Capitolo 16- Puoi affrontarlo tu, questo interrogatorio

«Andiamo a parlare con i Ryan.»
Mulder era entrato nell'ufficio di Zelda annunciandolo, mentre Liza e Xavier stavano migliorando la tabella con tutti gli indizi raccolti fino a quel momento. Troppo pochi.

«I vicini di Allen?» chiese Zelda, alzandosi dalla sedia davanti alla scrivania, facendo svolazzare dei fogli vicino a lei.

«Esattamente» assentì l'altro, togliendosi il cappello e i guanti, «aveva detto che erano gli unici che potessero confermare il suo alibi.»

«Vai tu, Zelda, noi pensiamo a questa.» Xavier indicò la tabella rassegnato.

Lei lo osservò, poi spostò lo sguardo sulla tabella e infine su Liza.
Non disse nulla, semplicemente scomparve dietro la porta, lasciando che il silenzio adombrasse la stanza e che l'unico rumore da ascoltare fosse quello dei tacchi delle sue scarpe, sempre più lontano e sbiadito.

La casa dei Ryan era una delle tante modeste e identiche villette a schiera che andavano a formare la via.
I cadaveri marci di foglie, un tempo d'un verde brillante, ricoprivano i marciapiedi come un tetro manto.
L'atmosfera era permea di un odore acre e indecifrabile, proveniente dalla terra, probabilmente comparso dopo un acquazzone.

Mulder si avvicinò alla casa numero 34, poi suonò al campanello e attese che qualcuno aprisse.

Una donna dai capelli tagliati a caschetto, biondi e fermati su un lato con un fermaglio d'acciaio, lo squadrò con gli occhi truccati.
Sembrava stesse per uscire.

«Sì?» domandò, con una punta di diffidenza.

«Lei è Julie Ryan?» Zelda si avvicinò, salendo uno o due scalini e schiacciando un mucchietto di foglie marce con i tacchi delle scarpe.

«Sono io.» La voce della donna si fece ancora più sospettosa.
Teneva la mano ancorata al pomello d'entrata interno della porta.

«Siamo della Omicidi» Mulder mostrò il distintivo, seguito da Zelda, «vorremmo solo farle qualche domanda sul suo vicino, Francis Allen.»

Lei sembrò vacillare qualche istante. Poi guardò entrambi, esaminandoli per intero, e disse: «Entrate.»

«Sapevo che era un sospettato, sì.» Julie prese due tazzine e le riempì di caffè scuro.
Le porse ai detective e poi si accomodò sulla poltrona con un sospiro.

Affianco a lei c'era un tavolino, decorato con un'unica cornice d'argento posizionata al centro.
La foto al suo interno raffigurava un uomo sulla quarantina, vestito con una divisa da golf.

«Però dice che voi possiate aiutarlo.» Zelda prese una delle due tazze ringraziando.

«E in che modo?»

«Confermando il suo alibi. Allen afferma che dalle otto alle dieci di sera del trenta dicembre fosse in casa propria, ma non ha testimoni attendibili che possano confermarlo... eccetto voi.»

Julie rimase in silenzio, forse per la prima volta interessata anziché infastidita.
«Io purtroppo non posso confermarvi niente. Quella sera non ero in casa. Ero da mia madre» ammise in seguito, neutrale.
Forse fin troppo.

Mulder la osservò attento, «ha un buon rapporto con gli Allen, signora Ryan?»

Lei sembrò estremamente sorpresa dalla domanda, ma il suo tono rimase composto.
«Certo. Sono molto tranquilli.»

«Suo marito potrebbe aver visto qualcosa, era in casa?» Zelda bevve un lungo e disperato sorso di caffè, come se berlo fosse questione di vita o di morte.

«Credo di sì. Ma dubito che possa dirvi qualcosa.»

«Perché lo dubita?» Mulder continuò con le domande, intenzionato a scoprire di più.

Julie sospirò.
Per un attimo sembrò che in quel sospiro balenasse dell'amaro divertimento.
«Perché mio marito non fa mai caso alle cose importanti» rispose lei.
«E ha una pessima memoria.»

Ventiquattr'ore di placido silenzio si erano susseguite in maniera indefinita, tutte uguali e insipide, passate tra vecchi e nuovi fascicoli, raccogliendo esili indizi e ascoltando passivamente gli innumerevoli vinili di Carter.

La tabella costruita da Xavier e Liza era decorata da radi post it, soprattutto sui sospettati, tutti collegati da un esile filo nero, che avrebbe dovuto mostrare, in teoria, qualche collegamento tra le varie prove.
Al centro, un foglio con solo il nome Enigma, la perizia dell'autopsia, le foto del Fluo Flamingo e un biglietto con scritto: In attesa del test grafologico, appiccicato con lo scotch vicino a due copie delle lettere.

In un angolo del muro giacevano tre pezzi di carta improvvisati, appena scritti, che si muovevano sotto la spinta del vento proveniente da una finestra socchiusa.

Francis Allen-> senza testimoni (ancora da sentire Scott Ryan)

Malcom Davis-> spaccio, innocente?

Maximilian Mitchell-> Alibi confermato. All'Artistry dalle venti alle ventidue del 30

Xavier si avvicinò al muro adornato di biglietti e ne aggiunse uno nuovo:
Andrew Wilson-> irreperibile

«Carter mi ha detto di dirvi che hanno trovato Wilson.»
La frase che tutti stavano aspettando fu detta da un giovane più simile a un ragazzino che a un uomo, disperatamente invaghito di Zelda e che si occupava delle scartoffie in una sottospecie di sgabuzzino del dipartimento. Entrò nell'ufficio di Mulder.

«Grazie, Sander» disse Zelda riferendosi al ragazzo, «puoi andare» aggiunse, quando vide che lui non si era mosso.

Xavier staccò il foglio appena scritto, lo accartocciò e lo depose sulla scrivania.
Per certi versi, provò sollievo a buttare quel foglietto insignificante.
Odiava lasciare le cose in sospeso, senza sapere come sarebbero andate a finire.
E quell' "irreperibile" lo irritava.

«C'è un'altra cosa. Carter vuole prima vedere Mulder nel suo ufficio.»
Tutti si guardarono con uno strano e unico sguardo che nascondeva un'amara consapevolezza: quell'incontro non prometteva nulla di buono.

Oscar annuì, «Se vuole vedermi digli che ci sarò» sembrava disinteressato.

«Va bene.» Sander tergiversò qualche secondo, «allora arriverci. Ciao, Zelda.»

Lei lo salutò cortesemente, poi, quando fu uscito, sbuffò divertita, «mi fa tenerezza» aggiunse, pensando ad alta voce.
Da quando aveva lasciato l'appartamento di Xavier due sere prima, sembrava cambiata radicalmente.
Era più tranquilla e attiva, anche se di rado rivolgeva la parola al fratello.
Aveva imparato a coprire in maniera eccellente le occhiaie, a mostrarsi serena e a bere il caffè in dosi normali, almeno davanti agli altri.
Aveva capito che doveva fare così dopo quella sera, e in fretta e furia si era dovuta inventare un metodo per risultare normale agli occhi altrui.
O almeno era quello che sperava.

Mulder si alzò dalla sedia e si stirò, «di certo non vorrà congratularsi» disse, riferendosi al detective capo.

«Avete interrogato tre persone. E tutto ciò che mi è arrivato è un succinto resoconto?» Carter era appollaiato sul bordo della scrivania, le mani incrociate, la bocca arricciata in una smorfia che sembrava essere di fastidio, quando in realtà l'unica cosa che provava in quel momento era soddisfazione.

«Che cosa ti aspettavi, Carter?» Mulder si chiuse la porta alle spalle, tagliando fuori dalla conversazione il brusio proveniente dal corridoio.

«Mi aspettavo di essere più interpellato! Voglio sapere tutto!» sbottò senza una ragione ben precisa, dal nulla. Forse per darsi un tono.

«Essere più interpellato. Carter, tutte le cose importanti che devi sapere sono scritte in quei documenti.»

«Ah davvero? Sai, non mi interessa se tutte le cose importanti sono scritte qui, perché sono le cose che tu e i Lynch reputate importanti. Io voglio sapere tutto.»

«Va bene» Mulder alzò le braccia in segno di resa, «allora perché ci hai affidato gli interrogatori?»

Carter rise, una risata incredula e spaventata, «forse è stato uno sbaglio. Siete in quattro e non sapete svolgere un cazzo di interrogatorio come è giusto che sia? Non ho assunto la francese per questi.» Indicò i fascicoli con disgusto.

«Liza Aster non si occupa dei resoconti.»

«Non me ne frega un cazzo di chi se ne occupa, Mulder. Io esigo di trovare un resoconto completo, quando finirete con Wilson.» Pronunciò il suo nome come se fosse di sua proprietà.
D'altra parte, a rintracciarlo erano stati i suoi uomini.

«E lo troverai, come sempre, la trascrizione scritta con tutte le domande e le rispose. Facciamo così da quando ci hai affidato gli interrogatori perché tu avevi cose più importanti da fare.»

«Ringrazia che ti abbia riaccolto qui dopo che te ne sei andato. Ringraziami e farò finta che lo abbiano fatto anche i Lynch.»

Mulder si fermò in mezzo alla sala, di fianco a lui il grammofono spento su un tavolo di cedro e alla sua sinistra la finestra spalancata nonostante fosse gennaio.
Sviò la provocazione del detective con una domanda:
«Era dei resoconti che volevi parlarmi?»

Bennie annuì.
Sì, la scusa era quella.
Avrebbe voluto trattenerlo ancora per un bel po', evidenziando tutte le pecche nel lavoro dell'altro, ma improvvisamente si sentì impaurito dal continuare.
«Puoi andare, per ora.»

Mulder fece per uscire, poi uno strano pensiero gli balenò in mente.
«Puoi sempre affrontarlo tu, questo interrogatorio» gli propose, pacato e diabolico.

Carter lo guardò per un interminabile attimo. Sapeva che quel momento, prima o poi, sarebbe arrivato.
Sarebbe stato troppo anche per lui rifiutare quella proposta, una volta ancora, dopo tutte quelle per cui aveva trovato una perfetta scusa.
Ma ora nemmeno la flebile idea di una di quelle scuse gli veniva in mente e rimase immobile sulla scrivania, a pensare a come uscire da quel labirinto di situazione.
Alzò lo sguardo e capì che sarebbe stato meno difficile arrendersi al fatto che da quella trappola non poteva scappare.
Non ancora, almeno.
«Certo. Basta che non mi interrompiate con le vostre banali domande» disse, pregando che l'interrogato fosse almeno docile.

«Sono appena tornato da una tourneè e mi avvisano che potrei essere accusato di un omicidio. Qualcuno potrebbe dirmi cosa sta succedendo?» Con tono composto, Wilson aveva riversato la sua irritazione su Xavier e Zelda, nel momento esatto in cui erano entrati. Era un uomo dall'età indefinita, forse più giovane di quanto la sua aria altezzosa mostrasse.
I capelli castani gli ricadevano ai lati del viso, ma non erano scomposti.
Cadendo, sembrava che adottassero una precisa meticolosità.
Lo sguardo basso, mentre giocherellava con il suo fermacravatta d'argento, nascondeva alla vista il colore dei suoi occhi.

«La situazione non è esattamente così.» Lo corresse Xavier, sedendosi e appoggiando dei documenti sul tavolo.

«Davvero? Allora perché sono qui?» Lo incalzò Andrew, spegnendosi subito dopo, quando vide entrare un uomo dai corti capelli biondi e l'aria strafottente.
Wilson pensò subito a lui come a uno sciacallo.

«Lynch, fuori» ordinò Carter secco, quasi con cattiveria.

Zelda e Xavier si guardarono confusi, poi videro Mulder, sull'uscio della porta.

«Fate come dice.» Il tono di Oscar era severo, e poteva quasi sembrare serio.
Ma qualcosa balenava dietro ai suoi occhi, era come in attesa.
Il suo sguardo sembrava già pregustarsi un avvenimento futuro quasi certo.

Loro si alzarono, di scatto.

«Buona fortuna, allora» sibilò Zelda, prima di uscire, osservando come Bennie non avesse reagito alla sua provocazione.
Una parte di lei ci rimase quasi male, l'altra era incuriosita dall'atteggiamento del detective.

«Bene... Andrew, giusto?» iniziò Carter, dandogli subito del tu e sforzandosi di essere duro e professionale nel tono.
L'incertezza si mescolò alla sua falsa sicurezza.

«Sì, sì» rispose l'attore, saccente.

Bennie rimase qualche secondo in silenzio, pensando a che domanda fare.
Sfogliava i fascicoli con finto interesse, nella speranza di trovarvici qualcosa di utile.

«Ma dovreste farmi delle domande o cosa?» Wilson si sistemò sulla sedia, spazientito.

«Non hai il permesso di parlare se non per rispondere alle mie domande.»

«Allora me le faccia.»

Carter alzò lo sguardo.
Sentiva una rabbia incandescente ancorarsi al suo viso e farlo fremere d'indignazione.
«Il primo di gennaio hai alloggiato all'hotel Fluo Flamingo?»

«Sì. Ero di ritorno da delle prove fuori città. Mi sono fermato a dormire lì.» Wilson osservava con interesse ogni mossa di Carter.
Di certo non un buon detective, gli venne da pensare.

«Insieme a te c'era un uomo di nome Francis Allen?»

«Mi ricordo di un certo Francis. Ma dove vuole arrivare?»

«Non sei autorizzato a fare domande.»

Andrew sorrise. Tutta quella situazione lo divertiva da matti.
«Va bene... mi scusi»

La porta schioccò rapida e un'anonima ombra comparve sull'uscio.
L'ombra di Liza.

Entrò, nascondendo la rabbia e mostrandosi solo sorpresa.
«Detective Carter. Non pensavo di trovarla qui.»

Lui la osservò con uno sguardo tra il ferito e il superbo.
Evidentemente non aveva dimenticato il loro ultimo incontro.
«E invece sono qui. Sorpresa?»

«Sì. Pensavo fosse nel suo ufficio ad ascoltare Stan Kenton

Wilson soffiò una risatina, lei gli piaceva già di più.

«E invece io lavoro, vede? Piuttosto, perché lei è in ritardo?» Carter sembrava essersi completamente dimenticato dell'interrogatorio che avrebbe dovuto continuare.

«Un breve ritardo. Non abbastanza per non aver capito cosa sta succedendo. Ma prego, continui pure a interrogare.» Pareva più un ordine che una gentilezza.
Liza capì, dopo quella conversazione, come era veramente fatto Carter.
All'inizio le era sembrato un tipo distinto. Quasi affascinante.
Ma appena veniva contraddetto o notava qualcosa che non era come lui voleva, si mostrava in tutta la sua vera e disgustosa essenza.
Le venne naturale chiedersi cosa fosse successo a Zelda, per venir trattata con così tanto odio da lui.

Bennie non disse nulla, sfogliò un documento e poi, inaspettatamente, disse: «signorina Aster,» non dottoressa, o detective. Signorina, «non capisco il suo intervento qui. Se si vanta di sapere già cosa sta accadendo, saprà anche che voglio affrontare questo interrogatorio da solo.»

Lei guardò prima Wilson, che sembrava stesse assistendo a uno dei migliori spettacoli della sua vita, poi osservò Carter.
«Come desidera. Mi chiami se non riesce ad affrontare la situazione da solo.»

«E perché non dovrei riuscirci?»

Liza sorrise, «lo dicevo solo per cortesia.»
Uscì e il sorriso si svuotò nel momento esatto in cui varcò la soglia.
Si chiuse la porta alle spalle.

Una volpe, pensò Andrew, una giovane e scaltra volpe.

«Mulder, ancora non capisco perché tu lo abbia fatto» sbottò Xavier, guardando oltre il vetro Carter.
Aveva osservato quelle sedie e quella stanza per così tante volte che per un attimo gli parve di avere un Déjà-vu.
Tutto gli sembrava solamente una grande replica.

«Voglio solo divertirmi un po' con lui. Sapete perché mi ha chiamato? Per dirmi che i resoconti che avevamo stilato non erano abbastanza dettagliati.»
«È talmente informato sul caso che pensava fosse Liza a scriverli.» Continuò, mostrandosi allibito.

«Questo non giustifica il tuo gesto, Mulder.»
Liza parlò con una sorprendente irritazione nella voce.
«Carter non sa gestire un interrogatorio e Wilson non mi sembra un tipo che possa scendere a compromessi. Se lui sbaglierà le domande, Andrew diventerà molto più sospettoso e si chiuderà a riccio. Allora sarà davvero difficile interrogarlo.»
Stava rimproverando il detective come se fosse un apprendista.

Mulder si sentiva già in imbarazzo alla prima frase di Liza, ma adesso pensava di esserlo il triplo.
Credeva di non essere capace di provare una vergogna simile.
Sorrise, suo malgrado.
Liza aveva ragione e lui si accorse, veramente, di essersi comportato in maniera infantile. «Non accadrà più, allora» disse, rassicurante, mentre la criminologa si ricomponeva.

Forse ho esagerato, pensò lei, dopotutto lui non poteva sapere bene a cosa avrebbe portato quel gesto.

«Hai notato qualcosa di sospetto, quella sera?» chiese Bennie, convinto.
Teneva gli occhi fissi sul documento dell'interrogatorio di Allen.
Stava leggendo le domande da lì.

«Sospetto? No, non mi sembra. Tranne Allen. Lui era abbastanza teso.»

«Va bene...» Carter tornò a osservare i documenti.

«Ma come va bene? Come?!» Xavier si alzò e si diresse verso il vetro, come se Carter potesse sentire i suoi insulti, «basta, Mulder, io non ce la faccio a stare qui e guardare!» Si diresse verso l'uscita, quando si sentì chiamare.

«Non rischiare il posto un'altra volta.»
Era stata Zelda a parlare.
Dopo un silenzio infinito durato tutta la mattina, l'unica frase che gli riservava era un rimprovero, o almeno era quello che sembrava.

«Ma sta leggendo le domande, per caso?» Wilson si sporse per guardare i fogli che teneva sulle ginocchia Carter.

Lui gli lanciò uno sguardo terrorizzato, «come ti permetti di dirmi una cosa del genere?»

«Io non mi permetto di dire niente. Ho solo notato che-» Andrew fu interrotto dalle urla di Bennie.

«Stai zitto e rispondi solo alle mie cazzo di domande!» Era fuori controllo.

Mulder si sentì quasi in colpa per ciò che stava succedendo.
Ma una parte di lui, quella più bastarda, era entusiasta di veder Carter darsi fuoco da solo.

Wilson era ammutolito.
Le mani, tenute sul grembo, si contorcevano, ma nel suo sguardo non c'era l'ombra di un minimo timore.

Carter si passò una mano sulla fronte, «cosa... cosa facevi dalle venti alle ventidue del trenta dicembre?»

Andrew fece finta di pensarci.
«Non me lo ricordo» rispose candido.

I detective si guardarono, oltre il vetro, in attesa della reazione di Carter.
Ma lui era immobile con lo sguardo fisso su Andrew.

Quel figlio di puttana... lo sta facendo apposta per mostrare che non valgo nulla, si disse Bennie.
Non valgo nulla.
La collera era arrivata a un punto di non ritorno e stava per crollargli addosso come un castello di fiammiferi mal fatto.
«Prova. A. Pensarci.» Il tono era meccanico, sterile.

Andrew rimase in silenzio per qualche attimo, la faccia pensosa e le mani sul tavolo.
«Veramente. Non ricordo. È passato molto te-» non riuscì a finire la frase, perché Carter aveva annullato la distanza che li divideva, prendendolo ai lati della giacca, «prova a dire un'altra volta che non te lo ricordi e ti ritrovi sfigurato.»

Andrew lo guardava con occhi sbarrati, mentre i capelli gli cadevano perdendo la loro meticolosità.
«Va bene, ma si calmi» questa volta riuscì a finire la frase, ma si maledisse poiché gli era uscita veramente troppo sarcastica.

Carter lo osservo per qualche secondo.
Un odio tremendo gli vorticava dietro alle iridi chiare.
Lasciò i baveri della giacca e sembrò mollare la presa per qualche momento, ma di scatto, con una forza spaventosa, prese con una mano il capo dell'altro e lo sbatté sulla superficie fredda del tavolo di metallo.
Sì udì un rumore secco e viscerale, poi Wilson lanciò un grido di spavento e dolore.

«Che cazzo sta facendo?» Anche Mulder sembrava scosso, almeno sorpreso, dall'azione del detective.
Mentre Xavier e Liza si guardavano atterriti, Zelda si riscosse dallo stato di fredda apatia che l'aveva sommersa fino a quel momento.
Si alzò, aprì la porta della stanza interrogatori.

«Adesso basta.» Si rivolse a Carter con un tono freddo, glaciale, che nascondeva una paura folle.
Non avrebbe resistito alla vista del volto insanguinato di Wilson nemmeno un secondo di più.
Un senso di terrore misto a pericolo tornò a insinuarsi negli angoli più reconditi della sua mente, ma lei cercò di reprimerlo.
Non adesso.

Carter la guardò con uno sguardo da predatore. Poi osservò Wilson, le mani a coprire la testa e le ciocche brune bagnate di sangue a fargli da velo.
Una piccola pozza di sangue si stava espandendo intorno alla sua figura.

«Continuate voi l'interrogatorio.» Diede un ultima occhiata alla stanza, poi si guardò la camicia e vide che delle gocce di sangue gli scendevano, colando, fino alla cintura di pelle.
Che cosa avesse appena fatto, non lo capiva. Ma non era certo di esserne dispiaciuto.

Zelda rimase immobile sull'uscio.
Pensava di conoscere Carter, dopo tutto quel tempo.
Pensava che fosse un bastardo.
Ma non pensava fosse così.

Andrew alzò il capo, la sua bellezza lasciava spazio a una maschera di sangue scuro, su cui spiccavano solo le orbite bianchissime e le iridi grigie e cariche di sdegno.
«Quello stronzo mi ha macchiato tutta la camicia!»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top