Capitolo 27-All'East of the Sun ballano Summer Wind?
Liza aprì le ante dell'ascensore e loro schioccarono, poco oliate, e s'incepparono prima di lasciarle libero il passaggio.
Si trovò davanti a due appartamenti.
Lo stesso cognome scritto su entrambi.
Cercò di ricordare quale fosse quello di Xavier, poi notò una pianta davanti all'entrata e uno zerbino nero sbiadito, con su scritto, in un carattere bianco e corsivo:
Belle scarpe!
Sorrise, poi suonò al campanello.
«Non è ancora pronto, sei in anticipo. Mi dispiace.» Xavier le aveva aperto la porta ed era tornato subito in cucina, nascondendosi dietro al forno e sussurrando qualcosa di incomprensibile.
«Sono in anticipo solo di tre minuti.» Liza guardò l'orologio da polso.
Aspettò la risposta dell'altro, ma sembrava troppo occupato a controllare la pentola che teneva su uno dei fornelli, allora appoggiò il vaso che teneva sotto al braccio.
«Questa l'ho presa per aggiungerla alle altre. Ci starà bene» disse, indicando la piccola pianta dalle foglie d'un verde acceso.
Xavier scoppiò in una risata sorpresa, «grazie» esclamò, allegro, per poi tornare a controllare, con un velo di preoccupazione, la pentola che fumava sopra al fornello acceso.
«Bello lo zerbino, comunque.»
«Ah sì? Io non lo sopporto» mormorò distratto, «era già qui quando ho affittato l'appartamento. Non l'ho buttato... non so perché non l'abbia buttato. È orribile.»
Liza rise, poi depose il cappotto sull'appendiabiti.
Xavier le scoccò una rapida occhiata, «è tutto pronto. Devo solo controllare una cosa» la rassicurò, mentre alzava il coperchio della pentola davanti a lui, «perfetto» lo sentì sussurrare, mentre un'espressione orgogliosa e soddisfatta gli sfiorava il viso.
«Per favore, potresti mettere un disco?»
Le chiese, mentre sottraeva alla tavola apparecchiata i due piatti fondi.
«Quale?»
«Qualsiasi tu scelga va bene. Mi fido.»
Liza avanzò verso il giradischi, poi prese a sfogliare le copertine dei vari vinili contenute in una cesta di vimini leggermente sfilacciata.
Ella Fitzgerald.
Lesse, poi appoggiò il disco sul piatto e quello iniziò a girare lentamente.
Appena partirono le prime, scricchiolanti note del brano Xavier alzò il volto, «Blue Moon, vero?» chiese, illuminandosi, «hai scelto bene.»
Blue Moon.
You saw me standing alone.
Xavier portò i piatti in tavola e Liza osservò come, per mantenere l'equilibrio, tenesse lo sguardo fisso sui piatti di porcellana e il mento alzato in un gesto involontariamente altezzoso.
«Quindi,» annunciò, poi prese un libro dalla copertina rigida, che aveva lasciato sul tavolo in cucina, «ti presento un ottimo manzo alla borgognona, anche detto» si fermò, sfogliò qualche pagina di quello che si era rivelato un ricettario dagli angoli spellati, «Boeuf bourguignon» disse, alzando le sopracciglia e sbagliando totalmente la pronuncia, «ha rischiato di bruciare tre volte e sì: le finestre sono aperte per quello. Ma l'ho assaggiato ed è delizioso... davvero.» Lo disse con una franchezza limpida e genuina, mentre indicava i piatti colmi di carne fumante in un misto di orgoglio ed esitazione e allineava i piatti di pochi millimetri.
Blue Moon.
Without a dream in my heart.
Liza si sedette, «ha un bell'aspetto.»
I suoi occhi si spostarono diverse volte dal piatto di fronte a lei al viso di Xavier.
Sorrise per un attimo, poi concluse: «deve essere stato molto difficile da preparare.»
«Molto» rispose lui, sincero, stappando la bottiglia di vino con uno schiocco e versandone per entrambi, «ma volevo provare qualcosa di francese.»
And then there suddenly appeared before me
The only one my arms will ever hold.
Liza alzò gli occhi al cielo, divertita.
«oh, mon cher. Non ce n'era bisogno» poi si corresse, «ma lo apprezzo.»
La verità era che tutti quei piccoli gesti apparentemente insignificanti contavano più di qualsiasi altra cosa.
La facevano sentire quasi speciale.
Anche se in fondo sapeva di non meritarli.
Speciale.
Cosa c'era veramente di speciale in lei, come tutti affermavano? Probabilmente niente. Forse aveva finto per così tanto tempo di avere qualcosa di unico, che era riuscita a convincere più persone di quante pensasse.
I heard somebody whisper, "Please adore me."
Bevve un sorso di vino scuro, «Alors, mi hai invitata perché vuoi parlare di Zelda.»
«Ti ho invitata perché mi piace parlare con te» rispose lui, serissimo.
Tirò su col naso e rimase in silenzio, giocando con le punte della forchetta.
«Però hai ragione, vorrei sapere come sta procedendo con lei.»
And when I looked, the moon had turned to gold.
«Ci ho parlato oggi.»
Xavier la guardò, appoggiando le posate sul tavolo, «come ti è sembrata?»
Liza rimase in silenzio, masticando lentamente e pensando a una risposta adeguata.
«Proveremo-» si fermò, incrociando le mani davanti a lei.
«Proveremo?»
Blue Moon.
Now I'm no longer alone.
Parlavano, sopra le note dolci e sognanti e i suoni acuti dei violini, mentre la canzone scorreva insieme alle loro parole, non lasciando il tempo alle frasi di essere comprese fino in fondo.
«Credo che proveremo la regressione. L'ipnosi regressiva. Non se se sai cosa-»
«Lo so benissimo.» Inspirò, sbuffando mentre prendeva il calice di vino.
Non bevve nulla e lo ripose sulla superficie del tavolo.
«Zelda sa i rischi. Ma vuole provare, non ricorda nulla» disse Liza, decisa e al contempo esitante nel dire la verità.
«Non possiamo fare niente, se non sa cosa sia stata la causa scatenante.» Continuò, calma, cercando di esprimere il concetto e far ancorare ogni parola nella mente dell'altro.
«Quando inizierete?»
«Non lo so. Dobbiamo trovare un momento normale, nel limite del possibile. Ma dubito sia fattibile ora. Prima del quindici sarebbe troppo nervosa per... Enigma.»
Xavier annuì, mentre guardava il disco scorrere sul piatto del giradischi.
«Sai una cosa? È una sua scelta. Non voglio entrarci più del dovuto.»
Ne valeva davvero la pena?
Era una domanda sibilata che, seppur soave e appena percettibile, stava reclamando sempre più spazio nella sua mente.
Stava pensando a Zelda e stava parlando di Zelda, sprecando il tempo che poteva passare con Liza così: discutendo sui problemi di una persona che stava diventando sempre di più un'ombra, sbiadendo e lasciando un vuoto che non poteva, e forse non doveva, essere colmato.
Ne valeva davvero la pena di mettere da parte tutto quello che sarebbe potuto succedere se Zelda non fosse stato il suo insormontabile problema?
Without a dream in my heart.
Without a love of my own.
«Pensavo volessi sapere come procedeva» affermò Liza, forse quasi irritata, mentre le sue parole si confondevano col tintinnare delle posate e dei bracciali sottili che teneva ai polsi. Mantenne lo sguardo fisso sul piatto.
«È che... non lo so. Hai ragione, sono stato io a chiederti di parlarne.» Ancora una volta reprimette quella domanda insistente e angosciante, riponendola in un angolo troppo buio per essere ricordata.
Almeno per qualche ora.
Liza si passò una mano sulla fronte, espirando.
«Xavier» disse, «credo che il problema di Zelda non riguardi solo lei. Ma anche tu.» Come una doccia gelida a gennaio, le sue parole si erano infrante sul volto di Xavier, pungendolo e ferendolo di un dolore inaspettato.
«Perché» bisbigliò lui, accorgendosi poi del suo tono triste e schiarendosi quindi la gola, «perché mi stai dicendo questo?»
Guardò il cibo nel piatto e sentì un nervosismo sottile strisciargli tra le viscere.
Aveva rovinato tutto.
Ora la cena gli sembrava piena di difetti e, se prima si sentiva leggero, a poco a poco la discussione era sfociata in qualcosa di pesante e talmente torbido da appannare la lucentezza di quella serata.
Aveva rovinato tutto.
Zelda, aveva rovinato tutto.
«Perché credo che i vostri problemi siano in qualche modo simili, almeno legati» si fermò, poi aggiunse, con una flebile ironia: «e perché vorrei che mi raccontassi cosa diavolo vi è successo per trattarvi a vicenda così.»
«Bon. Se non vuoi raccontarmi tutto lo capisco. Ma le cose che potrebbero riguardare anche Zelda... mi sarebbero di aiuto.»
Forse era una scusa.
Cercava di convincersi che stesse facendo tutto quello per professionalità.
Era davvero così?
La verità forse era da ricercarsi nella sua costante, inaffondabile curiosità.
Voleva sapere tutto del passato degli altri, senza mai soffermarsi sul suo.
Voleva conoscere tutti i pregi, i difetti, i comportamenti degli altri, senza mai soffermarsi sui suoi.
«Non c'è niente, in quel tutto, che non riguardi anche Zelda» disse secco lui, fissando un punto ignoto del tavolo, mentre scandiva ogni parola con lentezza.
Rimasero entrambi in silenzio, a osservare i rispettivi piatti, mentre non c'era nemmeno più la musica del vinile a distrarli.
«Nessuno mi odia come Zelda. Una volta l'ho pensato.» Le parole gli sfuggirono senza permesso dalla mente, ancora prima di essere revisionate per controllare che potessero essere dette.
«Non piaccio a molte persone, ma non mi interessa. Ci può essere un'infinità di gente che mi odia, ma non è lo stesso. Con lei fa male perché è l'unica di cui mi interessi veramente l'opinione.»
Perché quella era la verità.
Anche se si sforzava di non ammetterlo, lui aveva sempre cercato l'approvazione dietro agli occhi freddi di Zelda.
«Zelda non ti odia.»
«Ma è ciò che mi mostra. Da sempre.»
Da sempre, e forse non smetterà mai.
«Zelda ha detto una frase che mi ha fatto pensare» esclamò Liza, dopo una pausa voluta, «"non andiamo d'accordo perché ci hanno insegnato così."» Aspettò che l'altro continuasse.
Xavier non sembrò sorpreso da quell'affermazione, almeno non quanto Liza si sarebbe aspettata.
«Si riferisce a nostra madre.»
Aìbell Lynch.
La guardia carceraria che aveva perso il posto e si era ritrovata in una delle vie peggiori di Detroit, con uno stipendio da cassiera irrisorio e due figli da educare quando ne avrebbe voluto solo uno.
Un'ischemia l'aveva ammazzata lentamente tre anni prima, ed era morta da sola nel suo appartamento di periferia, mentre la posta le veniva ancora recapitata e la sua cassetta delle lettere si riempiva.
E quando i suoi figli l'avevano rivista, dopo anni di distacco, nemmeno una lacrima era scesa lungo le guance candide di entrambi.
Solo Zelda aveva parlato.
Adesso sono completamente sola, aveva detto prima di lasciare l'obitorio.
«Vostra madre.»
«Sì. C'è sempre stata solo lei. Io e Zelda non abbiamo avuto una figura paterna. Ma non l'ho mai cercata,» corrugò la fronte in un'espressione indifferente, «nostra madre, invece, ci provava ad essere corretta. Sicuramente faceva rispettare le regole. Insomma, la mia infanzia è stata un banale cliché.
Se fossi il protagonista di un film direbbero del mio passato che è... stereotipato» disse, come a scusarsi per la poca originalità della sua vita, mentre sorrideva avvilito.
«Allora cosa voleva dire con quella frase?»
«Credo che si riferisse al fatto che lei fosse l'orgoglio di mamma» si fermò, «e io la sua delusione.»
Rimase qualche secondo a guardare il niente, mentre una sottile nebbia di pensieri andava a rabbuiare il suo sguardo.
«Nostra madre faceva di tutto per ricordarci chi era l'uno e chi l'altra.»
Tutti hanno delle aspettative su di me.
Zelda lo aveva detto e Liza ora riusciva a collegare quelle parole al tono disperato con cui le aveva pronunciate.
Forse l'ansia non era la sola cosa che la tormentava.
Forse c'era un'originaria, lontana infelicità che faceva da fondale al suo oceano di demoni.
«Non voglio negare che nostra madre non c'entri, lei era la prima a metterci l'uno contro l'altro. Era una competizione. Sì,» annuì, «una competizione in cui sapevo di non poter vincere.»
«Immagino ti sentissi inferiore.» Liza aveva parlato con professionalità, forse troppa, perché Xavier sembrò ricordarsi tutto d'un colpo quale fosse il lavoro dell'altra.
«Mi sento inferiore. Ma questo non è importante. Guardo il lato positivo: adesso non mi curo troppo dei giudizi degli altri. Almeno ci provo.»
Poi alzò le sopracciglia in un'espressione quasi annoiata, «comunque, le divergenze tra di noi ci sono sempre state.
Io e Zelda siamo... troppo diversi.
Pensavo di sapere perché mi trattasse così, ma adesso non ne sono più sicuro.»
Liza non capì se lo stesse dicendo con del sarcasmo velato o semplicemente perché ne fosse veramente dispiaciuto.
Poi Xavier sembrò scacciare i pensieri con uno sfarfallio di ciglia, d'improvviso, sbuffando in un sorrisetto comparso all'improvviso e destinato a dissolversi presto.
«Hai detto che i nostri problemi sono simili. Parli dell'ansia, vero? Credi che ce l'abbia anch'io?» Lo aveva sempre dubitato.
Liza annuì, incerta, «forse. Anche se non sono certa che sia la stessa cosa.» Si era accorta da tempo di diversi atteggiamenti che condividevano, ma ancora non era sicura di aver inquadrato bene la situazione.
Come faceva ad avere le cose sotto controllo quando ancora aveva difficoltà a comprendere la maggior parte dei comportamenti di entrambi?
«Allora avrò qualcosa da aggiungere al perfezionismo, molto bene.»
«Oh, non iniziare. La tua è una forma lievissima» lo liquidò lei, scuotendo la testa come a scacciare quelle preoccupazioni.
Però del perfezionismo aveva mostrato di essersene accorta, perché lui non ne aveva mai accennato ed erano solo stati i suoi gesti a parlare.
Era veramente lieve, ma si poteva scorgere.
«Forse mi preoccupo troppo. È che... con Enigma-»
«Con Enigma?»
«Cambio disco» disse al vuoto Xavier, per poi puntare Liza con un sorriso sbiadito.
Lei lo guardò in un'espressione interrogativa.
Con Enigma sento di star peggiorando sempre di più, avrebbe voluto dirle, ma si alzò e rapido si avvicinò al giradischi, prese con sicurezza uno dei tanti vinili che giacevano nella cesta di vimini.
Si diffuse una melodia diametralmente opposta a quella che aveva fluttuato nell'atmosfera fino a poco prima.
E il piccolo appartamento illuminato di bagliori dorati sognava, insieme a quella musica, di essere un locale vivace, romantico, vivo.
Sinatra cantava di avere il mondo in mano e di poter scacciare la pioggia, mentre due persone, in quel monolocale, si osservavano, lontane una dall'altra.
Liza seppe di aver ricevuto abbastanza informazioni e che non ne avrebbe ottenute altre, almeno per quella sera.
La discussione era finita, sepolta sotto quelle note armoniose, senza nemmeno essersene resa conto.
«I've got the world on a string.» Liza si carezzò il polso in un gesto irrisorio.
«La mettono sempre all'East of The Sun. Un locale di Chicago.»
Liza amava parlare di Chicago.
A volte sembrava che se ne fosse dovuta andare perché costretta.
Ne parlava e i suoi occhi brillavano come lucciole d'estate, mentre elogiava i suoi locali, la sua vita, le sue strade, come se non esistesse città migliore della scintillante, ricca e abbandonata Chicago.
«È allegra.» Xavier tornò a sedersi e Liza comprese il perché di quella scelta musicale. Era come se lui non sapesse come risollevare la situazione, quindi si era affidato a quelle note raffinate.
«Lì, all'East of The Sun, la gente balla pezzi del genere e tutti sorridono, scherzano, bevono champagne. Si divertono. È molto elegante» si fermò, tenendo lo sguardo abbassato, mentre le ciglia proiettavano la loro ombra sul suo viso, «era il mio locale preferito.» Aggiunse.
Xavier la guardava, il mento appoggiato sul palmo della mano e gli occhi attenti, incuriositi, pensierosi.
Ipnotizzati dalle parole calme e nostalgiche di Liza.
«Ci sono degli ologrammi?» chiese, incitando Liza a continuare e aspettando, avido, che tornasse a raccontare qualcosa che per lei aveva così tanto significato.
«Certo che ci sono!» esclamò lei, ridendo, «di qualsiasi cantante jazz possibile! Ma ci sono anche orchestre vere, cantanti veri. Tutto è magico, al di là di quelle porte di vetro dell'entrata» rise ancora per qualche secondo, pensando a ciò che stava per dire, «non c'è confronto col Lullaby. L'East of The Sun è tutta un'altra cosa.»
Xavier la guardò fintamente contrariato, «oh, non dirlo a Zelda, o rischierai di offenderla terribilmente. Lei ama quel locale.» Poi si zittì.
«E quando verrai a Chicago dovrò portartici assolutamente.» Liza lo disse distrattamente, mentre i suoi polpastrelli accarezzavano annoiati lo stelo del calice di vino.
«Se Enigma non ci fredderà tutti prima, potrei accettare.» Le rivolse un'occhiata divertita, che nascondeva una fredda disillusione.
Entrambi si dissero qualcosa con lo sguardo ed entrambi assentirono, silenziosamente, sul fatto che la realtà fosse diversa dalle dolci illusioni che avevano creato fino a quel momento.
C'era una macchia troppo invadente e angosciante a rovinare tutti quei sogni e che ebbe il potere di far tornare protagonista il mondo vero.
Liza sospirò guardando le piante sotto la finestra.
I suoi occhi dissero: "vorrei dimenticare" ma lei esclamò solo:
«Enigma... spero che vada tutto bene.»
Xavier alzò lo sguardo.
I suoi occhi gridarono preoccupati "non andrà bene. In questa città, in questa vita, non va mai come sperato."
«Carter ha pianificato di bloccare tutte le strade che possano portare al Dionysus e di far scortare da domani mattina i musicisti.»
«Ha pianificato tutto questo da solo?»
«Diciamo che... supervisionava Mulder.» Xavier rise, seguito da Liza.
Poi il luccichio divertito che aveva riacceso l'atmosfera prese a consumarsi come la cera di una candela.
«Credi sia Andrew?»
La domanda che tutti si stavano ponendo in quei giorni, senza mai voler rispondere sinceramente, era stata pronunciata dalla voce calma di Xavier.
Liza posò lo sguardo sul calendario appeso alla parete della cucina e vide scritto, con una penna rossa, qualcosa al quindici gennaio:
Enigma.
«Non lo so» confessò lei.
«Sembri sempre così sicura, quando ne parli.»
«Sembro sempre sicura, quando parlo.»
"Che cosa è successo a Chicago?"
Xavier fu a un passo dal chiederglielo.
Ora che le aveva raccontato qualcosa di suo, lei avrebbe fatto lo stesso?
Attorcigliò le mani sul tavolo, mentre la chioma rossa diventava iridescente sotto le luci provenienti dall'esterno.
La curiosità di sapere, finalmente, il grande segreto di Liza lo aveva ossessionato a tal punto da considerare uno scambio.
Uno scambio equo di memorie.
Il vinile smise lentamente di girare, lasciando spazio agli ultimi crepitìi prima del silenzio.
Xavier si alzò per girare il disco.
The summer wind came blowin' in from across the sea.
It lingered there, to touch your hair and walk with me.
«All'East of the Sun ballano Summer Wind?»
Liza si alzò, mentre lo scrosciare della pioggia improvvisa di Detroit si mischiava alla musica e al suono dei tacchi delle sue scarpe, che avanzavano verso il centro della piccola sala.
«La ballano» disse, mentre appoggiava la mano in quella che Xavier le stava porgendo, senza pensare troppo a quello che stava facendo.
«Allora... questo è l'East of the Sun» continuò lui, mentre entrambi iniziavano a muovere i primi, irrisori passi di quel ballo improvvisato e quasi inconscio.
Liza sorrise, stando al gioco, «guarda, il cameriere ha appena portato lo champagne, ne vuoi un po'?» chiese, allegra, mentre volteggiavano verso il tavolo e lei prendeva i due calici di vino.
«Certo» assentì lui, ed entrambi scoppiarono a ridere, «ah, e complimenti per il vestito da sera.»
Liza diede una rapida occhiata ai suoi vestiti informali, che erano la cosa più lontana dagli abiti che teneva riposti e stirati e che stava usando sempre di meno da quando era a Detroit.
Eppure per un attimo le sembrò di star indossando uno di quegli abiti scintillanti.
Liza abbandonò il bicchiere e appoggiò di nuovo il palmo sulla spalla di Xavier, questa volta con più naturalezza, mentre quella danza cominciava a fondersi con le note dolci e malinconiche di quel brano che, sottile, sembrava danzasse con loro.
«Grazie. Per tutto quello che stai facendo.»
Liza si accorse di quanto fossero uno vicino all'altro quando percepì quelle parole chiaramente, anche se non erano altro che un sibilio stanco e appena percettibile.
«Elizabeth.» Aveva aggiunto Xavier in un bisbiglio deciso.
Una giravolta lenta e misurata.
E quando erano tornati vicini e lui le aveva cinto nuovamente la vita, aveva capito che qualcosa si era spezzato.
«Nessuno mi chiama così da quando avevo sedici anni.»
«Però sulle ricette mediche lo scrivi ancora.»
Liza cercò di spostare con un leggero sbuffo una ciocca che era sfuggita alla sua acconciatura, senza riuscirci.
Xavier lo fece per lei, spostandola con meticolosità, di nuovo insieme alle altre.
«Sì. Lo scrivo ancora» ripetè lei, sorridente, zittendosi e pianificando come potersi difendere da quella possibile domanda.
Che cosa è successo a Chicago?
«Che cosa è successo a Chicago, Liza?» Xavier lo chiese in un tono enigmatico e pacato che tradiva un morboso, forse addirittura esasperato desiderio di sapere la verità.
Tornò a chiamarla Liza, perché Elizabeth le stava stretto come un corsetto troppo allacciato, e lui se n'era reso conto nel momento in cui aveva pronunciato quel nome e l'atmosfera si era raggelata come se la stanza fosse invasa da un'infinità di spifferi.
A quella domanda, Liza prese a ballare sempre più lentamente, fino a che i passi si trasformarono in movimenti appena percettibili.
«È morta una persona. E ci ho sofferto molto.»
Era quella, la verità? E si era risolta in poche parole?
«Mi dispiace» provò a dire Xavier, ma lei continuò a parlare.
«È morta per colpa mia.»
Per colpa mia.
Quella fu la prima volta che lo disse a voce alta, finalmente ammettendolo al mondo e a se stessa.
«Esther Cohen. Era una mia paziente. È peggiorata, io non l'ho saputa aiutare.»
Ora erano entrambi fermi in mezzo alla stanza, ancora vicini e pronti a ballare di nuovo.
Ma rimasero immobili.
«L'hanno trovata in un campo, vicino a casa sua» poi, dal tono sussurrato che aveva usato fino a quel momento, disse, più decisa e al contempo più spaventata: «si è impiccata.»
In quel momento, quando aveva sentito la sua voce dirlo, si era resa veramente conto di ciò che era successo.
E che lei aveva affrontato la situazione nel modo peggiore, cercando di far finta che niente fosse davvero accaduto.
«Sei venuta a Detroit per questo?»
Erano le prime parole sensate che gli erano saltate in mente, anche se Xavier avrebbe voluto dirle mille altre cose.
Le parole gli sfuggivano, un'altra volta, allora non fece altro che stringerla di più a sé, mentre la musica che accompagnava il loro ballo si era già esaurita da tempo e di quella danza rimaneva solo l'abbraccio che si stavano scambiando.
«Sì. Non avevo il coraggio di rimanere lì»rispose lei, ispirando.
E per un attimo, mentre guardava le luci del Lullaby brillare dietro alla spalla di Xavier, pensò che era venuta a Detroit proprio per quello. Dimenticare.
«Ho capito.» Non disse altro, lui, perché adesso che sapeva non c'era più nulla da aggiungere.
E gli sembrò stupido continuare a fare domande inutili che avrebbero solo fatto male, «il disco si è fermato. Cosa vorresti ascoltare, adesso?» chiese poi, e Liza percepì che stesse sorridendo.
Lei rimase dapprima confusa, senza rispondere.
Le sembrò quasi di essersi immaginata tutto e di non aver detto niente, tanta era la calma con cui Xavier aveva accettato quella rivelazione.
Aveva ammesso la sua codardia nella maniera più diretta possibile, aspettando che il disgusto e la delusione sfiorassero il volto di quella persona che, invece, la osservava tranquilla.
«Allora? Possiamo mettere un bel swing.
Al Lullaby avevi detto che ti sarebbe piaciuto ballarne uno.»
Liza alzò lo sguardo, sciogliendosi da quell'abbraccio che non si erano nemmeno accorti di aver condiviso.
I suoi occhi incontrarono quelli sereni di Xavier.
Dietro a quelle iridi lucenti brillavano delle parole silenziose, che la fecero tranquillizzare all'istante.
So cosa è successo e lo accetto. Non ti incolpo.
Liza guardò ancora per qualche secondo dentro a quegli occhi, conscia che tutta la rabbia e la delusione che si aspettava non sarebbe mai arrivata.
Allora la melodia vivace e sincopata di uno swing sembrò smuovere il velo di malinconia che si era steso per tutta la stanza, liberando entrambi da quella patina composta che l'atmosfera li aveva costretti a mantenere.
Si trovarono a ballare di nuovo, ridendo, consapevoli che qualcosa era cambiato, mentre le giravolte diventavano sempre più concitate e i tacchi delle scarpe battevano per terra.
«Quando finirà questa? Dopo che cosa metteremo?» domandò Xavier, mentre la chioma di Liza quasi toccava il pavimento in un casquet vivace e divertito.
«Qualsiasi tu scelga va bene. Mi fido.» Lei gli rubò le parole, ribadendo un concetto essenziale.
E la musica appartenente a un tempo così lontano dal loro sfavillava lungo le pareti gialle di quel monolocale, mentre due persone ballavano come se si conoscessero da sempre e delle labbra si sfioravano.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top