Capitolo 3- Questa lettera è assurda!

Xavier sentì un rumore ovattato provenire dal pianerottolo.
Una porta aprirsi e richiudersi subito dopo, più silenziosa.
Guardò l'orologio.
Le cinque e quindici.
Si era addormentato sul divano, dove sedeva almeno due ore prima per osservare la lettera di Enigma.
Quella stessa lettera che in così poco tempo era diventata una pressante ossessione.
Per un attimo, quando aveva scoperto quel piccolo dettaglio disegnato sul pezzo di carta, si era dimenticato di sua sorella e di dove potesse essere.

Quella porta delicatamente chiusa lo faceva tornare alla realtà.
Alzandosi prese anche la lettera con sé, la scrutò per un ultima volta e poi distolse lo sguardo, come a rimproverarsi di averla guardata troppo a lungo.

Passò davanti alle aspidistre e accarezzò fugacemente le foglie brillanti di una di loro, poi si sedette sul tavolo e rimase in attesa.
Aspettò che fossero almeno le sette, così avrebbe sentito Zelda prepararsi e uscire, ad attenderlo dal portone.
In quel momento sicuramente era piombata sul divano o sul letto, perdendo un'altra delle sue battaglie notturne.

Alle sette e venti Xavier e Zelda si riunirono, lei lo salutò con un sorriso accennato e le occhiaie camuffate con del trucco.

Per essere il trenta di dicembre faceva addirittura troppo freddo, Xavier camminava veloce e si abbracciava il torace per il gelo, mentre Zelda di tanto in tanto si tirava ancora più in su il collo del maglioncino color carta da zucchero.

Quando raggiunsero l'auto Zelda si mise a cercare le chiavi.
Aveva gli occhi stanchi, ma soprattutto spenti. Le lampadine smeraldo che li illuminavano di un chiarore così bello sembravano essersi fulminate.
Nel suo sguardo ora rimaneva solo del cupo fascino.

«Hai dormito stanotte?» chiese con dolcezza Xavier.

«Eccole.» Zelda aveva trovato le chiavi.
Aprì l'auto.

«Seriamente, Zelda.»

Lei si girò, aprendo la portiera del guidatore.
«Vuoi guidare tu? Oppure vado io? Comunque, sì, ho dormito» rispose lei con tremenda noncuranza.

«Sì, voglio guidare io.» Xavier finì la conversazione ed entrò nell'abitacolo, chiudendosi la portiera dietro.

Zelda si sedette nel posto accanto, poi appoggiò la testa sul palmo della mano pallida.

«Dormi un po', ti prego» mormorò soltanto Xavier.

Zelda abbassò le palpebre con repulsione, poi distese i lineamenti e sperò di addormentarsi il prima possibile.

Quando Zelda si svegliò, l'unica cosa che vide dal finestrino fu un'interminabile e secca strada, dove picchiavano i crudi raggi di sole invernali. Per il resto, nulla.
«Hai preso la strada giusta?»

«Purtroppo sì, Mulder non scherzava quando diceva che forse lo avremmo rivisto solamente al suo funerale.»

Zelda sorrise suo malgrado.

Quando lo avrebbero incontrato, di lì a poco, era certa che Mulder sarebbe stato identico a due anni prima.
Acido e realista, schietto in modo imbarazzante.

«Vive nel nulla, allora» constatò Zelda, guardandosi intorno.

In realtà qualcosa oltre al niente c'era, un puntino lontano.
Era un'abitazione, sembrava un cottage, ma era impossibile esserne certi, era troppo distante.

«Mulder abita lì?» chiese Zelda, non sapendo se essere sorpresa o meno. Mulder diceva sempre di rimpiangere la vita in esilio nel suo cottage.

«Sì, da qui in avanti dovremmo prendere quella strada sterrata»

Il viale era talmente dismesso da essere ricoperto di pietre e gobbe, talmente tante che Xavier provò un senso di nausea per tutto il tragitto e Zelda dovette sistemare più volte i capelli che balzavano in aria continuamente.

«Le luci sono accese» mormorò Xavier uscendo dall'auto, ancora in preda alla nausea.

Zelda percorse il vialetto d'ingresso repentina, poi si fermò davanti alla porta d'entrata.
Quando il fratello la raggiunse lo guardò, poi suonò al campanello.
Passò un minuto, videro le tende della finestra oscillare.

«Cazzo» sibilò Xavier, «Mulder, lo sappiamo che sei in casa!» gridò poi.

Zelda suonò di nuovo al campanello, ma questa volta il suo dito non si staccò.
Un trillo insopportabile continuava imperterrito a rompere il sacro silenzio che abitava quel luogo.
La serratura scattò una, due volte, poi la porta si spalancò.

«Spero siate venuti solo per prendere un tè.»
Un uomo alto e robusto, castano e dai tratti marcati, li stava scrutando con aria quasi rassegnata.
Mulder.
Era in vestaglia, portava delle ciabatte verde acceso e in una mano teneva una lattina di energizzante.
Gli occhi scuri e disinteressati si erano riempiti di sorpresa mal celata quando aveva aperto la porta.

Zelda e Xavier si guardarono, poi il ragazzo porse la lettera incriminata a Mulder.
Lui la prese con la mano libera e iniziò a leggerla.
I suoi lineamenti mutarono, le sopracciglia s'incurvarono e l'espressione dapprima annoiata diventò colma di preoccupazione.
«Merda.»

«Fanculo il tè, allora» mormorò l'ex detective, poi fece segno ai gemelli di entrare in casa.

Era una casa piccola, rustica, con pochi quadri alle pareti. Dalla cucina si sentiva il fischio del bollitore.

Elaine, la moglie di Mulder, stava preparando qualcosa da mangiare.
Il salotto era una semplice stanza dalle pareti blu, perfettamente spolverata e pulita.

«Quando è arrivata la lettera? Ah, comunque sedetevi.» Mulder sprofondò nella poltrona di pelle, leggermente rovinata ai bordi.

«Ieri pomeriggio, l'hanno consegnata all'ufficio e l'ha presa Alma.
Chiunque fosse il mittente, non sapeva che tu non lavorassi più alla Omicidi» intervenne Zelda, sedendosi insieme a Xavier sul divano.

Arrivò Elaine con un vassoio tintinnante, poi lasciò sul tavolino del tè e biscotti.

«Grazie» mormorò Xavier, «no, sapeva benissimo che Mulder non lavorava più con noi. Credo lo abbia fatto, non lo so... per darsi più importanza» continuò, rispondendo a Zelda.

«Per darsi più importanza?» ripetè Mulder, prendendo un biscotto.

«Solo il fatto di averci fatto venire qui, lo faceva sentire considerato... se non avesse inviato la lettera all'ufficio, lo avrebbero saputo meno persone, meno ne sarebbero rimaste terrorizzate. Lo avresti saputo solo tu, Mulder»

«Potrebbe essere un megalomane?» domandò Zelda.

«Non ne sono sicuro. Ieri notte ho notato un disegno nel bordo della lettera, microscopico. Era una medusa. Lui, Enigma, credo sia un perfezionista. In senso ossessivo. E quel disegno è la sua firma.»

«È il suo modo per far vedere chi è realmente. Non può fare a meno di mostrarlo, è un'ossessione» constatò Zelda, poi aggiunse:
«Potrebbe aver programmato tutto. C'è la possibilità che sapesse che il giovedì è sempre Alma a ritirare la posta. E che lei, vedendo quella lettera, l'avrebbe aperta e scoperto il suo contenuto ce l'avrebbe fatta vedere»

«Avrebbe dovuto spiarci, però non escludo l'ipotesi. Se lui sapeva che Alma avrebbe parlato con noi e non con Carter, doveva conoscere le dinamiche che si stavano creando all'interno della Omicidi.» Xavier, pronunciando quelle parole, si sentì immediatamente vulnerabile.
Ammettendo che la pianificazione di Enigma fosse voluta, da quanto li stava spiando?

«Questa lettera è assurda» dichiarò Mulder mentre la rileggeva, passandosi una mano sulla sottile barba ispida.

«La calligrafia sembra stampata, e il contenuto... si sta riferendo al concetto di  perfezione, vero?»

Zelda e Xavier annuirono.

«Curerà tutto maniacalmente» dichiarò il detective.
«Non ce la possiamo fare da soli, contro una mente così turbata ogni mossa potrebbe essere sbagliata o eccessiva» aggiunse.

«Ci serve un criminologo» assentì Xavier.

«Prima ci serve un lavoro» lo corresse Zelda, senza guardare negli occhi né suo fratello né Mulder.

«Carter vi ha licenziati.»

«Sì, ieri» Zelda sorrise amaramente, tentando di non farsi scivolare addosso tutta la delusione che la abitava.

Xavier stava in silenzio, contemplando il fondo della tazza da tè con interesse.
Tutto sarebbe risultato interessante da osservare, piuttosto che dover guardare negli occhi Mulder.

Il detective annuì, poi appoggiò il biscotto che stava per mordere.
«Quel testa di cazzo.»

«Un detective ritirato e due appena licenziati, nessuno ci aiuterebbe» constatò rassegnata Zelda.

Mulder guardò per l'ennesima volta la lettera.
«L'unico modo è dirlo a Carter» dichiarò lui, con amarezza.

Zelda inspirò guardandolo storto.
«Mulder.»

«Anche se sembra impossibile, è comunque a capo della Omicidi. Cercherò di farlo ragionare.»

Cercherò di farlo ragionare.
Pensò Xavier, immaginando già cosa volessero intendere quelle parole.

Zelda sorrise lievemente, Mulder la guardò.
Lei si ricompose subito, temendo che il detective potesse in qualche modo leggerle i pensieri. Poi prese la tazza di tè.

«Non devi berlo per forza. Ormai è freddo, fa schifo» la rassicurò Mulder, facendole segno di appoggiare il bicchiere sul tavolo.

«Merda» sussurrò poi il detective, «questa lettera è davvero assurda! Sembra scritta da un esteta del cazzo!»

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