Capitolo 8- Amo la tua cravatta

Si sentì uno scroscio di applausi, delle risate divertite e la musica che ripartiva più allegra di prima.

Xavier guardò il proprio orologio da polso.

Mezzanotte.

I pochi che non erano dentro alla sala a ridere e festeggiare cercavano di avvicinarsi alla scatola e ai detective, ma la polizia prontamente li bloccava prima che potessero vedere la scena del crimine.

Si sentì qualcuno urlare, una voce saccente e familiare.
«Che cosa sta succedendo? Dovevate chiamare me, avete capito? Sono io il capo, branco di teste di cazzo!» Carter si era fatto spazio tra la folla a suon di spintoni, fino ad arrivare davanti ai tre detective.

Vide Zelda voltarsi, la paura sul suo viso era impossibile da nascondere.
Carter rimase estasiato e terrorizzato al contempo da quella espressione, perché se da una parte amava vederla fragile come un uccellino ferito, dall'altra sapeva che poche cose potevano realmente atterrirla a quel modo.

«Enigma, Carter! Enigma, cazzo!» ringhiò Mulder, indicando la scatola.
«Vuoi vedere che regalo ci ha fatto? Avanti, aprila. Sei il capo

Bennie guardò Oscar con aria di sfida, ma l'altro di rimando continuò a indicare il pacco regalo, gelido.

Non posso mostrarmi debole, pensò Carter.

Allora si avvicinò alla scatola cercando di contenere i tremori che gli stavano attanagliando le mani, appoggiò le dita sul coperchio.
Lo osservò per qualche istante, poi guardò i tre detective.
Tutti lo stavano squadrando impassibili, in attesa che aprisse il contenitore.

Maledetti bastardi.
Carter alzò il coperchio, d'improvviso.
Rimase qualche secondo immobile, pietrificato. Poi lo fece cadere a terra, con un suono secco,  e corse il più possibile lontano da quella testa decapitata.

«Cazzo!» riuscì solo a dire prima di rimettere, sotto lo sguardo di tutta la pattuglia.
Lo sentirono imprecare sottovoce, si pulì con un panno di lino con le proprie iniziali ricamate sul bordo, poi inspirò cercando di ritrovare la propria autorevolezza.

Ma gli era impossibile anche solo stare in piedi, le gambe erano squassate da tremori troppo forti per reggere il suo peso.

Bennie si spostò, allontanandosi ancora di più dagli altri.

Zelda lo guardò insofferente per qualche momento, poi gli si avvicinò, il cappotto a sfiorarle leggero le gambe.

«Questo è ciò che fa Enigma, Bennie. Il tuo individuo in vena di scherzi si diverte a decapitare la gente e impacchettarne la testa, a quanto pare.» Soffiò lei melliflua.
Un misto di soddisfazione e angoscia la stava confondendo.
Vedere Carter così vulnerabile la riempiva di una gioia malsana, ma la preoccupazione era esagerata e si mescolava a quella felicità immorale.

Carter la guardò, nei suoi occhi la lampadina della saccenza si era fulminata per lasciare spazio a una nebbia di terrore.
«Lui...» ansimò Carter, appoggiandosi al muro, «Enigma vuole solo voi.»

Zelda sorrise sarcastica.

Se fossero stati in una situazione normale, Bennie sarebbe impazzito per un sorriso del genere. Ma ora lo fece solo rabbrividire.

«Prima dicevi che voleva solo Mulder. E se nella prossima lettera aggiungesse anche te ai suoi favoriti? Non ti viene da immaginare in che modo potrebbe ucciderti? Sarai fortunato come la prima vittima, con un taglio netto, oppure...»

Carter deglutì, il suo pomo d'Adamo parve bloccarsi a metà strada, tanto era il groppo in gola che cercava di scacciare.

Zelda gli sistemò la cravatta, delicatamente.
«Amo la tua cravatta.»

Due giorni dopo, Carter aveva convocato sia Zelda e Xavier che Mulder, alla stessa ora, nel suo ufficio.

L'atmosfera era quella classica di inizio gennaio, spenta e incolore.
Alcuni fogli sulla scrivania svolazzavano placidi sotto la spinta di un soffio di vento gelido, proveniente da uno spiffero della finestra.

Xavier camminava lungo tutta la stanza, irrequieto, sistemandosi di tanto in tanto i polsini della camicia.

Carter prese un vinile da una custodia polverosa, poi lo mise sul piatto del grammofono dorato e appoggiò la puntina.

Le note pacate e malinconiche di Tangerine si fecero spazio tra il denso fumo della sigaretta di Zelda, seduta esattamente come nel giorno in cui Bennie l'aveva licenziata.

Mulder era appoggiato allo stipite della porta, le mani nelle tasche dell'impermeabile scuro, lo sguardo pensoso.

Carter li guardò tutti e tre, silenzioso. Sembrava aver riacquisito qualche sfumatura della sua arroganza, ma dal suo sguardo traspariva l'insofferenza per il dolore infuocato che gli aveva ferito l'orgoglio.

«Vi ho convocati qui... perchè» si fermò un attimo, guardandosi i mocassini mogano, «perché dopo l'omicidio di Enigma non riescono ancora a trovare nessun collegamento.»

Zelda scosse la testa in segno di diniego, poi sorrise.
«Non riescono? Tu nemmeno ci hai provato, immagino.»

«Non è questo il punto» ribattè Carter piccato.

«Certo.» Zelda stirò le labbra in uno sghembo sorriso ancora più evidente.

«Per caso ti serviamo, Carter?» domandò sdolcinato Xavier, poi si passò delicato una mano tra i capelli, per controllare che la riga fosse a posto.

Mulder rise sornione, divertito come un ragazzino.

«Non servite a me. Io potrei benissimo farcela da solo, sono a capo di questo dipartimento!» scattò Bennie indicando Mulder infastidito.

«Allora perché cazzo ci hai convocati?» Mulder si avvicinò alla scrivania oscillante.

«Enigma colpirà ancora, Carter. Devi accettare il fatto che ora come ora non potresti mai scovarlo» affermò Zelda, sovrastata dalla musica che si era fatta più movimentata.

Carter inspirò a fondo, poi si sforzò di ricreare uno dei suoi sorrisi arroganti, ma il risultato fu solo una maschera di frustrazione e imbarazzo.
La ragazza aveva ragione. Lui non sarebbe stato in grado.
No, Bennie cercò di scacciare quei pensieri, no, io li sto solo usando.
Cercò di ripetere quella frase come un mantra, e sentì l'autostima salire di nuovo.
«Lynch, sono disposto a... riassumervi, sempre se lavorerete bene.»

«Non ho mai lavorato male in vita mia.» Zelda si sporse verso la scrivania per spegnere la sigaretta nel posacenere.

«Nemmeno tre giorni da licenziati, è un record» affermò con falsa sorpresa Xavier, suscitando un sorrisetto divertito nella sorella.

Ora che stava per riavere il lavoro, Zelda sentiva come se fossero passate settimane da quando aveva abbandonato il suo ufficio.

«Mulder, devi rientrare in servizio. Ovviamente sotto il mio comando.» Bennie scandì le parole tanto da farle sembrare un ordine, ma Mulder gli rispose guardandolo con sufficienza.
«Certo che devo tornare, Carter.»

Quando uscì dall'ufficio, Mulder sentì una voce incerta chiamarlo alle spalle. Subito dopo un profumo di ciliegia gli invase le narici.

«Mulder?» Alma lo osservava da oltre le spesse lenti degli occhiali, teneva una cartellina beige in mano e sembrava andare di fretta.
Ma quando vide il detective si bloccò immediatamente.
«Che cosa...»

«Ciao, Alma» disse soltanto Mulder, non sapendo se dirle di Enigma e della sera di capodanno.

Lei, però, di rimando, chiarì subito:
«So tutto di Enigma... è orribile.
Potrebbe colpire di nuovo da un momento all'altro, vero?» Alma sembrava in preda all'angoscia più profonda.
Quel caso appena iniziato, seppur nessuno lo volesse ammettere, stava facendo preoccupare tutti.
Se riusciva a spaventare persino Mulder, il detective poteva immaginare come si sarebbe sentita Alma, in servizio da soli tre anni e suscettibile alla violenza.
Ancora si chiedeva cosa ci facesse alla Omicidi.

«Non si parla d'altro, qui in ufficio. Tutti chiedono di te e dei Lynch.» Continuò lei.
Quando vide Xavier e Zelda uscire dall'ufficio di Bennie iniziò a tempestarli di domande, muovendo la testa agitata, mentre le onde dei suoi capelli bruni oscillavano.
«Carter vi ha riassunti? Lo sapevo che senza di voi la Omicidi non sarebbe mai riuscita ad andare avanti con le indagini.»

Zelda le si affiancò, indossando il cappotto.
«Che cosa avete per adesso? Impronte digitali?»

Alma scosse la testa.
«Nessuna impronta sulla testa del cadavere» si sforzò di dire Alma, cercando di mantenere un tono calmo.

Zelda annuì, pensierosa.
«E la vittima? Avete individuato di chi è il corpo?» domandò Xavier, aspettandosi un nome qualsiasi, anonimo.

«No» nemmeno Alma pareva crederci, «non abbiamo impronte digitali, sarebbero l'unico modo per riconoscerlo.»

Mulder la guardò accigliato.
«Che cosa intendi dire? Non si potrebbe riconoscere? Abbiamo il volto, non è schedato?»

Alma negò, confusa tanto quanto gli altri detective.
«Non c'è nessuna scheda riconducibile a lui.»

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