Capitolo 29, seconda parte- Siamo simili

Uno scroscio di applausi segnò la fine del primo atto.

Zelda era scattata in piedi appena le tende si erano richiuse, ed era svanita oltre l'uscita, invisibile sotto al rumore delle chiacchiere delle centinaia di spettatori.

In un batter d'occhio si era diretta verso la porta d'emergenza del teatro, l'aveva spinta ed era uscita, ritrovandosi sulle scale anti incendio di metallo.
Davanti a lei una schiera di palazzi scrostati e Detroit in tutta la sua colorata bellezza da domenica sera.

La sigaretta che tanto aveva desiderato si accese scricchiolando, illuminandole il volto con una luce cupa che le scavava i lineamenti con durezza.

«Ripetimi come avete fatto a perdere le tracce, deficiente.»

«Te l'ho detto, cazzo! Ce lo avevamo fino a mezz'ora fa!»

Prima che la sua mente potesse trovare qualche preoccupazione per tormentarla, un rumore lontano l'aveva distratta.
Zelda espirò lentamente, guardando davanti a sé.
Qualcuno stava bisbigliando dietro alla porta.

«Adesso cosa facciamo, eh? Come posso dirlo a Mulder? Me lo spieghi, porca troia?»

Carter.
Era la sua voce, ed era veramente terrorizzata.

Zelda spese veloce la sigaretta, poi mosse qualche passo leggiadro verso l'entrata.

«Ascolta, Myers. Ascoltami: non dobbiamo dirgli nulla. Semplicemente diremo che Wilson è sempre rimasto a casa. Nessuno saprà niente. Ma tu non devi fiatare, capito?» qualche secondo di silenzio, poi Carter tornò a parlare, «hai capito? Rispondimi.»

«Ho capito, va bene.»

Erano vicini.
Un passo falso e l'avrebbero scoperta.

Avevano perso le tracce di Wilson.
Le avevano perse a meno di due ore dalla fine dello spettacolo.
Le avevano perse e volevano insabbiare tutto.

Zelda riusciva a pensare solo a quello.
Le parole di Carter le vorticavano in testa come trottole incapaci di fermarsi.

«Adesso torna in sala e fai finta di niente. Se ti chiedono, dì che è tutto sotto controllo.»

«Non c'è nessuno, vero?»

«No. Vai, adesso.»

Dei passi sempre più distanti.
Myers se ne stava andando.

Zelda si avvicinò ancora di più alla porta. Sentiva una sensazione lontana, come se il cuore non smettesse di pulsarle in gola, ma lo ignorò e si sporse per udire i passi di Carter andarsene.
Eppure lui non si muoveva.
Rimaneva davanti alla porta semichiusa, incerto, guardandosi intorno.
Un'idea paralizzante si fece spazio nella sua mente, e Zelda non potè fare altro se non assecondarla.

L'aveva sentita.
Carter si era accorto della sua presenza.
Cosa sarebbe successo?
Cosa avrebbe fatto una volta accortosi che lei aveva sentito tutto?
Istintivamente ripensò alla faccia sanguinante di Wilson il giorno dell'interrogatorio.
Avrebbe subito una sorte simile?

In quel momento non si sentì certa di escludere nessuna possibilità.
Per un attimo temette che il battito del suo cuore si potesse udire, tanto lo percepiva forte e assordante.

Carter si avvicinò alla porta e Zelda rimase impietrita davanti ad essa, senza la forza di ragionare.
La sua mano sfiorava il vetro, ma Bennie la ritrasse dopo pochi secondi.

Quando il detective si avviò verso il corridoio, Zelda si sentì rinascere.
Buttò fuori l'aria che aveva trattenuto fino a quel momento, poi, a piccoli passi, si mosse verso l'entrata.

«Sapevo che stavi ascoltando. Ti ho vista.»

A metà corridoio, Zelda s'immobilizzò.

«Il rosso spicca.» Continuò Carter, alludendo mellifluo alla chioma dell'altra.

«Avete perso Wilson. I miei complimenti.» Zelda si voltò, mascherando la paura folle che stava sperimentando in quel momento sotto a un'espressione severa.

«Purtroppo, sì» Bennie si fermò e il silenzio che seguì fu raggelante e colmo di tensione da entrambe le parti.
«Spero non ti salti in mente di andare da Mulder e confessargli tutto come una brava scolaretta.» Rise. Risa disgustose e inquietanti.

«Certo che no. Terrò il segreto per me» rispose lei, sardonica, mentre scoccava occhiate in cerca di qualcuno. Chiunque.
Prese a camminare verso le tende che portavano alla platea.
Camminava cercando di radunare tutta l'apparente tranquillità possibile, non guardandosi alle spalle, ma sentendo chiaramente i passi di Carter provare a raggiungerla.

«Piano,» udì, dietro di lei, mentre sentiva il polso venir catturato in una stretta violenta e fulminea, «lo spettacolo non è ancora iniziato.»

«Bennie,» Zelda sorrise, amara, mentre la testa quasi le scoppiava per la troppa confusione e spavento che vi ci regnavano, «ti conviene lasciarmi il polso.» Continuò, mantenendo il sangue freddo e staccandosi da quella presa inopportuna con una strattone secco.

«Provaci. Prova a dire qualcosa.» La sfidò in un ultimo tentativo, mostrando involontariamente tutto il terrore che lo tormentava.

«Ci proverò.» Vicino a loro c'erano altre persone.
Ormai non sarebbe più potuto succedere nulla.

Lo guardò ancora per qualche attimo, e i suoi occhi brillarono di una sfrontatezza che sapevano di potersi permettere.

«Hanno perso Andrew.»
Un sussurro pronunciato mentre tutti si apprestavano a tornare ai propri posti.

Mulder ascoltava le parole mormorate di Zelda e una furia cocente s'accendeva sempre di più nel suo sguardo.

Come un passaparola, tutti avevano preso a bisbigliare uno all'orecchio dell'altra quella notizia improvvisa e folgorante.
Un battito di ciglia e due agenti si erano recati sotto casa dell'attore, ma le luci erano spente, la sua auto non c'era.

Il dado era tratto, il danno già compiuto.

E mentre la notizia della scomparsa di Andrew si espandeva lungo le mura del teatro, l'angoscia cresceva e sfigurava le espressioni neutre degli investigatori.

«Come hanno fatto. Voglio saperlo.» Ripeteva Xavier come un mantra, accartocciandosi in un senso di colpa immotivato.
Non era lui l'artefice di quella cazzata, ma il panico generale del momento lo fece convincere del contrario.

Non era l'unico.
Mulder doveva provare sentimenti simili che sfogava nella rabbia, urlando addosso a tutti gli agenti che gli si paravano davanti, in un meccanismo di difesa contro chiunque provasse a giustificare Carter.

Carter... lui era scomparso. Introvabile. Probabilmente troppo spaventato per uscire allo scoperto.

«J'arrive pas à croire! Non posso credere che... come cazzo è possibile?» Si poteva capire che la situazione fosse grave dalla perdita di calma di Liza, che vagava per il teatro sotto lo sguardo curioso degli ospiti infuriando frasi sconnesse in francese.

«Carter, Carter, ovviamente! Quel connard!» e mentre dava del coglione a Bennie, mostrava il suo lato più recondito e rabbioso, quello che ora si scatenava davanti all'ipotesi crescente che Wilson fosse davvero il loro uomo e che per una futilità del genere avessero perso l'unica occasione per prenderlo.

Zelda osservava la scena come un quadro complesso e imponente.
Desiderò più e più volte di aver preso il Valium, qualche ora prima.
Se fosse stata sotto il suo effetto, forse in quel momento non avrebbe sentito le viscere contrarsi come sotto la spinta di un peso incommensurabile.

Tutto sembrò fermarsi quando le luci si spensero.
Lo spettacolo doveva continuare.
Rhapsody in Blue doveva essere ancora eseguita, e niente lo avrebbe impedito, come aveva detto Myrtle agli investigatori.

«Signori, bentornati. Cosa di meglio, per iniziare questo secondo atto, se non il pezzo principale della serata?» il suo sorriso sembrava forzato.
Anche sotto agli applausi del pubblico, continuò a sembrare un fascio di nervi.
«Quindi, senza indugiare... Rhapsody in Blue, riadattata dalla nostra Orchestra!»
Dopo un momento di silenzio colmo di attesa, in cui i musicisti si sistemavano ai loro posti, il suono conturbante dei fiati si unì, sfumando, a quello acuto degli archi in sottofondo.
La melodia crebbe sempre di più, fino a esplodere in un unico insieme di accordi e strumenti che fece sussultare tutti.
Era una musica accesa, quasi violenta, sempre elegante.
Ribaltava gli animi già scossi, instillando un'agitazione che sarebbe stata solo emozionante in una situazione normale, ma che in quel momento parve quasi instostenibile.

Xavier agonizzava ogni volta che il ritmo si faceva più irruento, serrando la mascella e chiudendo gli occhi nel tentativo di trovare qualche goccia di calma.
Sentiva le note lacerargli i timpani, mentre tutta quella confusione si mischiava alla paura in un turbinio tremendo.

La musica alzava i toni, ancora e ancora, diventando sempre più acuta e isterica, mentre i musicisti sul palco sembravano completamente assorbiti dalla loro parte come se stessero svolgendo uno strano e viscerale rituale.

E quando le note del pianoforte diventavano più dolci e davano la mera illusione di poter esprimere una melodia più placida, gli archi tornavano e con loro scoppiava di nuovo quel caos raffinato e devastante.

Tutti osservavano il palco, ipnotizzati, incantati, spaventati dallo spettacolo che avevano di fronte... fino a che non arrivò il silenzio.
Un silenzio più violento del brano in sé.
Un silenzio non programmato.
Allarmante.

«Signore. Signori.»

Alcuni si alzarono.
Altri ancora non capirono cosa stava succedendo esattamente.

L'unica cosa certa era che l'ologramma di Chet Baker era apparso in mezzo al palco, illuminandolo di una luce accesa e artificiale.

«Enigma!» Zelda si alzò, voltandosi d'istinto verso Mulder.
Lui la guardò smarrito.

«Mi dispiace di aver interrotto lo spettacolo. Ho solo una breve comunicazione da fare, poi tutto tornerà come prima.»
La voce era quella originale.
Originale del cantante.
Camminava a lunghi passi per tutto il palco, nel suo completo di tweed.

«Sono felice che siate riusciti a decifrare il messaggio. Non avevo dubbi. I miei complimenti.»
Guardò il palco.

«Ma avete peccato di... disattenzione. Credevate di aver messo in conto tutto, isolando i musicisti e blindando il teatro.»

Una sensazione devastante prese ad attorcigliarsi lungo le menti dei detective.

«Purtroppo non avete pensato al dettaglio. Non avete pensato a Beryl Wright. Quella povera, forse troppo ingenua violoncellista che è stata rimpiazzata due settimane fa. Per lei nessuna precauzione.
Il suo sogno era di potersi esibire al Dionysus.»

Si udì un grido provenire dal lato degli archi. Una donna era svenuta e i due violinisti vicino a lei le erano andati in soccorso.

Un brusio di consapevolezza si iniziò ad espandere per tutta la sala.
Molti provarono ad andarsene, alzandosi e dirigendosi verso l'uscita.
Altri rimasero semplicemente pietrificati nei loro posti.

«Peccato... eppure contavo su alcuni di voi per questo. Devo dire che sono rimasto deluso.»Pronunciò le ultime parole in maniera orribilmente smielata.

«Però potete rimediare» continuò, mentre sopra di lui, in cerchio, appariva una sequenza di numeri apparentemente senza un filo logico.

Ci furono secondi di interminabile e irreale silenzio.

«Sono delle coordinate!» gridò Mulder appena resosi conto del vero significato di quella combinazione.

Da quel punto in poi, fu solo pura e caotica anarchia.

Le urla della polizia si confondevano a quelle degli spettatori che sbraitavano di volersene andare al più presto, mentre i musicisti erano già spariti dietro alle quinte.

«Dobbiamo andare!» Mulder prese per un braccio Zelda, che era rimasta bloccata nella folla di gente che riempiva la sua fila, mentre Liza già stava raggiungendo l'uscita, guardandosi alle spalle di continuo in cerca di volti familiari.

Quello che qualche minuto prima era stato un teatro ora era più simile a un inferno, un manicomio isterico, un disordine totale che prometteva di infuriare ancora per molto.

«Xavier, cazzo, andiamo!» Gli gridò Zelda, in equilibro su uno scalino, guardandolo disperata mentre rimaneva seduto al suo posto, immobile.

Nessuno aveva udito le ultime parole dell'ologramma.
Nessuno tranne Xavier, rimasto ad osservare il palco come se niente più esistesse al di fuori.

Prima di spegnersi, Chet Backer aveva pronunciato un'ultima, divertita e sibillina sentenza.

«Anche io amo gli oroscopi... una vera coincidenza!»

Una semispecie di Luna Park abbandonato nella periferia di Detroit.
Ecco dove portavano le coordinate di Enigma.

All'orizzonte il porto e tutte le luci lontane e sfocate delle navi ormeggiate.
Un parco cupo e dalle recinzioni di metallo, insieme a una corolla di palazzi fatiscenti e dai colori chiari, facevano da cornice a quel posto dismesso ed emanante un fascino particolare nel suo squallore.
Tutto era inutilizzato e violato da rampicanti ed erbacce di ogni genere, mentre i dettagli di ciò che un tempo era stato venivano illuminati dalle luci dei lampioni arrugginiti.

Quando arrivarono, gli investigatori si fermarono al centro dello spiazzo che fungeva da ingresso a quel malmesso parco divertimenti.
Non si erano rivolti la parola per tutto il viaggio.
Un'inquietudine rovente scorreva lungo le loro vene, ed era impossibile comunicare quando si sarebbe solo voluto urlare a pieni polmoni.

Xavier sedeva sulla panchina sotto la ruota panoramica sommersa da edere.
Lo sguardo perso, il tacco della scarpa che batteva inesorabilmente sull'asfalto, un'unica frase in testa e la certezza che sarebbe successo qualcosa di terribile.

Zelda stava distante.
Forse si voleva isolare, forse voleva solo un po' di silenzio.
Si avviò verso il poligono da tiro, osservando l'ambiente circostante.
Era come se allontanandosi non potesse contaminare il gruppo con le sue preoccupazioni.

«Abbiamo sbagliato tutto.»
Le parole di Mulder furono come uno schiaffo in pieno viso, eppure Liza annuì.

«Sì» riuscì solo a dire, prima di sprofondare in una delusione amara e pungente.

Uno degli agenti di pattuglia si avvicinò a loro. Il suo volto avrebbe già potuto parlare di per sé, ma le sue parole confermarono l'incubo di tutti.

«Hanno trovato il corpo» poi guardò Xavier, «é meglio che veniate a vedere.»

Quando vide la cabina ancora accesa e sfarfallante dell'oroscopo, Xavier credette di svenire.
E quando posò lo sguardo sulla figura storta e innaturale adagiata contro il muro, sentì una scarica di paura nella sua forma più pura attraversargli la spina dorsale.

Era qualcosa di indescrivibile.
E anche se fosse stato possibile esprimere ciò che era stato fatto a quel corpo nessuno avrebbe mai voluto ripeterlo.

Gli arti spezzati, le ossa bianchissime che sbucavano dalla carne viva e i lividi violacei che ricoprivano la pelle martoriata non erano niente in confronto alle stranezze con cui Enigma si era prodigato quella volta.
Piume bianche sembravano essere state attaccate al collo, alle mani sottili e alla schiena con della cera che aveva lasciato ustioni accese e circolari.
E quando Liza si era avvicinata, spinta da una coraggio più simile alla disperazione, e aveva guardato da vicino il cadavere, si era voltata di scatto abbassando d'impulso le palpebre per qualche momento.

«Le ha bruciato gli occhi» sussurrò, terrorizzata, stringendo il braccio di Mulder in un impeto di orrore.

Le aveva quasi incenerito le pupille.
Poi aveva cucito le palpebre con punti precisi, in modo che il lavoro si potesse ammirare perfettamente.

Xavier guardava la scena con una freddezza che sarebbe potuta essere scambiata per disinteresse.
Anche a me piace l'oroscopo, pensò.
Aveva pensato a quella frase talmente tante volte che quasi faceva male continuare a ripeterla.
Eppure la ripeteva, la ripeteva infinite volte, sempre in maniera più forte, martellante. Continuò a ripeterla mentalmente fino a che un agente non gli indicò la cabina telefonica.

Lettera, capì solo.
Poi indirizzò lo sguardo verso la cabina e notò che una busta era appiccicata con dello scotch vicino alla cornetta del telefono.
Indossò i guanti che gli erano stati porsi meccanicamente, e meccanicamente si avvicinò a quella lettera pallida e lucente che sembrava aspettasse solo che qualcuno rivelasse il foglio al suo interno.

Zelda guardò tutta la scena senza interferire, davanti al corpo, immobile e impossibilitata a muoversi.
Le sue gambe semplicemente non rispondevano più.

Xavier si trovò davanti a una piccola busta, chiuso dentro quella cabina che non gli era mai sembrata così claustrofobica come in quel momento.
Indugiò davanti a quel pezzo di carta con su scritto il suo nome in caratteri eleganti e sottili.

Uno schiocco della carta.
Un respiro mozzato.
E la busta si aprì.

I suoi occhi scorsero e scorsero decine di volte, a rileggere la stessa identica domanda.

La stessa, identica, orribile, vera domanda.

Siamo simili?

Sì.
Certo che sì.

Enigma lo sapeva, lo sapeva bene. Benissimo.

Loro erano simili, ed era vero.

Xavier pensò che nessuna domanda avesse mai avuto risposta più semplice.

Sì.

Sì.

Sì.

Sì, forse lo disse addirittura a voce alta.

Sì, erano simili, sì, avevano lo stesso problema con le ossessioni!

E lui stava peggiorando.
Non se l'era inventato, allora.
Era vero, e lui lo aveva capito.
Sarebbe diventato come Enigma.
Lo sarebbe diventato molto presto e quella era la prova.

Niente gli sembrò più reale.
Solo quella domanda aveva senso per lui, in quel momento.

Nemmeno si accorse di star stringendo tra le mani la cornetta del telefono.

Sentì che una voce stava parlando dall'altro capo.
«Ultimo segno selezionato...
Leone»

Rise incredulo.
Incredulo di essere davanti a quell'incubo senza uscita che lo stava perseguitando da giorni e che finalmente si mostrava nella sua grottesca essenza.

Tutto gli sembrò semplicemente troppo brutto per essere vero.

Stritolava la cornetta con forza, mentre le nocche impallidivano e sentiva una violenza istantanea scorrergli addosso.
, pensò un'ultima volta.

«Ultimo segno seleziona-» la voce dall'altro capo del telefono non era riuscita a finire la frase, perché la cornetta si era infranta contro la porta della cabina in un suono sordo, mentre il vetro si venava sempre di più man mano che i colpi aumentavano.
Xavier lo colpiva con un accanimento pauroso e disperato, e quello scricchiolava sempre di più, fino a che non esplose in una miriade di schegge appuntite e lucenti.

Un silenzio attonito pervase quel ritaglio di buio.
Tutti guardavano sconvolti la scena, senza la minima idea di come agire.

Liza rimase semplicemente ferma.
Anni e anni di preparazione ad una situazione simile sembravano essere volati via insieme allo stormo di cornacchie che adesso volteggiava lontano dal parco.
Tutto ciò che le sarebbe potuto essere d'aiuto in quel momento aveva lasciato spazio allo smarrimento più totale.

L'unica a muoversi fu Zelda, che come se si fosse risvegliata da un'ipnosi si avvicinò al fratello, cauta.

«Xavier» sibilò, guardando con sgomento i tagli sanguinanti e tempestati di schegge che si stendevano sui palmi delle sue mani.

«No!» lui si voltò, nel panico più totale, guardandola negli occhi, atterrito.
L'allontanò da sé con una mano, imbrattandole parte del viso con il sangue caldo e scuro che continuava a fluire dalle ferite.

Zelda indietreggiò, sul volto un'espressione sconcertata, confusa e sofferente.
Provò un dolore particolare e quasi fisico, mentre si obbligava a osservare la persona che amava di più al mondo soffrire in quella maniera lacerante e folle.

Xavier si rese conto dopo poco di quello che era successo, e la consapevolezza fu ancora più dolorosa di tutto ciò che era successo prima.

La sua schiena si accasciò sempre di più contro il vetro ancora intatto, mentre si guardava intorno disorientato e i capelli gli cadevano davanti agli occhi come fiamme impazzite.

E il sangue colava su quella maledetta lettera che fino a pochi attimi prima era stata incontaminata e perfetta, colava sulle scaglie di vetro che contornavano la figura di Xavier come una corona tagliente.
Quelle scaglie che riflettevano il suo viso in maniera distorta e agghiacciante.

Xavier pensò che nessuno specchio avesse mai riflesso meglio la sua immagine.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top