Capitolo 44- Questo è il Sunset Boulevard
«Come sto?» Xavier si appoggiò allo stipite della finestra della camera da letto, dietro di lui un cielo elettrico dalla luce fredda e fluorescente di inizio sera.
Liza lo esaminò con attenzione, mentre si aggiustava l'orecchino di quarzo, seduta davanti alla specchiera, «elegante come al solito.»
Lui inarcò un sopracciglio in un'espressione ironica e divertita, «non capisco mai se la intendi come una cosa positiva o se mi prendi solo in giro» disse, sistemandosi i polsini della camicia.
Lei rise, «ma certo, l'eleganza è una cosa essenziale. Comunque stai molto bene, se è quello che vuoi sentirti dire.»
Si soffermò a guardarlo veramente, seppur fosse già certa di star dicendo la verità.
Gli analizzò il viso con attenzione, lui scoppiò in una risata imbarazzata e rassegnata.
«Stai molto bene» ripetè.
Mentre la sua immagine riflessa di profilo allo specchio sembrava quasi una persona distinta.
«Stasera potremmo andare al cinema» disse Xavier, «dopo la riunione. Potremmo prendere due biglietti per il cinema Lewis vicino a Magnificent Mile.»
Si avvicinò alla specchiera, e prendendo uno dei profumi agrumati di Liza se ne spruzzò una leggera nuvola addosso.
Poi le cinse le spalle, «e magari anche all'East of The Sun» sibilò, sbuffando in una risata sognante.
Lei sorrise, voltata di spalle, mentre sistemava il guanto che le era sceso sotto l'avambraccio. «Perché no» disse.
«Chiudimi la cerniera del vestito, per favore.»
Gli versarono da bere appena arrivato.
Un Pink Lady tiepido, che Xavier accettò senza troppe pretese e abbandonò con ancora meno.
Lo aspettava una riunione del lunedì sera, come la chiamava sempre Liza.
Aperitivi, cene, cocktail a casa di chiunque fosse disposto a invitare cinquanta, ottanta persone a volta per discutere di qualsiasi cosa andasse loro in quel momento.
Liza conosceva tutti, tutti la conoscevano.
Erano per la maggior parte dottori, analisti, psichiatri.
Qualcuno di loro era un accademico di una ben non specificata disciplina, altri erano solo i mariti o le mogli di personaggi di spicco.
Xavier aveva fatto amicizia con un uomo di mezza età che diceva di essere stato in polizia per diversi anni. Lo avevano trasferito decine di volte e si era stancato.
Era simpatico, confortante, almeno, nelle sue battute da poliziotto familiari simili a quelle di Mulder, e una volta gli aveva promesso che gli avrebbe fatto conoscere suo fratello, uno sceriffo di un paese vicino che sognava di entrare alla Omicidi.
Quel lunedì Xavier lo cercò tra la folla, ma Liza non aveva idea di dove fosse.
«Non so di chi parli» disse.
Un crocchio di persone si era raggruppato in un angolo del giardino, sotto l'ombra sbiadita di un piccolo ombrellone.
Creature eteree nei loro abiti da cocktail alabastrini, bisbigliavano qualcosa che il vento sbuffava via, lontano dalla portata degli altri.
Tra loro, una donna dal viso coperto da un grande cappello a tesa larga fece un brindisi con un altro ospite, spettro candido vicino a lei.
«Ma c'era sempre. Lo avranno invitato dieci volte.»Xavier si fece spazio tra i due lunghi tavoli di vetro allestiti a raffinato buffet.
«Si vede che questa volta non c'è.» Liza scoppiò in una risata disinteressata, «dai, ti faccio conoscere della gente.»
Gli presentò due insegnanti di pedagogia, uno amante di Decroly.
Sognava di fondare un suo istituto, come gli disse nei primi cinque minuti di conversazione.
L'altro sembrava essere un suo allievo.
Entrambi gentili, con il classico sguardo di chi ha molto da dire ma preferisce non dirlo a te.
Liza si rivolse al più giovane, rivelando che fosse il padrone di casa.
«Adoro il nuovo ologramma, comunque. C'est magnifique, in mezzo al giardino d'edera.» Contemplava l'ologramma di una sfera dai bagliori iridescenti, intravista tra le stesse foglie dell'edera che coprivano il perimetro del giardino retrostante alla villa.
Dalla sua direzione proveniva la melodia confusa di uno scricchiolante brano, sibilante nella sua lontananza.
Lui sorrise, «è un nuovo acquisto. Prima non avevo mai considerato l'idea di prenderne uno, ma» i suoi occhi si illuminarono all'improvviso, come si fosse appena reso veramente conto di avere Xavier davanti, «ma dopo il caso Enigma, l'ologramma di Chet Baker e tutto il resto, è diventata una moda da cui non potevo esentarmi.»
Xavier incurvò le labbra in un rigido sorriso, mentre gli occhi rimanevano seri e distanti.
Ogni festa era ricca, nel suo lusso, di scintillanti e perpetui richiami a Detroit, a Enigma, ai giornali. Tutti sembravano essersi messi d'accordo per far spuntare il discorso nel momento esatto in cui Xavier abbassava la guardia, per un attimo convinto che gli altri si fossero momentaneamente dimenticati di chi era.
Sembrava solo una sua convinzione personale, e forse ci stava dando così tanto peso da renderlo peggio di ciò che era, ma quelle continue affermazioni, quei piccoli e taglienti dettagli che gli venivano ricordati, gli stavano sembrando sempre più mirati e pressanti.
Come se Detroit non volesse davvero lasciarlo andare, ritornando in qualunque luogo o situazione lui fuggisse nel tentativo disperato di distrarsi.
«Mi avevi parlato di persone che volevano vedermi, giusto?» chiese Liza al pedagogista, senza rendersi veramente conto della risposta.
Guardando Xavier provò un'oppressione sottile e pungente. C'era qualcosa di sbagliato nei suoi modi, quasi fossero la copia carbone di quelli che aveva utilizzato con sincerità poco tempo prima.
Rimase ipnotizzata da quella vista, mentre i pensieri si mischiavano alla realtà che aveva davanti.
«Volentieri. Vieni, ho un chimico che soffre di un disturbo dissociativo che voleva parlarti.»
Il chimico in questione era un uomo di almeno quarant'anni.
Ogni tanto guardava lontano, annuendo con i classici gesti macchinosi dovuti alla sua condizione. Sembrava cosciente, lucido per la maggior parte del tempo con cui parlò con Liza.
Le disse che gli episodi peggiori li aveva quando era da solo.
Lei lo ascoltava, annuendo di tanto in tanto, maledicendosi per non star dando abbastanza rilevanza a ciò che diceva.
«Credo di aver capito il problema.» lo aveva capito davvero, «può contattarmi, sarò felice se deciderà di venire in studio per una chiacchierata.»
Non ne era felice.
La lista dei suoi pazienti si era quadruplicata appena aveva messo piede a Chicago.
All'inizio le era sembrato il migliore dei colpi di fortuna, e aveva accettato chiunque le chiedesse aiuto, in un vortice infinito di firme e strette di mano.
La situazione le stava sfuggendo di mano, la sua agenda era piena, ma non poteva rifiutare.
Qualcosa in lei la faceva continuare ad accogliere persone su persone, quasi il suo tempo non avesse limite, quasi avesse paura di perdere tutto come era già successo una volta.
Le sembrava impossibile che nessuno avesse dubbi su di lei, che tutti ancora si fidassero delle sue capacità.
Era un'opportunità che si era trasformata in tortura, una spirale che pensò quasi ironicamente come autodistruttiva.
Un'ora dopo, Liza si congedò dal chimico con una stretta di mano.
Avvicinandosi al giardino si rese conto che la musica proveniva da una cassa ben nascosta dietro un vaso di gelsomino.
My Blue Heaven Yesterday, crepitante e melodiosa, vagava lungo le piante, attorcigliandosi lungo gli steli dei fiori rampicanti.
La sfera ologramma, proiettata davanti a lei, illuminava l'erba fine del prato di una luce spettrale, e Liza vi si avvicinò, tra le mani il bicchiere di un french 75 finito.
Xavier, dietro di lei, parlava con uno degli ospiti. Lo sentiva conversare sommessamente, rispondendo perlopiù con coincise frasi monocorde. L'altro invece aveva un tono acuto, e le sue parole le arrivavano con più chiarezza.
«Perché sui giornali c'erano sempre pochi dettagli, capisce? E io ero sempre lì a chiedermi: chissà cosa stanno passando loro, chissà come sono i detective davvero.»
«Non c'è niente di speciale da sapere.»
«Sì, sì, capisco. Solo che sarebbe interessante sentire anche la vostra versione dei fatti.»
«Ci sarà già un libro a riguardo.» Infastidito.
«Ah, giusto, il libro. Beh, lo filtrerà di certo come vuole, la Grant. Sa, un conto è ciò che si inventa una scrittrice, un altro è ciò che può veramente dirmi chi ha vissuto davvero i fatti.»
«Che cosa vuole sapere?» Xavier si spostò più lontano, avanzando in traiettorie simili a passi di danza spazientiti.
Liza faticò a sentire cosa si dissero dopo.
Il tono dell'uomo era diventato più basso, Xavier sussurrava qualcosa di glaciale.
Lo vedeva inclinare il volto, guardando l'altro con apatia.
«Non lo so. Dovrebbe chiedere a mia sorella» disse infine. Questa volta lo sentì chiaramente.
L'uomo provò a dire qualcos'altro, Xavier lo interruppe, lui cercò di dire di nuovo qualcosa, più vivacemente.
Liza si avvicinò, ma, casualmente, entrambi spostarono la conversazione dall'altra parte del giardino.
«Elizabeth!»
Una voce bassa e arrochita la chiamò alle sue spalle, lei si girò.
«Ti ho cercata dappertutto» disse Charles, il pedagogista più giovane, «lei è Judy Morrow. Comportamentalista di Boston.»
Con un gesto della mano presentò una donna sulla quarantina, capelli mori e sguardo analitico.
«Ho sentito parlare di lei.»
Liza le strinse la mano, lanciando un'occhiata dall'altra parte del giardino.
Xavier teneva le mani in tasca, scuotendo la testa.
Lei rise, «anche io, direi» disse, prima di soffermarsi sulla sua figura quasi volesse guardarle attraverso, in cerca di dettagli utili.
«Judy avrebbe piacere di fare una chiacchierata a proposito del caso Enigma» chiarì Charles, prima di fermare uno dei camerieri e prendere quattro bicchieri di scotch -due per se stesso-.
Judy non sorrise, «sì. Le notizie pubbliche non sono mai affidabili, soprattutto come nelle grandi metropoli come Detroit.» Questa volta rise.
Un ossimoro di risata, calda e fredda al contempo.
«Che cosa vuole sapere?» chiese Liza, sorridendo a sua volta.
Guardò la figura lontana di Xavier parlare, gesticolare contro il suo interlocutore.
«Ah, niente di che» Judy scosse la testa, «più che altro la parte che ha esaminato lei. La psicologia di Wilson...» spiegò, per farle capire, «avrà fatto delle considerazioni a riguardo, giusto?»
«Certo.» Non le aveva fatte.
Non aveva scritto una singola pagina su Andrew, dopo il suo arresto.
Avrebbe potuto stilare tesi intere, ma era come se se ne fosse dimenticata.
«Perfetto» La donna incrociò le mani dietro la schiena, «allora quando vuole, incontriamoci.»
Liza annuì.
La voce di Xavier le arrivava indistinta, un groviglio di parole incomprensibili e sbalzi di tono. Alcune persone vicino a lui si girarono.
«Lui è il detective?» chiese Judy, e Liza desiderò per un solo attimo di poter negare.
«Sì.»
La donna non disse nulla. Stette solo a guardare lo spettacolo che aveva davanti, quasi fosse uno strano esperimento sociale.
Xavier teneva il bicchiere tra le dita di una mano, muovendolo da una parte all'altra, mentre addosso gli si stendeva uno spesso velo di nervosismo.
I suoi gesti spazientiti e il suo sillabare lentamente ogni insulto che stava rivolgendo all'altro non erano frutto di una nuova irritazione, quanto più di un'insofferenza sepolta fino ad allora.
Celata agli occhi di tutti quegli ospiti che aveva dovuto rincuorare con i suoi modi cortesi e pacati. L'idea che Liza si fece era che l'avesse mascherata con maestria, che fosse riuscito a nasconderla fingendo che quella vita non lo stesse logorando, sottile come il taglio causato da un foglio di carta. Ma in quel momento, osservando come gli unici che lo stessero considerando fossero quelli troppo vicini per ignorare la sua rabbia, Liza si chiese se fossero stati tutti troppo ciechi.
Forse troppo illusi per vedere davvero.
«Se vuole veramente sapere cosa si prova a ricevere una lettera da Enigma, entri in polizia. Ma si prepari a trovarsi davanti il corpo squartato, bruciato e distrutto di una donna.»
Era l'unica frase, lapidaria e terribile, che Liza aveva sentito davvero nitidamente.
Xavier si voltò nella sua direzione, cercò i suoi occhi per poco, troppo poco tempo, e lei non riuscì a ricambiare quello sguardo.
«Sa, mi farebbe piacere parlare anche degli effetti del caso... su di voi.» Judy finì lo scotch.
«Questo è il Sunset Boulevard, il Viale del Tramonto a Hollywood. Sono le cinque del mattino. Arriva la polizia, la Squadra omicidi col solito codazzo di cronisti. In una di queste sfarzose ville è stato commesso un delitto. Lo leggerete sui giornali del mattino e ne sentirete parlare alla radio. Lo trasmetterà anche la televisione, perché questo è un fatto grosso e nella vicenda c'è coinvolta una diva del cinema...»
La voce di William Holder fluiva lungo le pareti buie del cinema. Le macchine scorrevano veloci. Cambio inquiadratura, i giornalisti salivano le scale di una villa candida.
Ad assistere alla sua morte solo due o tre spettatori notturni, incapaci di scegliere cosa fare in quella serata troppo calda per essere primaverile.
In sala regnava un silenzio quieto e religioso, rotto dai suoni acuti e rimbombanti di Viale del Tramonto.
Il bianco e nero della pellicola riluceva attraverso l'ologramma che la proiettava, illuminando le file di una luce lattea e spettrale.
Xavier sedeva in uno dei posti al centro, lo sguardo brillante fisso davanti a lui.
Frammenti di scene si specchiavano nelle sue pupille.
«Ma prima che gli altri vi raccontino questa storia deformandola, prima che i soliti gazzettieri alla caccia di scandali se ne impadroniscano, sono certo che vi piacerebbe sapere la verità. La pura verità...»
«Scusa il ritardo.» Liza si sedette vicino a lui. Rigida e spazientita, si sistemò l'orlo del vestito, buttando fuori l'aria in un forte sbuffo.
Xavier non disse nulla.
Rimase a fissare lo schermo davanti a lui.
Il corpo di Holder, sullo schermo, galleggiava a bordo piscina.
I giornalisti scattavano foto al suo cadavere.
Liza si passò una mano tra i capelli, si guardò intorno, ovunque. Sembrava non trovare pace.
«Posso sapere cosa è successo?» chiese infine, secca, voltandosi verso Xavier. Si schiarì la gola.
Lui sbattè le ciglia, rimanendo a osservare il film davanti a lui in un'ipnosi volontaria e insofferente.
«Xavier.»
«Ho discusso con un ospite.»
«Gli hai letteralmente versato lo scotch in faccia.»
Lui scoppiò in una risata nervosa e irritata, «aveva superato il limite.»
«Non mi importa» soffiò lei, aggiustando il tono di voce a metà frase, «cosa ti costava ignorarlo?»
«Come faccio sempre?» domandò lui, «questa volta non ce l'ho fatta» ammise con apatia.
Si strofinò una mano sull'occhio, poi continuò a guardare il film, come se davvero gli importasse.
Liza scosse la testa in un moto di delusione, «sai benissimo che potevi trattenerti. Capisci quanto mi hai messo in difficoltà?» gli rinfacciò.
Era ferita, ma non da ciò che gli altri potevano pensare, quanto dal fatto che con quella scenata Xavier avesse mostrato qualcosa che le nascondeva da tempo.
«In difficoltà? Liza, forse non ti rendi conto delle persone che hai intorno.»
Xavier la guardò per la prima volta, solo una breve frazione di secondo, prima di interrompere di nuovo quell'effimero scambio di sguardi.
«Non farmi passare per la colpevole.»
«Non ti sto facendo-»
«Sai» iniziò lei, quasi avesse paura di lasciarlo continuare a parlare, «sai, puoi dirmelo chiaramente se non vuoi più accompagnarmi. Niente più feste, ricevimenti, non mi importa. Basta che non succeda più tutto questo.»
Incrociò le mani davanti a sé, abbassò il viso a toccare quasi lo sterno, come fosse un'automa a cui era stato il comando di spegnersi.
«Pensi di aver chiuso la questione così?»
«Hai qualcos'altro da dire?» Lei sorrise, sfidandolo a una strana gara di indifferenza.
«Sì, davvero molte cose-»
«Allora dille.»
«Non voglio rovinare la serata.»
«Fidati, lo hai già fatto.» Liza continuò a sorridere. Un sorriso congelato nel tempo, scricchiolante, quasi si stesse sciogliendo a ogni parola che pronunciava.
«Quindi sono stato io. Non il tuo amico avvocato che voleva sapere la mia vita e quella di Zelda.»
«Non dico che lui abbia fatto la cosa giusta, ci mancherebbe...»
Lui la interruppe, «sembra quasi che i tuoi amici non possano sbagliare.»
«Quello non è nemmeno mio amico.»
«Davvero? Perché sembra che tutti, sempre, siano tuoi amici. Forse lo fai per avere nuovi pazienti, e va bene così.» Inspirò appena terminata l'ultima parola.
L'espressione sul volto di Liza gli fece capire quanto male avesse fatto quell'ultima sentenza.
«Credi che lo faccia per la popolarità.»
Liza scosse la testa.
No, sapeva anche lei che non era per quello.
Eppure c'era qualcosa di dolorosamente vero in quel discorso.
«No. Dico che i tuoi pazienti, che le feste, stiano diventando la cosa più importante. E forse è per questo che non ti accorgi di tutto il resto.»
«E di che cosa dovrei accorgermi, precisamente?»sbottò lei, al limite di quella scomoda verità, «che sei sempre insofferente a tutto? Perché di quello me ne accorgo benissimo.»
Si sistemò un'ennesima volta sul suo posto, quasi la poltrona del cinema fosse una stratta gabbia da cui le era impossibile uscire.
«Forse è colpa mia» disse Xavier, con sincerità, «magari non so integrarmi qui. Ma sono venuto a Chicago per poter stare meglio. Me l'hai descritta come la mia opportunità.»
Parlavano ad alta voce, ma nessuno sembrava realmente farci caso.
«Non speravo di poter dimenticare, nemmeno lo voglio. Ma tutto mi viene costantemente ricordato» disse.
«Ed è troppo difficile.»
Chicago.
Gli era sempre sembrato che quella parola avesse un significato dolce, quasi terapeutico, quando la sentiva nominare.
Chicago era un porta gioie, le lettere che la componevano i diamanti al suo interno.
Chicago era un'illusione.
Come le più belle e false cose di cui Xavier aveva sempre amato contornarsi, idealizzandole fino alla delusione finale.
E temeva che l'ennesima verità stesse venendo a galla, che la realtà che per giorni aveva cercato di sopprimere si stesse inevitabilmente rivelando, scomponendo l'impeccabile e utopistico sogno che il suo io perfezionista gli aveva promesso.
«Perché non me l'hai detto prima?»
Liza lo chiese con uno strano tono assente, quasi non fosse nemmeno una domanda.
C'era qualcosa di troppo deludente nelle parole di Xavier, per essere accettato.
Qualcosa che Liza aveva temuto così tanto da eliminare completamente dalla sua personale realtà. Ignorato, lasciato crescere senza il coraggio di fronteggiarlo.
«Non lo so» Xavier negò, amaramente, «non lo so.» Ripetè, questa volta con più ostilità.
«Non mi hai mai detto niente. Mi hai mentito fino ad adesso.»
Liza si appoggiò allo schienale della poltrona. Poteva sembrare incredula ed estremamente cosciente al contempo.
«Sì» Xavier annuì, «ho cercato di convicermi. Ci ho provato, davvero» giurò, quasi volesse mostrarle l'impegno che aveva dedicato nell'illudersi di poter essere felice.
Aveva tentato di vedere Chicago sotto un'altra luce, di accettare i continui richiami alla sua vita come una cosa normale.
Non faceva male l'idea di vivere in un luogo così tanto simile a Detroit, quanto la scoperta che quel posto era Chicago.
Liza lo aveva condotto in un presente ancora più opprimente di quello da cui cercava una disperata tregua, mostrandogli una vita alla quale era abituata e che, si rese conto con risentimento, non aveva alcuna intenzione di lasciare.
La sua vita era lì, tra le familiari chiacchiere e le luci soffuse della villa, e sarebbe stato quasi contro natura privarla della realtà per cui era stata designata, dove si ambientava così bene, camaleontica, e con la quale era cresciuta.
Lei rimase dapprima in silenzio.
«Non so cosa rispondere» ammise poi, limpida e avvilita.
Portava addosso un'infelicità che non aveva mai rivelato davvero, prima.
Un dolore dalle varie sfumature, composto da così tante microscopiche emozioni disilluse da essere puramente angosciante.
Xavier si staccò dalla poltrona, appoggiando i gomiti alle ginocchia. Si portò le mani al volto, lasciandosi andare in un sospiro esausto.
«È passata solo qualche settimana» disse Liza, quasi a se stessa.
Poi si voltò. «Non-»
Non può funzionare, non qui, pensò.
Ma non si sentì ancora sicura di continuare la frase. Una confessione del genere era troppo sofferente, troppo lugubre per essere espressa.
E lei non voleva ammetterla.
Il solo pensiero era qualcosa che la svuotava dentro, lasciandola in balia di una deprimente vacuità.
Xavier mise una mano in tasca, prese qualcosa.
Un biglietto con un numero di telefono scritto di fretta. Sopra, il nome del proprietario.
"East of the Sun"
«Avevo prenotato un tavolo» Xavier gli porse il foglio, sfiorandole la mano, «per favore, disdici»chiese, quasi sussurrando.
Non c'era ira nel suo tono.
Era quello di sempre, calmo e cadenzato, bello e confortante.
Spesso rischiava di risultare malinconico, ma Liza sapeva per certo quando non lo era.
In quel preciso istante riconobbe la tristezza che lo accompagnava, pressante seppur così gentile.
Lei guardò il biglietto per qualche secondo, prima di annuire.
Tenne quel pezzo di carta tra le mani, nascosto alla vista di spettatori fantasma, stretto quasi fosse un regalo appena ricevuto.
Entrambi rimasero in silenzio.
La storia davanti a loro scorrereva frenetica, si rifletteva sui volti, li illuminava di chiaro e scuro, quasi fossero diventati improvvisamente i protagonisti della pellicola.
«Eccomi, DeMille, sono pronta per il mio primo piano!»
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