Capitolo 22- Te la ricordi?

9 gennaio, mattina.

«Ammettendo che l'uva sia davvero da collegare al Dionysus... cosa ci vuole comunicare, Enigma? Cosa può succedere al Dionysus il quindici gennaio? Si sta riferendo a uno spettacolo?»

«Piano con le domande, Mulder» lo redarguì Xavier, mentre guardava pensoso la tabella degli indizi, giocando con una penna e facendola tintinnare sul bordo della scrivania. Lo zittì, come se i suoi perpetui dubbi potessero diventare anche i suoi.

«Cosa vuole comunicare? Potrebbe semplicemente portarci fuori strada, facendoci concentrare sulla lettera invece di continuare con le nostre indagini.» Ipotizzò Liza, entrando nella stanza con un balzo, mentre teneva dei fogli sotto al braccio, «a proposito, oggi sono arrivati i risultati dei test grafologici» in una mano teneva il ClearCircle, che posizionò sulla scrivania.

Il dispositivo s'illuminò e, dopo che lei chiese a quel fascio di luce di cercare l'ultimo messaggio che avesse ricevuto per posta, l'ologramma di una donna comparve davanti a loro.
Era seduta di fronte a uno scrittoio di mogano e portava degli occhiali dalla montatura fine.

«Oggi ho terminato gli esami grafologici,» disse la sua registrazione, «e... abbiamo davanti qualcosa di davvero particolare. Innanzitutto la scrittura di Enigma non è compatibile con nessuna di quelle dei sospettati. E nemmeno le lettere che mi avete fatto analizzare, sono uguali tra loro.» Una pausa. Poi, con un gesto delicato della mano, fece in modo che delle immagini delle lettere comparissero sullo schermo.

«Sembra che la calligrafia utilizzata nelle lettere destinate a un omicidio, come quella trovata a Capodanno o l'ultima che mi avete inviato, sia diversa da quella che ho rilevato nelle lettere personali. Quelle che ha spedito a Zelda Lynch e la prima che abbiate mai ricevuto, indirizzata a Oscar Mulder. Credo possa trattarsi di una tecnica per confondere le indagini.» Sospirò. Sembrava che addirittura lei stesse dubitando delle sue abilità, di fronte a una stranezza del genere.

«So che il fatto che la calligrafia non sia la stessa di nessun sospettato possa farvi ricredere sulle indagini, ma... non lo so, non sono sicura che gli indiziati possano essere scagionati. Se il vostro Enigma è riuscito a cambiare scrittura due volte, potrebbe averlo fatto una terza quando gli è stato chiesto di scrivere per il test» poi sorrise, quasi imbarazzata, «ma questa è solo l'opinione di una grafologa. Spetta a voi capire cosa è meglio fare. Questo è tutto.»Terminò bruscamente la registrazione, e quando stette per ripartire, Liza la fermò.

Xavier e Mulder rimasero in silenzio.

«Ma sei sicura che ci si possa fidare, di quella?» chiese Oscar, sperando che la donna potesse essersi semplicemente sbagliata.

«Mulder» lo richiamò Xavier, spezzando il suo ultimo bagliore di speranza, «Audrey Tyrell è la miglior grafologa di Detroit.»

«Carter sa qualcosa di questa merda?» domandò allora il detective, ormai disilluso, mentre tamburellava le dita sul calorifero, nervoso.

«Lo saprà presto. Il messaggio sarà arrivato di certo anche a lui.» Liza fece in tempo a sedersi, che Xavier iniziò a pensare a voce alta.

«Va bene. La grafologa ha ragione. Non dobbiamo escludere i sospettati per via della calligrafia. Enigma potrebbe benissimo averla modificata appositamente, non possiamo escludere nulla con lui. Ma Allen, Davis e Mitchell li avremmo scagionati a priori, giusto?»

Mulder annuì, «Credo proprio di sì. Allen ha un alibi solido e Davis... quelli della Narcotici lo hanno fatto parlare. Era in hotel per incontrare un certo White. Uno spacciatore.
E poi aveva testimoni anche per la notte del trenta. Era a un party di cocainomani figli di papà suoi colleghi d'università.» Ogni tanto quelli della narcotici chiamavano lui o i Lynch per i sospettati più ostici.
Gli dovevano un favore, dopo tutti quegli interrogatori, e Mulder aveva scelto di usare la sua carta per farsi rivelare i dettagli della confessione di Davis.

«Cazzo... studente di Economia, eh?» ironizzò Xavier. Un'ironia amara.
Nel fondo dei suoi pensieri, dove autorizzava solo se stesso a guardare, sentiva un profondo dispiacere per Davis.
Ventun'anni e, come i giorni in più spesi alla narcotici gli avevano fatto comprendere anche fin troppo bene, Malcom aveva già rovinato, screziato, almeno, la sua vita.

«Anche Mitchell ha un alibi. Nove persone dell'Astristry lo hanno visto al bancone, dalle venti alle ventidue.» Precisò Liza, tornando all'argomento indagini come se la questione di Davis non la toccasse minimamente, «L'unico senza testimoni è Andrew. Ma non abbiamo assolutamente niente contro di lui. Non possiamo arrestarlo solo perchè non c'è nessuno che l'abbia visto in quell'orario.»

«Dove ha detto che era, quella sera?» chiese all'improvviso Mulder, mentre i suoi lineamenti si facevano più contriti e il suo sguardo si assottigliava nel tentativo di ricordare.

«In un locale vicino al Pandora, l'High Voltage.» Lo informò Xavier, per poi aggiungere: «Non è una bella via.»
Questo lo sapeva.
Perchè lui poteva anche non vedere veramente Detroit come mostrava di saper fare Liza, ma i viali e le strade peggiori le conosceva con una certezza familiare e inquietante, grazie a Mulder e alle soffiate di chi ci abitava.
Era una delle splendide opportunità che gli riservava il loro lavoro.
La via dove sorgeva l'High Voltage era considerata il ghetto degli ottanta. Gente che ancora si vestiva come due anni prima e frequentava locali in cui gli ologrammi non cantavano jazz, ma pezzi degli AC/DC e degli Eurythmics. L'High Voltage era uno di quelli.

«Sono stati interrogati i proprietari del locale, tutti e due. Ed entrambi affermano che Wilson fosse in compagnia di altri attori della compagnia. Poi hanno detto che è uscito, per le diciannove, ma lo ha fatto da solo, perché gli altri si sono trattenuti ancora.» Continuò Xavier.

«Presentata così, i miei sospetti cadrebbero subito su Wilson» Liza si alzò e iniziò a vagare per la stanza, le braccia conserte e le onde corvine che oscillavano sotto la spinta dei suoi passi, «ma sembra troppo facile. È senza alibi e lo conferma addirittura lui stesso. Enigma non si farebbe di certo trovare così impreparato.»
«Eppure la lettera mi fa pensare. Il Dionysus. Solo qualche giorno prima Wilson ce ne aveva parlato, domani ci sarà lo spettacolo... e poi la lettera.»

«Ma non possiamo arrestarlo solo per questa coincidenza. Non abbiamo prove reali.» Le ricordò Xavier, cercando di capire dove l'altra volesse andare a parare.

«Esatto!» esclamò lei, suscitando la sorpresa dei due detective, «esatto. Non sono prove valide e cosa più importante non possono essere usate contro di lui. Ci sono, noi possiamo collegarle a lui, ma... non possiamo fare altro.» Si zittì, come se volesse interrompere il suo ragionamento per lasciare la parola agli altri.
Si avvicinò alla libreria vicino alla scrivania e rimase in silenzio.

«È come se stesse cercando di instaurare un legame solo con noi, è questo che intendi?» Mulder inarcò le sopracciglia in un'espressione enigmatica, come se una parte di lui non fosse ancora convinta.

«Più che un legame... credo stia solo giocando. È come se buttasse l'amo, ma lo ritirasse subito, stando attento a non esagerare. Credo che gli indizi che ci sta dando siano pianificati, voluti.»

«Sempre se Wilson sia Enigma» sussurrò Xavier, pensieroso.

Liza annuì.
«Sempre se Wilson sia Enigma.»

Nove gennaio, pomeriggio

"Ho saputo che vorresti parlarmi. Possiamo accordare un orario per vederci?
Fammi sapere,
Liza."

Le parole le brillavano davanti agli occhi, e Zelda le osservava senza espressione. Appoggiata sul bordo del divano, mentre, a ripetizione, si massacrava ricordando la sua conversazione con Xavier.
Passava i polpastrelli dell'indice e del pollice sulla seta sottile della vestaglia, in un movimento convulso e nervoso.

Aveva riletto quel messaggio, riassaporato quelle frasi, per molte, moltissime volte.
Era stata a un passo dal rispondere, poi aveva cancellato ciò che aveva scritto, spaventata, arrabbiata e imbarazzata da se stessa e dalle sue parole patetiche.

Almeno dieci volte si era chiesta se avesse fatto la scelta giusta, a chiedere il suo aiuto.
Si sarebbe sempre potuta tirare indietro.
Dire che era stato un moto di tristezza a farla parlare.
Che stava bene, era solo un po' stressata per il caso, ma si sarebbe ripresa presto.

Perchè, Liza, non parli con Xavier, invece? Avrebbe potuto chiederle, potresti fargli capire che sto alla grande e che non mi serve il suo aiuto.

Stava divagando.
I pensieri scorrevano sovrapposti uno sull'altro pretendendo che lei prestasse attenzione a tutte le idee che le sfrecciavano davanti.
Ma lei non poteva assecondare quelle voci che non facevano altro che suggerire cose diverse, sbagliate, giuste, assurde.
L'unica cosa che doveva fare era prendere una decisione.

«Grazie, Liza.» Iniziò a dettare a voce.

«Hai più parlato con Zelda?» Liza prese l'ombrello trasparente, parlando con tranquillità, «perché io le ho mandato un messaggio, per vederci.»

Xavier si voltò. Sembrava sorpreso, come se una parte di lui non credesse ancora che Liza la stesse aiutando, «lo hai fatto veramente?»

Lei rise, alzando gli occhi al cielo, «certo. Cosa ti aspettavi, che vi abbandonassi dopo tutte quelle belle parole?» C'era qualcosa di rassicurante nel suo tono caldo.
Una certezza impercettibile ma esistente.

«Non mi aspettavo niente del genere. Sono solo felice che tu le abbia parlato.» Xavier sorrise, ma non riusciva a staccare dalla mente il tetto del palazzo di Liza, il tè, l'ologramma di Louise Brooks e la consapevolezza che non sarebbe potuta continuare così per sempre. Che prima o poi non sarebbe riuscito a stare zitto e le avrebbe detto tutto.
Ancora una volta si convinse che quello non era il momento.
Non era assolutamente il momento, ed era certo che non lo sarebbe stato per molto tempo.

Liza sorrise, «con lei parlerò a breve. Ma tu?» Era una domanda semplice, schietta, ma che Liza non era riuscita ancora a formulare per tutto quel tempo.
Perché oltre la semplicità nascondeva un lato più profondo e difficile da formulare.

«Io, cosa?» Finse di non capire.
La prese con ironia, sorridendole nella maniera più accattivante che conoscesse.
Tutto pur di non andare avanti con quel discorso.

«Solo una chiacchierata. Semplice, banale, parleremo di quello che vuoi. Non sarà come per Zelda.» Gli si affiancò, sincronizzando il suo passo con quello di Xavier, mentre percorrevano il corridoio che portava all'ingresso.

«Grazie, Liza» Xavier si fermò davanti all'entrata, «ma non credo di averne bisogno.»

Sei solo uno stupido, gli rinfacciò una voce lontana e sbiadita, uno stupido arrogante che non fa mai la scelta giusta.
La verità è che aveva paura di mostrarsi. Perchè di sicuro sarebbe risultato noioso agli occhi di Liza, l'avrebbe intristita con i suoi pensieri e di certo lei avrebbe rimpianto la persona che conosceva prima di quella chiacchierata.

Anche Liza si fermò, proprio davanti alla porta a pannelli, mentre indossava un foulard bianco intorno al collo, «se tu sei convinto di questo, non mi sembra il caso di insistere oltre.» Sorrise, allegra, e Xavier si accorse con disgusto che stava usando lo stesso tono che utilizzava con i sospettati quando non rispondevano correttamente a una domanda.

Liza aprì la porta, «Ti farò sapere com'è andata con Zelda. Mi ha scritto, chiede se possiamo vederci stase-» si zittì.
Ora osservava il pannello esterno dell'entrata.
Lo osservava e sembrava che il mondo intorno a lei fosse diventato trasparente.

«Liza?» chiese Xavier, avvicinandosi.

Un biglietto bianco, con una medusa disegnata sul bordo, era stato attaccato al vetro della porta.

«È per me» sibilò Liza, leggendo il suo nome su quel foglio di carta.
Poi lo staccò dal vetro e aprì la busta lentamente, «è un messaggio di Enigma, sicuramente» disse tranquilla.
Sembrava che lei fosse l'unica non intimorita dalla situazione.
Come se avesse la certezza ancorata che fosse, tutto sommato, estranea alla faccenda.
Dovesse solo compiere il suo lavoro, ma non fosse tra i diretti interessati.
Ora, dietro ai suoi occhi, si potevano osservare quelle certezze crollare una dopo l'altra, per lasciare spazio a nuovi e sconosciuti dubbi.

«Sta mirando anche a te, adesso?» Xavier sentì una stretta allo stomaco. Stava già a malapena sopportando che Enigma conoscesse lui e Zelda, come avrebbe affrontato la situazione se alla lista si fosse aggiunta anche Liza?

Lei spiegò il foglietto, «stai tranquillo, avrà scritto solo qualcosa per intimorirmi.»
Iniziò a leggere.

Xavier osservò prima la lettera, leggendone il contenuto, poi guardò Liza negli occhi, incontrando uno sguardo colmo del terrore più puro.

«Liza...» la squadrò ancora per un momento, prima che lei inspirasse, nella ricerca disperata d'aria, e dicesse, «devo andare. Ho appuntamento con Zelda e devo prepararmi.»

«Chi è Esther Cohen, Liza?» Xavier la seguì lungo il marciapiede, preoccupato, «Liza!» la richiamò un'ultima, disperata volta, sperando che si fermasse e chiarisse la situazione.

«Non è nessuno» lei si voltò.
Sembrava aver riacquisito del controllo su se stessa, ma il tono con cui aveva parlato era lontano da quello solito, sicuro e caldo.
Era freddo, monocorde, come se la perdita del suo solito atteggiamento fosse il compromesso per riacquisire la calma.
«Non è nessuno di importante» chiarì, «e non capisco perché Enigma abbia dovuto usarlo contro di me.»

«Non è nessuno di importante? Liza, ho visto la tua espressione quando hai letto il messaggio!» Xavier si fermò a qualche metro da lei, sul bordo della strada.
Osservava i suoi occhi saettare da una parte all'altra della strada, pur di non incontrare i suoi.

«È qualcosa che appartiene a Chicago. Alla vita che avevo prima. E non vorrei parlarne più.» Spiegò lei una volta per tutte, mentre teneva lo sguardo davanti a sé, quasi in un gesto di distacco.
Ce l'aveva fatta.
Enigma era riuscito in ciò che lei dubitava fosse possibile.
Stava usando i loro punti deboli per creare discordia.
E Liza se ne accorse proprio in quell'istante, quando realizzò che la sua irritazione non era rivolta a Xavier come aveva pensato fino a pochi attimi prima.
Perché la causa della sua rabbia era destinata a quella lettera, che stava mostrando il suo passato e le sue macchie senza il suo permesso, senza lasciarle l'opportunità di chiarire quando lei avesse voluto.

Osservò un'ultima volta gli occhi confusi del detective, poi, «ti faccio sapere per Zelda. Di a Mulder che ho ricevuto anch'io una lettera» disse, voltandosi un'ultima volta e interrompendo bruscamente la discussione prima che potesse dire cose di cui avrebbe potuto pentirsi.
Svoltò all'angolo della via, mentre dava un'ultima occhiata alla lettera.

"Esther Cohen e i suoi begli occhi azzurri. Te la ricordi?"

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