Capitolo 48- Aspetterò l'aquila a ogni mezzogiorno
Morto per dissanguamento.
La sera prima Andrew era tornato nella sua cella, insieme a una lunga e funerea schiera di detenuti. Le guardie lo avevano visto sdraiarsi sulla sua branda appena le luci erano state spente, alle dieci in punto.
Nel silenzio sterile di quella notte afosa e comune Wilson aveva deciso di pugnalarsi al fegato cinque volte, con una forza e una determinazione quasi sovrumane.
Aveva squarciato la carne usando la punta di uno spazzolino affilato col tempo, giorno dopo giorno all'interno della sua cella, programmando con devozione quel suicidio brutale.
Molti, anche i più decisi, non sarebbero stati in grado di uccidersi in una maniera così spropositamente e inutilmente feroce.
Ma Andrew sì.
Intorno a quel gesto sembrava attorcigliarsi il filo di una promessa solenne, il desiderio di fare qualcosa che lo rendesse unico.
Il suo viso era pallido, perso era quel bel colore olivastro che gli tingeva sempre gli zigomi e il naso aquilino. Giaceva sdraiato, visibile solo il volto.
Il resto coperto da un telo bianco, quasi fosse un antico spettro legato a quel posto a causa della sua morte violenta.
Zelda lo guardava da lontano.
«Non riesco a capire. Di solito si impiccano tutti. È più semplice, e meno doloroso. Sicuramente più rapido.» Il medico legale le si avvicinò.
«Quanto ci ha messo a morire?» chiese lei, lapidaria.
«Circa quaranta minuti. Si è prima pugnalato due volte, ha aspettato diversi minuti, ma si è accorto di non star morendo. Così si è dato altre tre coltellate, questa volta più profonde. E soprattutto...»
Si avvicinò al corpo, facendo segno ai detective di avvicinarsi.
Xavier lanciò un'occhiata a Zelda, lei lo osservò di rimando.
«Soprattutto ha squarciato. Ha preso lo spazzolino tra le mani e ha lacerato almeno undici centimetri di basso ventre.»
Il medico tolse il lenzuolo che stava coprendo fino a quel momento Andrew, indicando il fegato, o ciò che ne rimaneva: un ammasso di punti spessi, dove un tempo tutto era stato sanguigno e dilaniato.
Xavier sussurrò un flebile diosanto, prima di abbassare lo sguardo, immaginando quel dolore bruciante sulla propria pelle.
Liza si era rifiutata di entrare.
Zelda e Mulder, quasi due Tanati, rimanevano immobili di fronte al cadavere, vegliando quella gelida messa funebre.
Sembrava un satirico scherzo, quello di trovarsi di fronte a uno spettacolo del genere: con ancora addosso i completi scuri per il funerale di Carter, erano passati da morte a morte, come se fosse stato tutto già pianificato da sempre.
Il viso di Wilson era serio e pacifico, le sue mani nervose dritte lungo i fianchi.
Lì, in mezzo alla stanza, la sua lugubre presenza era diventata sinistra, sovrannaturale.
Quasi all'improvviso avesse potuto alzare le palpebre e tornare a guardarsi intorno coi suoi occhi furbi e sorridenti.
Quasi non fosse mai morto per davvero.
«Un suicidio così... credo lo abbia reso volontariamente sofferente. Ha lasciato una lettera.» Il medico legale scostò una ciocca dei capelli riccioluti di Andrew, che andava a coprirgli parte della guancia.
«Dov'è, adesso?» Zelda teneva lo sguardo basso, fisso sulla mano di Wilson, imbrattata di sangue secco.
«Insieme ai suoi effetti personali.»
«Qualcuno l'ha già letta?»
«No» l'uomo scosse la testa, «nessuno.»
Mulder lanciò un'occhiata a Xavier.
Lui di rimando annuì, rimanendo immobile a contemplare la scena che aveva davanti, come se avesse recepito l'ordine muto di Oscar, ma non riuscisse a staccare i piedi da terra.
Il medico legale scostò un'altra ciocca.
«Quando l'hanno trovato» disse, «il sangue aveva inzuppato il materasso. Le lenzuola del letto di sotto erano completamente fradice.»
«Chi lo ha trovato?» chiese Mulder, scoccando un'altra occhiata a Xavier, fermo sul posto, in ascolto religioso dei dettagli del medico.
«La guardia della mattina. Ha subito chiamato il medico. Ma quando è arrivato, Wilson era già morto da almeno cinque ore. Io non c'ero, grazie a Dio. Non avrei voluto trovarmi davanti un fegato a brandelli.»
Poi prese a guardare il viso di Andrew, in un punto che sembrava essere vicino alla tempia.
«Il vostro Enigma ha una bella cicatrice» disse.
«Non credo sia più da considerare Enigma-» poi Xavier si fermò.
Dietro l'orecchio di Andrew c'era, effettivamente, una cicatrice ruvida e discontinua.
Sembrava innocua, breve e guarita, ma quando il medico scostò una porzione di riccioli dal viso di Wilson, Mulder soffiò un porca troia spaventato.
Quella pallida linea in rilievo scorreva per tutto il perimetro del suo volto come una serpe candida, nascosta tra le ciocche mosse, in attesa di essere messa in mostra dalla luce sterile dell'obitorio. Sembrava il filo che legava il viso di Andrew al suo capo, quasi i lineamenti fossero falsi, intercambiabili, e quella fosse in realtà solo una maschera.
«Mi chiedo come abbia fatto a procurarsela»esclamò il medico, ma Zelda lo interruppe, irremovibile:
«Fate una radiografia al volto» ordinò, osservando i lineamenti di Andrew.
Tratti dall'aspetto nobile e fiero, modellati per incarnare il prototipo di un'antica ed eterna bellezza, quasi seguissero uno strano e impostato canone nella loro simmetria.
Ma c'era qualcosa di non completo in quella maschera, qualcosa di fuori posto, come se il tentativo di raggiungere quell'estetica ricercata fosse stato ripetuto infinite volte.
«Una radiografia?» chiese Mulder, mentre il medico annuiva.
«Ha ragione» ammise l'uomo.
«Queste cicatrici...» continuò a osservarle, «sono chirurgiche. Programmate.» Concluse.
«Va bene» Xavier si allontanò dal tavolo, prendendo a girare per la stanza.
«Va bene, mandatelo in radiologia. Possiamo avere la lettera?»
Era evidente che stesse ragionando a voce alta, perso ad assemblare quel bombardamento di dettagli utili che si erano rivelati uno dopo l'altro, rapidi come scariche di tuoni durante un temporale.
«Chiedete alle guardie del piano di sotto» suggerì il medico.
Compose un numero sull'ologramma di un telefono a cornetta, tenuto vicino a una pila di cartelle cliniche ricoperte di polvere.
Xavier si avviò, -si buttò- versò a porta anti incendio dell'obitorio, la luce dell'esterno a inondare la tetra penombra della stanza.
Si voltò un'ultima volta verso Wilson.
Pàthei Màthos.
Parole ricordate come un déjà vu, limpide e finalmente significative ai suoi occhi.
Si impara soffrendo, e Andrew sembrava aver ben seguito quell'insegnamento.
La macchinetta del caffè ronzava, dietro di loro, bollente e scrostata.
Zelda stava con le spalle al muro, abbandonata a una quiete assorta, quasi disconnessa dalla realtà mentre ascoltava la voce calma e cadenzata di Xavier leggere il testo che teneva tra le mani.
"Quando leggerete questa lettera, io sarò morto.
Morte... non c'è parola più astratta.
Si muore quando non si è mai stati nessuno.
Credo che persone come me, -persone come noi- non possano morire davvero.
Finché rimarrà il messaggio, finchè saremo ricordati per le nostre imprese, potremmo dirci immortali.
Immortali nei ricordi, nei racconti, nelle menti. Come gli eroi epici ci insegnano, scampiamo alla morte per ciò che abbiamo fatto in vita.
Morire gloriosamente è meglio che salvarsi.
È la prima citazione di Eschilo che ho imparato.
So cosa devo fare, e ne sono sollevato.
Il mio scopo era quello di portare la conoscenza, di raccogliere il fuoco per mostrarlo al mondo.
Era il mio compito, unico e personale, dedicato all'identità che finalmente sono riuscito a recuperare.
E adesso non mi resta che lasciare il palco nel momento giusto, perché il sacrificio, sì, sarà per me la chiave della liberazione.
Lascerò che questa terra sia solo un ricordo, che ogni mia ambizione si azzeri in funzione dell'obiettivo.
Ora posso dirlo, ora posso affermare che non c'è più niente di terreno nella vita che sono riuscito a costruirmi.
Niente più maschere né inutili sofferenze, niente più vivere nascosto.
Non ho più paura di morire, tantomento di farlo con le mie mani.
Temo più l'anonimato che la morte.
Ma dentro di me adesso viaggia un unico dubbio, una curiosità morbosa e insanabile: dopo tutto quello che abbiamo fatto, la mia punizione eterna sarà più dolorosa della mia morte?
Temo che il mio fegato verrà squartato ancora e ancora.
Ma se questo è servito a concludere l'obiettivo, aspetterò l'aquila a ogni mezzogiorno, in attesa che Eracle passi per il Caucaso.
πάθει μάθος"
Xavier lesse anche la frase in greco.
Non lo aveva mai studiato, ma quella citazione era stata ripetuta talmente tante volte che il suo significato gli fu subito lampante.
Poi smise di parlare, rimanendo con quella lettera dalla calligrafia febbrile tra le mani.
«Prometeo» disse, incolore.
«Il fegato. Lo ha squarciato per ricalcare il suo mito.»
«Ha portato il fuoco della conoscenza.»
Zelda, i palmi fusi contro la superficie fredda del muro, guardava davanti a sé.
«Quindi» Mulder incrociò le braccia, e la camicia che portava si stirò appena all'altezza delle spalle, «lui è il quarto omicidio?» chiese, e tutti rimasero in silenzio.
Liza si fece passare la lettera.
Sì, era da considerare un omicidio.
Almeno, un suicidio attuato da una mente manipolata.
Fu questa la prima ipotesi a sbocciare, prima delle altre, nella sua mente.
Andrew era convinto, deciso, quasi la causa di Enigma gli appartenesse in prima persona.
Serviva una devozione totalizzante per fare un gesto del genere, per autosabotarsi in quel modo, facendo la fine di una semplice esca.
Forse, riflettè Liza, forse non sapeva di esserla, l'esca.
Ma aveva davvero confessato un omicidio che non aveva compiuto?
«Andrew non può essere innocente» chiarì Zelda, mentre si passava la sigaretta da una mano all'altra, tenendola ben nascosta alle guardie che passavano, troppo lontane per accorgersi del lieve fumo che si stava dipanando per il corridoio.
«No, col cazzo» Mulder scoppiò in una risata preoccupata.
«Come può esserlo? Ha confessato nei minimi particolari l'omicidio di Rivera.»
«Averli uccisi non significa aver progettato gli omicidi.»
Xavier stava pulendo le lenti dei suoi occhiali da sole da almeno due minuti, anche se sembravano essere già totalmente lucenti.
Continuava a farlo, come se dietro quei pezzi di plastica si nascondesse la verità sul caos che stava imperversando intorno a lui.
«Giusto» accettò Liza.
«Lui è solo l'aiutante, allora.»
Xavier si portò le mani agli occhi, strofinandoli come se fosse solo stanco.
«Sì, convinto fino alla follia. Forse. Forse era solo d'accordo. Non lo so... non lo so.»
«E l'obiettivo, allora?» domandò Oscar.
«È l'omicidio. Prende un significato più ampio, con quel nome. È evidente che per lui fosse una causa nobile.» Liza strinse i palmi delle mani tra loro, pensierosa.
«Ma si può arrivare a uccidere per quacun'altro? Voglio dire, uccidere senza che ci sia una ragione precisa.»
Zelda inspirò una veloce e colpevole boccata di fumo.
Sembrava che tutti stessero ripetendo a voce alta ogni pensiero che fluiva, indisturbato e liquido, lungo le loro coscienze.
Liza annuiva, lanciava qualche frase criptica, poi tornava a pensare, le sopracciglia costantemente inarcate.
Xavier guardava Zelda, lei di rimando sembrava dire tutto ciò che lui si limitava a pensare.
Mulder scuoteva la testa, ripetendo che era semplicemente impensabile che Andrew si fosse suicidato.
«Wilson è colpevole tanto quanto Enigma» disse a un certo punto Zelda.
«Potrebbe essere stato costretto» obiettò Liza, colta da un fulmineo senso di colpa.
«Non ne siamo certi. Enigma potrebbe averlo istruito, è vero, ma è verosimile che Andrew fosse d'accordo» concluse Xavier, gli occhiali finalmente puliti, oscillanti sul bordo della sua camicia nera.
«E questo a che conclusione ci porta?» Mulder si grattò il dorso della mano.
«Lavaggio del cervello o meno, abbiamo trovato metà dei colpevoli. Avete sentito la lettera, no? "persone come noi". 'Sti qua si sentono speciali. Hanno un legame, si devono conoscere da tempo, per aver architettato una cosa del genere.»
«Ma dove? Dove si sono conosciuti?» domandò Liza.
«E perché, soprattutto.» Zelda spense la sigaretta contro un fazzoletto, per poi buttarlo nel cestino vicino alla macchinetta del caffè.
La sua voce era lontana, ma limpida e chiara.
«Esatto.» Mulder annuì, come se Zelda avesse appena dato la risposta giusta di un talent a premi.
«Perché due persone decidono di mettersi in società per un crimine del genere? Non fraintendetemi, so benissimo quanto possa succedere che due psicopatici si incontrino. Ma qui la situazione sembra... sembra molto più profonda, cazzo.»
«La lettera. È come se fosse scritta apposta per Enigma. Lo avete notato?» Zelda tornò a sedersi.
«Sì. Un gesto simbolico» asserì Xavier.
«Quindi siamo al punto di partenza» esclamò Mulder, spezzando via quella digressione sui sentimenti di Wilson.
«Allo stesso identico cazzo di punto.»
Nessuno aveva osato dirlo, da quando la porta dell'obitorio si era richiusa.
Nessuno, in realtà, aveva ancora ben realizzato che tutto si fosse riavvolto come il nastro di una cassetta, aggiustato con la punta di una biro.
Forse era stato per quel rovinoso susseguirsi di eventi, e le loro menti avevano semplicemente deciso di ignorare la verità, ancora per un attimo, come erano solite fare in momenti come quello.
Liza chiuse gli occhi.
«Dobbiamo riaprire il caso del quindici gennaio» disse.
«Sì, ma con quali prove? Se prima avevamo pochi sospettati, adesso sarà un inferno.»
Gli era quasi sembrato impossibile che Andrew, col suo falso alibi del cazzo e le sue tragedie greche del cazzo, si fosse consegnato con così tanta facilità.
E infatti lo era, impossibile. Fregati.
Fregati come lettori di un libro giallo in cui sembra arrivata la fine, ma mancano ancora duecento pagine.
Xavier scoppiò a ridere, risa accattivanti velate di una melodiosità quasi fuori luogo.
«Come se prima non lo fosse stato, un inferno»esclamò, acre.
«Adesso lo sarà ancora di più, immagina il puttanaio.»
Mulder lo trafisse con un'occhiataccia, lui sembrò non farci molto caso.
Zelda stava per dire qualcosa, che fosse in difesa di Mulder o meno non riuscì ad essere svelato, perché il medico legale spalancò la porta.
«La radiografia» sventolava le radiografie di Andrew.
«Non potete immaginare.»
«Dio mio» sibilò Xavier tra i denti, abbandonandosi a un'ansia drammatica e ben visibile.
Con quelle parole, il medico legale aveva risvegliato il ricordo così vicino e confuso della cicatrice di Andrew, un dettaglio assurdamente dimenticato per lasciare spazio a quelle dinamiche di gruppo focalizzate solamente sull'indagine, come se tutti fossero stati sotto lo strano effetto di un'amnesia collettiva per mezz'ore intere.
Zelda si alzò, entrando per prima in obitorio, quasi non aspettasse altro che la sua ancora ignota teoria fosse confermata.
«Vedete, qui?» Il medico indicò il volto di Andrew, solo ossa e ombre sulla plastica della radiografia.
«I lineamenti. La struttura ossea. Tutto sembra stato modificato tantissime volte.»
«Chirurgia plastica?» Xavier seguiva gli appunti del radiografo, marcati col pennarello indelebile. Sapeva a cosa stavano andando incontro.
Più ripeteva quelle due semplici parole, "chirurgia plastica" più iniziava a risolvere un tratto di avvenimenti che fino ad allora era stato fosco e celato.
«Ha subito diversi interventi, sì. Anche molto ravvicinati. Guardate il naso: la sua struttura è stata rimodellata almeno tre volte di seguito.»
Tutti rimasero a osservare il volto di Andrew, in cerca dei segni della sua metamorfosi.
«Lo ha fatto per cambiare identità?» chiese Liza. Una domanda che, a posteriori, si sarebbe rivelata addirittura ingenua.
Il medico scosse la testa.
Per qualche ragione diede uno sguardo a Xavier, Mulder vicino a lui, appoggiato al termosifone. «Non lo so, ma una cosa è certa. Un'identità non l'ha mai davvero avuta.»
Di fronte alla tensione palpabile e confusa che aveva creato, l'uomo di schiarì la gola, come per prepararsi alla notizia.
«È un clone. L'ho capito dal simbolo della Kellerghan che ha inciso sull'osso zigomatico. Vedete? Una kappa con una piccola corona d'alloro. Il simbolo dell'azienda.»
Mulder spalancò la bocca, scoppiando in una risata incredula.
«Un clone» affermò, meravigliato, squadrando il cadavere di Andrew con uno strano timore.
Xavier, coi suoi occhi sgranati, le iridi assottigliate alla luce come quelle di un gatto, guardò dritto in volto il medico.
«Come fa a non essere schedato?»
«Lo era. Almeno, lo è la sua versione originale. Adesso è una poltiglia di persone.»
Liza dischiuse le labbra, improvvisamente muta di fronte a quell'informazione. Un clone.
Di chi? Si chiese immediatamente, per poi rivolgersi un quesito più importante: a quale scopo?
Sentiva che il fatto che Andrew fosse un clone stesse diventando un nuovo, risolutivo dettaglio, qualcosa di troppo ben nascosto e collaterale da essere soltanto un caso.
Ma troppe domande scollegate e assolutamente prive di risposta si contorcevano sulle sue labbra cercando di essere formulate, e lei non riuscì a rendere giustizia a nemmeno uno di quei pensieri che le scorrevano addosso, ansiosi di liberarsi.
«Non si può risalire al suo proprietario?» domandò invece Zelda, inflessibile.
Il dubbio che Andrew fosse un clone e che le si era appiccato addosso quando aveva visto per la prima volta la sua cicatrice era esatto.
Non riusciva nemmeno a rendersene conto, ma in quel momento, divinatoria nelle sue intuizioni, capì che tutto ciò che aveva sospettato si stava plasmando davanti a lei, reale e terribile.
«Sì, credo di sì.» L'uomo annuì.
«Ma per questo serve la scientifica» aggiunse, quasi loro dovessero saperlo meglio di lui.
Era così: ma in quel momento tutto era offuscato, confuso, e le cose che tutti si aspettavano che i detective come loro sapessero si erano azzerate, sfumate come polvere al centro di un'arena.
Xavier assertì, silenzioso come un'ombra, lo sguardo immobile sulla figura coperta di Andrew. Lo osservava, inquietante nella sua pace serafica e sbagliata, quasi fosse un semplice manichino.
Una replica dell'attore che aveva visto ridere di gusto davanti agli scrosci d'applausi, gustandosi l'approvazione degli altri in mezzo all'infinito palco del Dionysus.
Sorrise, di fronte alla deprimente verità: Andrew era un manichino.
Un manichino senza nome, né storia, né vita.
Come tutti gli altri cloni della Kellerghan.
Una tela umana, costantemente modificata e utilizzata per uno strano e perverso motivo ancora indecifrabile, si convinse.
Ma l'idea che di lui restasse solo carne cerea era quasi impensabile, come se Andrew fosse immortale, almeno nell'immaginario che tutti si erano ormai creati.
Forse lo avevano idealizzato troppo, forse avevano desiderato così tanto di vederlo vigile dietro alle sbarre di una cella da non riuscire a concepire il suo suicidio.
Era impossibile che Enigma, l'incubo paranoico, l'individuo sfuggente e quasi divino, potesse essere davanti a loro con il fegato rovinosamente maciullato e un vago sorriso tra le labbra violacee.
Ma Andrew non era Enigma.
Andrew era un meccanismo di Enigma, ed era morto come tutti gli altri.
La quarta, inconsapevole vittima.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top