Pioveva.
Una pioggia pesante e stagnante che s'insinuava nell'atmosfera con prepotenza, rendendo tutto più grigio e offuscato.
Grandi gocce d'acqua si disfavano sulle grondaie, sciogliendosi in un suono sordo e ritmico.
«Signor Allen.» Xavier entrò nella stanza interrogatori. Camminava veloce, appoggiò con un gesto nervoso i fogli e poi si sedette senza la solita eleganza.
Riguardò per qualche attimo uno dei fascicoli, mentre lo sguardo corrucciato e pensoso vagava da una parte all'altra del foglio senza una vera ragione. Sembrava impaziente.
Era meccanico nei gesti ed era come se un'atmosfera di tensione gli vorticasse attorno, incollandosi al suo volto e rendendo i lineamenti ancora più affilati e severi.
«Perché mi avete richiamato? Avete già sentito la mia versione dell'omicidio.» Allen stava incollato alla sedia, teneva i palmi chiusi e ben saldi tra loro.
«Vorremo sapere ancora un'ultima cosa.» Mulder si tirò su le maniche della camicia.
Francis si guardò intorno una, due volte, poi si lasciò sfuggire un sospiro enigmatico, che racchiudeva del vago timore e forse, addirittura, della rassegnazione.
«In questi giorni abbiamo parlato con sua moglie, credo già lo sappia» Xavier appoggiò sui ginocchi il documento che stava leggendo fino a poco prima, «e con i Ryan, come ci aveva consigliato.»
Allen sembrò rallegrarsi, «hanno confermato il mio alibi, giusto?»
«Signor Allen» iniziò Mulder, mentre un sorrisetto spuntava sul suo viso, «credo ci sia ancora qualcosa di non detto, da parte sua.»
A quel punto Francis cambiò del tutto atteggiamento, forse per paura, o forse perché aveva inteso dove Mulder volesse andare a parare.
«Quello che dovevo dire a proposito dell'omicidio, l'ho detto.» Ripetè.
«Uno dei sospettati,» Xavier prese un respiro profondo, prima di leggere tutta la testimonianza scritta di Andrew, «uno dei sospettati, Andrew Wilson, afferma che, approsimativamente dalle undici alle undici e mezzo del primo gennaio, lei stesse facendo una telefonata» si fermò qualche secondo, puntando lo sguardo sul viso di Allen, «in questa telefonata lei avrebbe detto le seguenti frasi: "Non posso farlo. Non ne ho il coraggio."» Poi abbandonò di nuovo il foglio, senza fare ulteriori commenti, come se le parole appena pronunciate parlassero per lui.
«È ancora sicuro di averci detto tutto sull'omicidio?» chiese Oscar, sibillino.
«Sono sicuro. Quella era una mia telefonata privata.» Allen rispose immediatamente, con certezza.
«Francis,» partì Mulder, calmo e ironico, «lo sa, vero, che se non ci dice nient'altro che la cazzo di verità lei salirà al primo posto nella nostra glitterata lista dei sospettati?» Allen non sapeva ancora che il suo alibi fosse stato confermato e quello era il momento perfetto per qualche trucchetto del genere.
La paura che nessuno avesse testimoniato a sua favore era forte, e Mulder lo sapeva.
Allen accusò il colpo con un'espressione meravigliata, dischiudendo la bocca per parlare, «che... che cosa?»
«Francis» la voce limpida e pacata di Xavier lo fece voltare nella sua direzione, «noi dobbiamo sapere tutto ciò che è successo quella notte. Quindi, perfavore, adesso voglio che lei ci dica a chi erano riferite quelle frasi.»
Allen scosse la testa, «non posso» disse soltanto.
«Ok, va bene» Mulder alzò le mani in segno di resa, «va bene, Francis. Andrà bene finchè qualcuno non arriverà a casa sua con un mandato d'arresto. Ma sono cazzi suoi.» Fece per alzarsi, quando Xavier lo fermò, «aspetta un secondo» lo redarguì, prima di rivolgersi ad Allen.
Era indeciso se porre quella domanda, ma il fatto che Francis mantenesse così il silenzio lo fece decidere.
«Si può sapere chi sta proteggendo, Francis?» Lo chiese fingendosi confuso, come se non credesse possibile che una persona, per proteggerne un'altra, potesse rischiare di essere accusata di omicidio.
In realtà succedeva anche troppo spesso per i suoi gusti.
Si sentiva quasi cinico a pensarlo, ma un gesto così estremo di protezione non lo capiva. Oppure ne era solo irritato.
Allen sbarrò gli occhi, «nessuno» disse.
Un nessuno palesemente falso, tanto che anche lui doveva essersene accorto, perché lo ripetè fingendosi più deciso.
Xavier lo guardò per qualche secondo, attento. I suoi occhi saettavano da una parte all'altra del viso di Allen.
Poteva rischiare, porre l'ultima domanda.
Se era quella giusta avrebbero chiuso lì l'interrogatorio. Se era quella sbagliata...
«Signor Allen, la persona che si ostenta di proteggere non ha avuto gli stessi riguardi nei suoi confronti.»
Ora che lo aveva detto poteva solo incrociare le dita mentalmente e sperare di non aver fatto un buco nell'acqua.
Mulder capì e assecondò l'idea, «esatto, Francis. Ora puo' dirci tutto.»
Lui osservò il pavimento con uno sguardo vuoto colmo fino all'orlo di delusione, «Julie non ha testimoniato a mio favore?»
«Manco per il cazzo.» Mulder si alzò per sedersi vicino alla finestra.
«No, Francis» Xavier assunse una postura composta, cercando di allontanarsi il più possibile da Allen e per preparasi a ciò che avrebbe detto, «la signora Ryan non ha testimoniato a suo favore, lo ha fatto suo marito, Scott. Lei si è rifiutata, inventandosi un falso alibi.» Aveva parlato tranquillo, sperando che il suo tono mite potesse rendere il tutto meno doloroso.
«Ho capito» disse Francis, «dovevo aspettarmelo.»
«Mhh, la situazione si fa più interessante» scherzò Mulder dalla finestra.
«Battuta squallida.» Xavier si voltò per dirglielo in faccia, poi ritornò a guardare Allen, aspettando che continuasse a parlare in un apparente e mite silenzio.
Apparente.
Dentro solo una domanda lo perseguitava, solo un dubbio gli si attorcigliava alle viscere.
Era l'incessante angoscia che aveva preso ad avanzare sempre di più nella sua direzione quando non aveva visto Zelda in centrale, quella mattina.
Voleva finire quell'interrogatorio, ora, all'istante, pensò.
«Quella telefonata... stavo parlando con lei. Con Julie.»
«E?» Mulder si staccò dalla finestra.
Francis sospirò. Poi scosse la testa, come a dirsi che ormai non aveva più niente da perdere, «mi aveva chiesto di lasciare Greta, mia moglie. Ma io non posso» si fermò. Forse non riusciva ad andare avanti per l'emozione o forse si vergognava soltanto, «quella di non testimoniare sarà stata un'altra delle sue piccole vendette.»
«Uh, bene... cazzo.» Mulder inarcò le sopracciglia in un'espressione sorpresa, poi sbuffò, «ora si capiscono le frasi, allora.»
«Adesso sapete la verità. Usatela come volete, basta che mia moglie non venga a sapere di questa storia.» Lo implorò.
Xavier lo guardò e il velo di un sorriso amaro gli comparve sul volto.
Sua moglie... certo.
Da quando Liza aveva varcato la soglia della centrale quella mattina, una sola idea occupava i suoi pensieri: quel giorno avrebbe parlato con Zelda. Doveva. Lo doveva a lei e a...
Distolse l'attenzione da quei ragionamenti infelici e guardò l'orologio.
Sospirò e continuò ad aspettare, davanti una tazza di tè e affianco il trench steso su una sedia vicina ad asciugare.
L'ombrello trasparente scattò all'improvviso, senza una ragione apparente.
Liza si voltò e vide che era stato Mulder a calpestarlo.
«Merda» disse, «scusami, Liza, non lo avevo visto.»
«Spero mi perdoniate se non vi ho raggiunto, ma ho visto che non c'era bisogno del mio aiuto, quindi ho sentito l'interrogatorio da qui.»
«Non ti preoccupare» mormorò Xavier, pensieroso. Rimase a osservare il tavolo per qualche frazione di secondo, come se i pensieri gli avessero fatto dimenticare cosa dovesse fare.
«Zelda?» chiese d'un tratto Liza, cercando con lo sguardo la sua figura sottile.
Xavier scattò, alzandosi e sussurrando:
«Basta, non ce la faccio.»
Poi, con tono più alto aggiunse: «Mulder, devo andare.» Sotto lo sguardo interrogativo dei due detective prese l'impermeabile scuro e senza indossarlo si avviò verso l'uscita.
«È per qualcosa che ho detto?» Liza lo raggiunse in un attimo, mentre batteva i tacchi sul pavimento di cemento.
«No, no non è per quello. Posso spiegarti dopo?» Xavier fece per aprire la porta d'ingresso. Guardava altrove, insofferente, agitato.
Liza rimase in silenzio.
Avrebbe voluto sapere di più, ma non fece nulla per trattenerlo. Sentì che in fondo non ne aveva il diritto.
«Almeno prendi il mio ombrello.» Finì la frase che Xavier era già uscito sul marciapiede davanti alla centrale.
Lo vide camminare sempre più lontano, mentre indossava distratto il cappotto.
«Ti spiego dopo.» La guardò per qualche istante, mentre delle spesse gocce di pioggia incominciavano a tempestargli i capelli e il viso, riflettendosi sull'impermeabile e scivolandogli addosso come schegge di vetro, «ti spiego tutto dopo.»
Camminava veloce, mentre il vento si mischiava alla pioggia in un vortice fastidioso e freddo, mentre le macchine passavano alla sua destra e una schiera si saracinesche chiuse si stendevano alla sua sinistra.
Camminava veloce, quasi correndo, mentre una sensazione indescrivibile si faceva spazio dentro di lui e aumentava tutte le volte che, provando a chiamare Zelda, partiva la segreteria.
Cercò di fare mente locale, sfidando il rumore assordante della strada e la confusione che gli faceva apparire tutto come sfocato.
Ieri sera, pensò, mentre svoltava in una via poco illuminata, ieri sera se n'è andata senza dire nulla.
Era scomparsa a fine serata e lui aveva semplicemente pensato che fosse tornata a casa.
Una miriade d'ipotesi si fecero spazio nella sua mente.
Una peggiore dell'altra, una più possibile dell'altra, fino a quando non si fermò in mezzo alla via, ricordandosi di un piccolo particolare della sera prima.
Visualizzò, davanti a lui, lo sguardo di Zelda, strano e sofferente.
Quello sguardo con cui lo aveva guardato allo Zero.
La paura non fa pensare prima di agire, gli ricordò la voce ferma e malinconica di lei.
Xavier aprì la porta d'ingresso del loro palazzo con una fretta terrorizzata.
Poi, senza pensare, prese le scale, correndo il più veloce possibile mentre si teneva al corrimano, passando da un piano all'altro con foga.
Nel silenzio regnava il rumore della pioggia, incessante e tranquillizzante, forte anche se venisse dall'esterno.
Ma Xavier percepiva solo il suono del suo respiro e quello delle scarpe che battevano con violenza sugli scalini.
Arrivò al quarto piano in un attimo, con un dolore gelido a lancinargli il petto.
Suonava al campanello di Zelda, nessuno rispondeva e ogni volta il terrore si faceva più fitto e realistico.
Iniziò a bussare a mani nude, colpendo la porta con il palmo della mano, fino a farsi male. Poi appoggiò la fronte sulla superficie della porta, cercando di sistemare le idee e riprendere fiato. Respirava febbrilmente, ma era come se l'aria non riuscisse ad arrivare ai polmoni.
Potrebbe non essere in casa, pensò in un momento di lucidità, mentre volteggiava da una parte all'altra del pianerottolo, sgocciolando pioggia su tutto il pavimento.
Stava per comporre il numero di Zelda per l'ennesima volta, quando un rumore flebile ma familiare lo fece tornare davanti alla porta dell'appartamento.
Era il suono di un bollitore.
Rimase in ascolto per una frazione di secondo. Ascoltava il bollitore fischiare, ma non provava nient'altro.
Solo una senso di oppressione, la sensazione che una miriade di aghi gli si conficcassero sul viso e la certezza che Zelda fosse in casa.
Scattò verso l'entrata del suo monolocale, mentre cercava freneticamente le chiavi che teneva in tasca.
Entrò, arrivò in sala correndo e per poco non scivolò sulla pioggia che lui stesso aveva portato.
Prese uno dei cassetti della scrivania e lo svuotò per terra.
Oggetti di qualsiasi tipo si riversarono sul pavimento con uno scroscio assordante, balzando da una parte all'altra del pavimento.
Xavier s'inginocchiò e iniziò a cercare qualcosa tra tutte quelle piccole e insignificanti cose, cercò per un tempo che gli parve un'eternità, mentre i capelli gli cadevano sugli occhi e lui li scostava in un movimento disperato e perpetuo.
Prese una piccola chiave d'acciaio.
Sembrava poco usata, quasi nuova.
Era la chiave di riserva dell'apparatamento di Zelda.
Xavier si alzò con uno slancio, camminò sopra a ciò che il cassetto aveva al suo interno, calpestando e inzuppando fogli che ormai non avevano più nessun valore.
Credette di impazzire.
Era almeno la quinta volta che cercava di far entrare la chiave nella toppa, ma le sue mani pallide e fredde tremavano incontrollate, facendolo sbagliare di continuo.
«Ti prego!» gridò con voce rotta a qualcosa di indefinito.
Poi, finalmente, riuscì ad aprire la porta.
La spinse il più lontano possibile da se stesso, ma quando le luci soffuse del monolocale gli si presentarono davanti non riuscì a muovere un passo.
Il lampadario in cucina era acceso.
Anche le lampade in salotto, anche i led del bagno, anche le abat-jour erano accese.
Xavier fece il primo passo, varcando la soglia. Non voleva continuare.
Eppure, dopo il secondo passo, tutto divenne più agitato.
Iniziò a camminare con sempre più rapidità, impossibiltato a smettere.
I suoi occhi si soffermarono su ogni stanza, attenti e in cerca di Zelda, anche se una parte di lui non avrebbe voluto trovarla.
Se non fosse stata in casa e avesse lasciato le luci accese? Sarebbe stato tutto più semplice se se ne fosse semplicemente dimenticata. Sarebbe tornata a casa dopo poco, si sarebbe seduta sul divano e avrebbe acceso la televisione per vedere un film.
Magari uno di quelli che guardava sempre quando pioveva, come Casablanca.
E il giorno dopo si sarebbe presentata di nuovo a lavoro e Liza avrebbe parlato con lei.
Tutto sarebbe stato quasi normale.
Ma a ogni stanza illuminata che incontrava con lo sguardo, Xavier era certo che la verità era un'altra.
Ne stava diventando consapevole sempre di più, fino a quando non entrò in salotto e, semplicemente, non pensò più a nulla.
Ansimò ancora per qualche istante e poi smise di respirare, trattenendo il respiro.
Zelda stava seduta su una delle sedie di plastica del tavolo, voltata di schiena, con il viso rivolto verso i fornelli.
Portava un abito lungo e dallo scollo largo che scorreva da una clavicola all'altra.
Mosse di qualche millimentro il volto.
I led della cucina illuminarono i suoi lineamenti.
«Stamattina mi sono preparata molto bene» disse che voce spezzata. Tutto, in quella stanza, era spezzato.
Le sigarette che galleggiavano nell'acqua del lavandino erano spezzate. Lei era spezzata.
«Ho messo il vestito di chiffon blu che ho comprato settimana scorsa» continuò, mentre con una mano tremante giocava con il pacchetto vuoto delle sigarette, «ho fatto le onde» s'indicò la chioma scarlatta, scolpita in onde lineari e fissate alla cute con del gel luccicante.
«Ma non ce l'ho fatta.» Si voltò, mostrando il viso.
Gli occhi erano decorati con un trucco scuro, che un tempo doveva donarle molto.
Adesso l'ombretto nero colava sulla sua pelle pallida come dell'inchiostro su un foglio.
«Non sono riuscita a uscire di casa, perchè il solo pensiero di poter trovare un'altra lettera mi fa soffrire» poi le sue labbra si allungarono leggermente all'ingiù in un sorriso amaro e sofferente, «mi fa soffrire» ripetè.
Poi rise per un momento.
Una risata che sembrava più uno sfogo o l'inizio di un lungo pianto.
Ma dopo quelle brevi risa tornò ad essere seria come prima.
Xavier la osservò, poi deglutì e chiuse gli occhi, cercando di tornare a respirare in maniera regolare. «Zelda» disse, «devi prenderti una pausa.» Erano le prima parole a cui avesse pensato.
Erano fredde e aride, ma erano le uniche che fosse riuscito a formulare e per lo meno le sentiva veramente.
Per un attimo gli sembrò addirittura di essere felice.
Felice di non averla trovata morta, lo convinse una voce che arrivava dal profondo della sua mente. Forse aveva ragione.
«Adesso non voglio prendermi una pausa» mormorò lei, alzandosi senza guardarlo negli occhi, per poi ordinare:
«Adesso voglio parlare con Liza.»
«Andrew Wilson» esclamò Liza, mentre sfogliava una rivista di arredi.
«Andrew Wilson: attore e regista di Detroit. Ultimo spettacolo presentato: Storie di Jazz.
Spettacoli in programma: Thelma Grant.» Le rispose una voce artificiale e metallica, proveniente dal suo ClearCircle.
«Thelma Grant. Spettacolo a Detroit» disse lei, aspettando la risposta annoiata, dando qualche occhiata veloce alla porta.
«Thelma Grant, spettacolo di Andrew Wilson. Visibile via ologramma o al teatro Dionysus nelle date nove, dieci, e undici gennaio. Trama:»
«Va bene, basta così.» Liza si alzò con uno sbuffo, per poi aggiungere, «è possibile prenotare quattro biglietti per Thelma Grant?»
«Certo,» rispose la voce, «Costo biglietti: undici dollari a persona. Desidera confermare l'acquisto?»
«Sì, compra quattro biglietti per il dieci gennaio» Liza lasciò che un fascio di luce le scannerizzasse la retina. Poi si fece pensosa e si voltò in direzione dell'ologramma, «chiama Xavier Lynch, perfavore.»
Ci fu un momento di vuoto silenzio, in cui apparvero tre puntini fluttuanti nel vuoto, segno che stava squillando.
Liza appoggiò il mento tra i palmi delle mani, osservando quei piccoli cerchi luminescenti, mentre la loro luce le si rifletteva nelle iridi.
«Nessuna risposta. Richiamare?»
«No» ordinò lei, abbassando lo sguardo, «ma disattiva la modalità silenziosa per i messaggi.»
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