di origine ispanica. Aveva i capelli neri, ben curati e piuttosto corti, non del tutto coperti da una coppola grigia, e due occhi nerissimi gli brillavano vivacemente nelle orbite, sovrastando un'espressione quasi felina. Per combattere la pungente aria invernale si era avvolto in un parka marrone. Era evidentemente più anziano di lei, ma ancora giovane, forse sui trent'anni o poco più.
Le si avvicinò sorridendo, le mani infilate nelle tasche, con un incedere lento ma sicuro, di chi sa quello che vuole e come ottenerlo.
- Una splendida, splendida esibizione, me lo lasci dire.- esordì - Mi chiamo Valdéz. David Valdéz. E, le assicuro, non ho mai sentito nessuno usare un violino in quel modo. Una dubstep ben eseguita la riconosco anche con le orecchie tappate. E anche le parti cantate indicano un vero talento.-
- Grazie.- disse Orlaith - Ha assistito a molti concerti?-
- Più di quanti ne possa contare.- ridacchiò l'uomo - Da quanto tempo si esibisce, se posso chiederglielo?-
- Ho iniziato a prendere lezioni di violino quando avevo quattro anni, e a sette ho iniziato con il canto.- ammise - Ma le mie prime esibizioni sono di quest'anno.-
Il sorriso di Valdéz si fece più ampio, permettendole di ammirare i suoi denti bianchissimi. Trasse dalla tasca un pezzo di carta e glielo tese.
- Il mio lavoro riguarda la musica, come può vedere.- spiegò - Sono un produttore discografico. Fissi un appuntamento con la mia segretaria... stasera ha avuto un ottimo successo, ma sono certo che potremmo fare di meglio.
E, con un'ultima strizzata d'occhio, si diresse verso la propria auto.
Orlaith rimase imbambolata a fissare alternativamente la sua schiena e il biglietto da visita che aveva in mano, mentre l'eccitazione cresceva:
David Valdéz, "Lightning Tune Records", Produttore.
Sentiva il cuore in gola: l'indirizzo riportato era di New York.
Un produttore di New York l'aveva notata.
L'aveva notata!
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Angolo dell'autore
Ciao. Hai appena finito di leggere il prologo di "Epic Violin". Può non sembrare, ma è una storia a cui sono piuttosto affezionato, anche se l'ho scritta da pochissimo, poiché mi ha permesso di sbloccarmi dopo circa un anno di blocco dello scrittore.
Per questo motivo ci tengo molto a sapere cosa ne pensi, l'opinione di un lettore è molto importante per me. Non dimenticarti quindi di farmelo sapere.
;-)
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