Capitolo 28- Sto attento ai dettagli
«Eccoli, stanno arrivando!»
«Presto, prepara la macchina fotografica!»
La mattina del quattordici gennaio, un giorno prima del secondo spettacolo al Dionysus, uno sciame di giornalisti si era radunato, impaziente e compresso, davanti alla centrale di polizia.
Quell'ondata di cappelli scuri di feltro e collane lunghe e tintinnati si fece avanti quando vide un'auto parcheggiare davanti all'entrata.
«Questa trasferiscila subito sul clearCircle e inviala alla redazione, è buona!» esclamò un giornalista a un altro, mostrandogli una fotografia.
Le loro macchine fotografiche schioccavano e illuminavano l'asfalto umido con lampi accecanti, mentre le domande di almeno venti persone si fondevano tra loro in un brusio assordante e impossibile da gestire.
«Come sta procedendo il caso Enigma?»
«Avete delle nuove piste? Come state gestendo la situazione? Avete già in mente quando colpirà di nuovo?»
«Potete dirci altro? Credete che l'omicida sia tra i sospettati che avete già interrogato?»
«Per favore, da questa parte! Dia qualche risposta per il Detroit's Article, finirà in prima pagina!»
Le domade lo avevano trafitto come spine appena Xavier aveva messo piede fuori dall'auto, mentre le sue pupille si assottigliavano sempre di più sotto alla luce violenta dei flash.
«Niente dichiarazioni» disse, cercando di farsi spazio tra il corridoio di gente che si stendeva fino all'entrata della centrale.
Camminava e il suo cappotto sfiorava quello dei giornalisti, a volte addirittura s'impigliava nei manici di alcuni ombrellli chiusi che qualcuno di loro teneva in mano.
Zelda inspirò, guardando lo spettacolo luminoso e irrequieto dell'esterno.
Con un suono secco un barattolino di plastica arancione si aprì e una pastiglia bianca cadde sul palmo della sua mano.
La inghiottì, senza nemmeno preoccuparsi di bere dell'acqua, poi ripose il valium nella tasca del soprabito.
«Allora, stronzi? Ha detto niente dichiarazioni! Riuscite a capirlo o la vostra mente non recepisce un cazzo se non puttanate?»
Mulder.
Xavier era bloccato in mezzo a quell'ammasso di gente, simile a uno stormo di gazze ladre in cerca d'oro, quando vide Oscar spintonare tutti e tutto per cercare di diradare il pubblico.
«Detective, quali crede siano i moventi dell'omicidio?»
«Avete rotto il cazzo!» sbraitò Mulder, gesticolando, «scrivete questo: che il capo della Omicidi di Detroit ritira tutte le cazzate dette nel precedente articolo! Andatevi a prendere qualcosa di forte da bere e non rompete più i coglioni!»
Uno spiraglio di vuoto si era aperto lungo la folla e Xavier colse l'attimo in cui tutti guardavano Mulder agitarsi per sgusciare fuori da quell'ammasso di giornalisti e domande.
La calma durò gli attimi prima che Zelda aprisse la portiera.
Poi tutti si precipitarono da lei, la gemma ancora da raffinare, e l'assalirono di domande assetate e flash che presto si sarebbero tramutati in foto del suo volto disorientato.
Xavier vide la scena dall'altra parte dell'entrata.
Incrociò per qualche attimo lo sguardo con quello ritmicamente illuminato di Zelda.
La aspettò dietro al vetro spesso della porta, ma non tornò indietro ad aiutarla.
«Si può sapere cosa sta succedendo fuori? C'est l'enfer!» Liza si era chiusa la porta alle spalle, mentre un muro di persone le faceva da sfondo.
Si accorse ben preso di quanto la situazione fosse tesa anche lì, dentro alla centrale, quando nessuno rispose alla sua domanda, troppo sommersa da una confusione quasi isterica.
Tutti volteggiavano da un ufficio all'altro, in un turbinio di squilli di telefono, passi svelti e innervositi e suoni di pile di fogli che si infrangevano al suolo.
«Liza Aster?»
Lei si voltò al suono di quella voce. Annuì. Davanti a lei c'era un ragazzo giovanissimo, affannato, che nella mano teneva almeno cinque cartelle colme di documenti.
«I Lynch sono al piano di sopra, nell'ufficio di Mulder. La stanno cercando.»
Liza si guardò ancora intorno per qualche secondo, rimanendo quasi ipnotizzata da quell'irrequietezza perpetua e confusa.
Era il quattordici gennaio.
Tutto quello che si poteva fare ancora, si sarebbe potuto fare solo quel giorno.
«Posizioneremo una pattuglia per ogni isolato della zona. L'entrata del Dionysus viene sorvegliata da stamattina.»
Carter vagava per la stanza, mentre Star Eyes gli faceva da sfondo e le note dolci e romantiche del violino fallivano nel tentativo di rendere l'atmosfera pacata, stridendo contro l'incessante brusio che imperava dietro alla porta chiusa dell'ufficio di Mulder.
«I musicisti sono sotto controllo?» Xavier stava dall'altra parte della stanza, lontano da Carter, mentre si lasciava oscillare in passi inquieti e sconclusionati.
Stavano parlando, quando il detective capo era entrato nell'ufficio e aveva iniziato a mettere documenti sulla scrivania, illustrando quanto il piano che aveva organizzato fosse eccellente.
«Loro sono già sotto sorveglianza da ieri, Lynch. Non sono così sprovveduto.»
«Io non sono così sprovveduto. Tu volevi metterli sotto sorveglianza da domani sera, stellina.» Mulder aveva appoggiato il bicchiere sulla scrivania con un tonfo.
Era meglio mettere in chiaro alcune cose: lui aveva organizzato quel piano, mentre al telefono i Lynch collaboravano.
Carter aveva solo trascritto.
«Mulder, non ti azzardare ad apostrofarmi in maniere ridicole.»
«Ah, allora ti danno fastidio i soprannomi?» Zelda lo osservò da dietro la fiammella dell'accendino, poi quello si richiuse con uno schiocco veloce.
«Scusate il ritardo, mi hanno detto che vi avrei trovati qui.»
Liza rimase qualche secondo sulla soglia.
Non sembrava allarmata dalla situazione fuori, forse solo leggermente infastidita.
Salutò tutti, tranne Carter, con un cenno.
«Carter ci stava illustrando il piano per domani» disse Xavier.
Quando Liza gli si sedette vicino lui si sporse dalla poltrona su cui sedeva, sussurrandole qualcosa di impercettibile.
Poi prese un guanto di velluto dalla tasca della giacca e glielo porse.
Lei ricambiò il gesto con un sorriso abbozzato, rispose con altre parole sottili e impossibili da captare.
Zelda osservò la scena di sottecchi, mentre la vista veniva a tratti offuscata dal mantello di fumo che fluttuava davanti a lei.
Nessuno vide e seppe le emozioni che scorrevano lungo le sue iridi scintillanti.
«Domani parteciperemo allo spettacolo, ovviamente. Non voglio che nessuno di voi parli con i poliziotti all'entrata o che riveli la propria identità. Sono stato chiaro?» chiese Carter, autoritario, con un tono secco e deciso che non gli si addiceva affatto.
Riusciva a risultare sempre così poco convincente che ormai, anche se era il capo indiscusso, erano rimasti in pochi a prendere davvero sul serio i suoi ordini.
«Quale identità? Quella che i giornalisti qui fuori sputtaneranno entro domani mattina a tutta la città? Oppure quella che hai già rivelato con le tue dichiarazioni da prima pagina sul Detrot's Article?» sputò Zelda, sibilando in un misto di paura e rabbia crescente.
I flash continui e l'aggressione improvvisa dei giornalisti l'avevano irritata.
Pensare che il suo volto sarebbe comparso su tutti i giornali, l'aveva irritata.
Ma quel nervosismo si fondeva a un sentimento diverso, perché realizzava che qualcosa forse stava inizando a cambiare.
E glielo aveva confermato lo sguardo disinteressato di Xavier che la osservava, senza reagire, mentre lei veniva ingabbiata da quella folla irriverente.
Si chiese se non era ciò che voleva, quel disinteressamento.
Aveva plasmato i suoi atteggiamenti per arrivare a quel punto, ma ora che davanti a lei si presentavano i primi veri segni di indifferenza rimase impietrita nel rendersi conto che la terrorizzavano.
E che forse era davvero come le aveva rinfacciato Xavier: lei era troppo presa da se stessa.
Talmente presa da se stessa da aver fatto l'ennesima scelta sbagliata, pensando che fosse l'unica possibile.
«Tenete un profilo basso. E comunque, Zelda, i giornalisti non li ho chiamati io.»
Non ebbe il coraggio di chiamarla in nessun altro modo, se non con il suo vero nome.
«Non dirmi che hai solo risposto alle loro domande. Ti prego.» Lei spense la sigaretta appena accesa, noncurante, come se schiacciando quel mozzicone potesse sgretolare anche i suoi pensieri.
Si alzò, stirandosi. «Andrew Wilson. Come procede con lui?»
«Lo stanno pedinando da ieri sera. Niente di sospetto.»
Mulder scosse la testa.
Lui, su Wilson, non ci aveva mai puntato troppo.
E invece, adesso, più non faceva nulla di sospettabile, più in lui crescevano dubbi che erano sempre più restii ad andarsene.
Un tonfo sordo, dei fogli colmi di una calligrafia lineare che s'infrangevano sulla superficie della scrivania.
«Ho terminato il resoconto su Enigma» Liza incrociò le braccia, poi le liberò subito dopo per prendere uno dei documenti, «ho analizzato le lettere, di nuovo» diede una rapida occhiata al foglio, come se ne conoscesse a memoria il contenuto.
Poi lo abbandonò sul tavolo e ne raccolse un altro, «studiando il suo primo omicidio, anche se gli spunti erano ancora troppo pochi, ho intravisto il classico metodo lineare per gli omicidi. Vale a dire-»
«Vale a dire che ogni suo omicidio segue un filo logico.» Intervenne Zelda, chiedendosi dove l'altra volesse arrivare.
«Esatto. Un collegamento. Quelli come lui possono prendere spunti da qualsiasi parte, può essere di tutto. Dagli omicidi di coppia di Zodiac alle donne con i capelli scuri e la riga centrale di Ted Bundy. Sono esempi vecchissimi, ma che centrano bene l'idea.»
«Il suo collegamento può benissimo essere quello di uccidere qualcuno che conosciamo» disse Xavier, «o che comunque ci turbi più profondamente.»
«Sì,» lo fermò Liza, «ma qui non si tratta solo di ciò che vuole scaturire con l'omicidio» osservando le facce confuse dei presenti, cercò di riavvolgere il nastro e proseguire con più lentezza.
«È quasi ovvio che Enigma sia della categoria dei Missionari, questo lo avevate già anticipato voi prima del mio arrivo.»
«Missionari?» si lasciò sfuggire Bennie.
«Sì, Carter. Quella categoria di serial che prende i propri omicidi come una missione. Secondo anno di accademia. Non ti dice nulla?» Sorrise Xavier, parlando con un filo di arroganza nel tono.
Quell'atteggiamento usato di rado, ma che faceva tanto innervosire chi lo conosceva solo di facciata.
«Certo, Lynch. Avevo solo capito male, non c'è bisogno che mi mostri sempre la tua innata genialità.» Lo schernì lui, non guardandolo in viso.
«Qui non si parla di genialità, ma di competenze.»
Zelda squadrò entrambi i detective con gelidezza, poi rivolse il suo sguardo verso Mulder, su cui era già affiorato un sorriso irriverente.
«Prego di non farvi mai arrabbiare» sussurrò, sghignazzando.
Zelda alzò le sopracciglia, ironica, poi disse: «comunque, sì. Lo avevamo catalogato come missionario da subito. Fin dalla sua prima lettera sembrava tale, con tutto il discorso sulla perfezione.»
«Esatto» Liza annuì, «anche se ho visto nel primo resoconto che era stato aggiunto che potesse trattarsi di un visionario.»
«Lo avevo aggiunto io» Mulder alzò il braccio in segno di assenso.
«È un'ipotesi interessante. La hai aggiunta per la Dea, vero? La Perfezione.»
Sotto al cenno positivo del capo di Mulder, Liza continuò, «come immaginavo. La presenza di cui parla e a cui collega il discorso della perfezione potrebbe essere un'allucinazione.»
Non proseguì, ma si aggiustò la cintura sottile della gonna, «ma stiamo divagando. A queste conclusioni ci eravamo già arrivati giorni fa» ammise.
Non se ne erano resi conto, ma almeno da due giorni stavano ripetendo le stesse cose aggiungendo sempre più dettagli.
Dettagli insignificanti.
Non era con frammenti di idee che si potevano prevedere le prossime mosse di un soggetto così complesso.
Ma non c'erano indizi.
Non c'erano tracce.
Potevano esserci le menti più brillanti, più efficienti di tutta la Omicidi in quella stanza, ma tutto ciò che avevano era solo un insipido sospetto su un attore presuntuoso, qualche lettera e il profilo di un killer spettro.
E non bastava.
Per quanto le parole di Liza fossero convincenti, per quanto le ipotesi di tutti fossero logiche e plausibili, tutto ciò che avevano era come sabbia che scivolava tra le mani, inesorabilmente, fino a che sul palmo non rimaneva solo qualche manciata scarna di granelli.
«Quello che voglio dire è che c'è una differenza tra lo scopo dell'assassino e il suo metodo.»
«Certo» rise Zelda, come se quell'affermazione fosse un affronto alla sua intelligenza, «ma abbiamo solo un omicidio da analizzare. E possiamo solo affermare che era progettato per colpirci. Poi c'è la medusa, ma quello è il suo marchio, non il suo metodo.»
Concluse e poi diede un'ennesima, rapida occhiata nella direzione di Xavier.
Si squadrarono per qualche attimo, poi lui proiettò lo sguardo nuovamente sulle pellicine che andavano ad arrossargli le dita chiare.
«Io credo, invece,» la voce convinta di Liza la fece tornare alla realtà, «che ci sia dell'altro. Si può già scorgere un metodo dal suo primo omicidio.»
«Una testa decapitata e una lettera destinata a noi. Non c'è molto su cui basarsi.» Intervenne Carter, scettico.
«No, ma rileggendo la lettera ho pensato all'iconomania.» Guardò tutti, infine disse: «Per favore, anche se è ancora abbozzato, seguite il mio ragionamento.»
Poi, come se delle invisibili luci si fossero accese su un invisibile palco, Liza iniziò il suo monologo.
«Abbiamo catalogato Enigma come un DOC. Un ossessivo compulsivo. Che è giusto.
Ma ogni ossessivo compulsivo può manifestare il disturbo in maniera completamente differente da un altro. Ci sono infiniti tipi di manie.»
Infiniti tipi. Xavier pensò a quale potesse essere il suo. Perché c'era.
Ormai ne era quasi convinto.
«Credo che le due principali del nostro omicida siano proprio l'iconomania» Liza sorrise.
Un lampo indescrivibile le sfiorò gli occhi, «l'ossessione per un'icona, e la monomania. L'ossessione per un'unica idea. La prima è facilmente collegabile alla figura della Dea. Qualcosa che adora e per cui vive. la seconda-»
«Collegabile all'idea di perfezione e al voler giocare con noi. Niente di nuovo, però. Hai solo dato un nome alle sue paranoie.»
Constatò, quasi brutale, Mulder.
Forse è quella per la simmetria, la mia ossessione, pensò Xavier.
Lo infastidivano le cose disallineate.
Gli oggetti fuori posto.
I calcoli sprecisi, le macchie di caffè sui documenti, le foglie più gialle delle piante.
Era plausibile che quella fosse la sua mania.
Perché c'era.
«Tu as raison, Mulder, ma lasciami finire!»chiese la criminologa, sorridendo, quasi agitata davanti alle pressioni di Mulder.
Ultimamente il fastidio si era trasformato in ansia. Stava peggiorando.
Perché era così.
«Ho scelto di concentrarmi di più sull'iconomania e ho studiato a fondo la figura della Perfezione.
E ciò che ho trovato sono collegamenti, più o meno evidenti, con le divinità e la mitologia del mondo classico.
Nella prima lettera la cita appunto come Dea, quindi un'entità sovrumana, ancora qualcosa di troppo generico.»
Si fermò, diede un rapido sguardo al foglio che teneva tra le dita di una mano, «poi però la chiama Musa. È quasi ovvio il collegamento. Se l'avesse chiamata con uno solo tra questi due termini, le possibilità sarebbero state più ampie. Ma così fa riferimento al divino e poi a un termine troppo specifico... Musa. Si sta riferendo al mondo della mitologia greca, e non è solo la sua lettera a dimostrarcelo.»
Zittì così la prima scena del suo spettacolo nel teatro della psiche, accogliendo i volti dei presenti, illuminati da un bagliore sorpreso, come se fossero applausi scroscianti.
«La testa decapitata» disse Zelda, quasi inconsciamente, ripensando a quel metodo assurdamente impegnativo di proporre l'omicidio e maledicendosi per non aver mai collegato il tutto.
«Il mito di Medusa.» Xavier la guardò, ma dipinta sul suo volto non sembrava esserci la quotidiana complicità che si scambiavano quando giungevano alla stessa conclusione. Quella complicità che era riuscita a sopravvivere come un'erbaccia cresciuta tra gli anfratti di una roccia, non disfandosi mai nonostante tutto e che li rendeva quasi orgogliosi di essere fratelli sembrava scomparsa.
Molte cose, molti dettagli erano andati persi lungo quel cammino di allontanamento inesorabile che stavano compiendo, ma erano sicuri che la complicità sarebbe rimasta per sempre.
E vederla svanire come tutto il resto faceva intendere che forse niente era più recuperabile come entrambi in fondo speravano.
«È solo un'ipotesi. Ma i collegamenti ci sono.» Mulder annuiva, seduto sul ripiano della finestra.
Tamburellò le dita delle mani sulla superficie fredda del marmo.
«È stato il Dionysus a convincerti, vero?» chiese Xavier con un mezzo sorriso.
Un sorriso complice.
«Dioniso, il teatro... era il luogo perfetto, sì.» Liza riguardò il suo resoconto con una serenità mista all'orgoglio, «se il suo metodo è davvero questo, domani sera dobbiamo aspettarci qualcosa di spettacolare. È nel suo stile, voler fare effetto.»
«È legato a un mito, quindi.» Carter arricciò le labbra in un'espressione poco convinta.
«Vedo che inizi a ragionare.» Zelda allungò un braccio per prendere il soprabito, e quando lo indossò le perline di vetro del suo vestito vennero nascoste e smisero di luccicare. Strinse le mani gelide tra loro, guardando con disapprovazione la finestra semi aperta.
Carter non rispose alla sua provocazione, «quindi secondo voi colpirà dentro al Dionysus?»
«È probabile. E se non dentro al teatro, nei pressi.» Un filo di vento le mosse i capelli ondulati, e Liza li pettinò con una mano, distrattamente, mentre appuntava alcuni dei suoi documenti alla tabella dei sospettati.
«Ecco perché premevi così su Andrew, allora.» Mulder la guardò di sottecchi, «perché non ce lo hai detto subito? Perché non ci hai avvisato del resoconto?» domandò, forse incuriosito, con quel tono dubbioso e leggermente aspro che usava quando voleva saperne di più.
«Perché non ero sicura. È stato il Dionysus a convincermi, prima avevo paura di star seguendo la pista sbagliata.» E lei non poteva permettersi di dire la cosa sbagliata.
Di seguire la pista sbagliata. Di fare la diagnosi sbagliata.
«Va bene, ammettiamo che possa colpire al Dionysus. La polizia è ovunque, Enigma verrebbe subito intercettato» constatò Mulder, aprendo le braccia in segno di resa.
«Questa volta non siamo sprovveduti come a Capodanno.» Rimarcò Carter, forse dimenticandosi che la causa del loro fallimento fosse stata proprio lui stesso.
«Ed Enigma lo sa» disse a mezza voce Zelda, rendendo concreto il timore dei presenti.
Sembrava tutto troppo facile.
Tutto troppo infattibile per Enigma.
Non avrebbe mai potuto uscire indenne da un teatro colmo di agenti della polizia.
Allora perché aveva già svelato le sue mosse?
«Un ottimo resoconto.» Xavier sfogliò un'ultima volta i documenti, prima che Liza iniziasse ad appenderli alla tabella con spilli di rame.
«Ho visto Carter impallidire. Dici che era sorpreso o solo sconvolto?»
Xavier rise, «io ero sconvolto, quando non ricordava il programma base dell'accademia.»
«Grazie per il guanto. Lo avevo scordato» lo ringraziò, improvvisamente.
E improvvisamente ad entrambi sembrò di essere tornati a quella sera in cui le luci esterne sembravano stelle opache e il vinile sul giradischi si muoveva leggero.
«Figurati» mormorò lui, apparendo quasi distratto, mentre la osservava appendere al muro un foglio dopo l'altro.
Loro si muovevano, sottili, e continuavano a farlo in impercettibili movimenti anche quando lei li aveva infilzati nel sughero della tabella.
Xavier si avvicinò, «Perché la solitudine non è un difetto, ma il miglior pregio che si può sperare di avere» lesse.
Era un appunto che Liza aveva scritto in piccolo, a matita.
«Sì, è una frase dello spettacolo di Andrew. È come se l'avessi già sentita, ma ancora non so dove.» Fissò l'ultimo documento, poi «la pianta che ti ho regalato sta bene?» chiese, come se volesse mantenere vivo il dialogo e riportarlo a quella sera.
«È una specie molto resistente. Non ha praticamente bisogno di luce. Quello che mi serviva.»
Il discorso cadde.
Comunque, nonostante i tentativi di entrambi. Perché sforzarsi di continuare un dialogo e parlare di piante stava diventando troppo complicato.
L'orecchino di Liza oscillava, e sembrava stesse per staccarsi dal lobo e cadere da un momento all'altro.
«Attenta,» Xavier la fermò, mentre lei stava per voltarsi un'altra volta.
Sistemò la chiusura del gioiello, che scattò rapida a richiudersi.
Lasciò andare la perla con delicatezza e quella tornò a ondeggiare vicino al collo di Liza.
«Grazie, non me ne ero accorta,» sorrise riconoscente.
Incrociarono lo sguardo per qualche attimo, poi lei torno a osservare il muro cosparso di fogli arricciati ai lati.
«Sto attento ai dettagli» rispose lui, per poi ammutolire poco dopo.
Quella che voleva essere una banale risposta si trasformò in una verità inquietante, come stava succedendo troppe volte.
Enigma stava davvero cambiando il modo in cui vedevano le cose?
Stava davvero cambiando la loro realtà, a tal punto che ogni piccolo particolare che gli potesse essere collegato faceva subito calare un senso di angoscia su tutto?
«Non dobbiamo lasciarci influenzare da Enigma» Liza lo guardò dritto in viso, «non facciamo il suo gioco.» Parlò, quasi auto convincendosi, in un tentativo forzato di non cedere a quel gioco psicologico.
Si guardarono per qualche attimo e lei rabbrividì di fronte al vuoto che giaceva sul fondo degli occhi di Xavier.
Lui le si avvicinò e i suoi passi riecheggiarono nel silenzio della stanza.
«No. Non dobbiamo» disse, abbandonandole un bacio tiepido e leggero all'angolo della bocca.
Tranquillo. La sua voce lo era.
Calma traspariva da tutta la sua figura, dai passi misurati e dai suoi respiri miti che si scontravano col vetro della finestra in esili macchie di condensa.
Liza sospirò, poi stese le labbra in un sorriso il cui unico, tentato scopo era quello di fingere che tutto fosse sotto controllo.
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