47. Orizzonte rosa
Hemma entrò silenziosa nella stanza dell'amica e si sedette sul bordo del letto. Le accarezzò i capelli.
«Ehi Eeda. Come ti senti?»
Di tutta risposta Eeda si rannicchiò ancora di più.
«E' tutto finito. Per sempre questa volta. Roxbourgh e caduta e così anche Ranulf .»
La sentì irrigidirsi tutto di un colpo. Si sollevò seduta appoggiandosi con al schiena ai cuscini.
«È...?»
«È morto.Sì!»
Accolse in un abbraccio l'amica. Pianse sulla sua spalla per un lunghissimo tempo ed Hemma ebbe la certezza che le preoccupazioni del compagno fossero fondate. Eeda aveva subito qualcosa di ignobile da quel lurido pachiderma.
«Devi farti forza, Eeda, per te stessa e per il tuo piccolo. Ti prometto che il tempo guarirà piano piano ogni ferita. »
«Non riesco a guardarlo in faccia, Hemma. Non ci riuscirò mai piu. Mi vergogno troppo.
«Ma perché? Come puoi pensare che sia colpa tua quello che è successo?»
«Io mi sono consegnata a loro. Mi sono gettata io in pasto a mio padre e Ranulf.»
«Non dire sciocchezze. Blake sa bene i motivi che ti hanno spinto a farlo, ma ora conta solo che siete di nuovo assieme, qui a Berwick e che tra poco avrete un bellissimo bambino.» La bella danese le sorrise per rincuorarla. «E a riguardo, amica mia, devi farti visitare. Pensa al bene del piccolo.»
«Non voglio che nessuno mi tocchi. Mai più.. dopo che quel maiale...» Scoppiò a piangere a in modo ancora più convulso.
«Ti hanno... ti hanno presa con la forza.»
«Le sue guardie non hanno fatto in tempo, ma lui...» Si ghiozzo ancora di più. « Lui, le sue luride mani.. la sua putrida lingua...»
Hemma la strinse ancora più forte e prese a sussurrargli.
«Eeda, nessuno ti farà più del male! Te lo prometto, ma a maggior ragione se quel porco ti ha toccata, devi farti visitare per il bene del bambino.»
Dopo un lungo pianto, Eeda annui e si arrese di fronte a discorso dell'amica.
La danese si alzò e spalancò la finestra.
«Dirò a Lady Margareth di venire nelle tue stanze e a Unah di prepararti una bella merenda.»
Un po' di dolci ti tireranno su. Più tardi invece tornerò ad acconciarti i capelli come quando ti addestravi. Così magari ti ricorderai che Sei Eeda Manner, Signora e guerriera di Berwick.
Blake entrò nel salone e vide Unah, Lady Margareth e Hemma parlare tra loro a bassa voce. Avevano lo sguardo cupo e Unah aveva le lacrime agli occhi.
«Cosa diavolo succede? Lei sta bene?» Chiese alle tre donne.
«Sì, mio signore. Stanno bene entrambi. Sono riuscita a visitarla.» Rispose la levatrice, ma si dileguò immediatamente in preda all'imbarazzo.
«Unah?» Chiese alla donna con aria interrogativa, ma in risposta la governante scoppiò a piangere e corse verso la cucina.»
Solo Hemma rimase davanti a lui e Blake si avvicinò a lei furioso.
«Dimmi che non l'hanno toccata ti prego.»
Hemma abbassò lo sguardo.
«Non posso dirtelo Blake.»
«Dannazione! Cosa le hanno fatto?»
«La levatrice dice che non ci sono grossi segni di violenza. Dai pezzi che abbiamo messo assieme credo che siano stati interrotti prima di completare l'ignobile ingiuria. A quanto pare quello che è successo non ha arrecato danno al suo corpo, ma è bastato per distruggerle l'animo.»
Ringhiando, Heron prese una sedia e la scaraventò contro una colonna del salone, mandandola in mille frantumi.
«Dovete darvi tempo.» prede a rincuorarlo Hemma.
«Tempo? Non fate altro che ripetermermi che dobbiamo darci tempo? Ma io come ho usato il mio di tempo? Eh?» Sbuffò con gli occhi fuori dalle orbite. «Se fossi arrivato prima avrei potuto evitarglielo.»
«Nessuno pensa che sia colpa tua. Nemmeno lei.»
«Davvero? E allora perché non mi guarda neanche in faccia?»
«Blake non so come spiegarti quello che si prova. Ma posso solo prometterti che passerà piano piano.»
***
Trascorsero gli ultimi due mesi della gravidanza, ma le cose non cambiarono. Il morale di Eeda si era leggermente ripreso.
Usciva spesso per delle piccole passeggiate, riceveva le visite di Ian e Hemma quando tornavano da Roxbourgh, seguiva alla lettera tutto quello che gli diceva la levatrice e condivideva i pasti con gli ospiti del castello sedendosi affianco al marito nel salone, ma non lo guardò mai più in faccia. Era come se l'inverno avesse ghiacciato ogni cosa compreso quello che un tempo c'era tra loro.
Blake l'aveva riportata a casa e a breve lei avrebbe dato alla luce suo figlio, ma era come se l'avesse comunque persa per sempre.
Ne ebbe la certezza un pomeriggio, vedendola parlare con Jamie nella corte sotto il porticato.
Il giovane discuteva con lei in modo scherzoso e lei lo fissava con una serenità negli occhi che pensava non avrebbe mai più visto sul suo volto. Il ragazzo prese una manciata di neve che si era accumulata sul muretto del portico e gliela tirò sul mantello. Lei copiò immediatamente il gesto e i due presero a ricorrersi e le loro risa rimbombarono nella corte.
I sentimenti di Heron erano contrastanti. Era felice di vederla ritrovare un po' di serenità, ma non riusciva a non essere geloso.
I sensi di colpa lo attanagliarono sempre di più perché sapeva era convinto che anche la moglie lo riteneva responsabile di quello che le era successo.
La osservò alzare il capo verso il cielo con gli occhi chiusi, per sentire la neve accarezzargli il volto. Poi li aprì e i loro sguardi si incontrarono. Blake le sorrise guardandola ammaliato dalle arcate dei torrioni, ma lo sguardo di Eeda si rabbuiò all'istante e si distolse prontamente dal suo, sprofondando in basso verso la neve. Anche Jamie stava fissando il suo Signore con aria accigliata e si mosse per raggiungerlo.
«Dovete parlarle.» Disse il ragazzo al suo Laird mentre lo rincorreva per scale.
«Mi sembra che parli più serenamente con te. Forse avevi ragione ragazzino. Sembrerebbe che tu sia davvero più capace di me nel renderla felice.»
«Non è come pensate.»
«Non prendermi in giro moccioso!» Gli urlò in faccia. «Lei è più felice con te. E' evidente, ma ricordati che rimane mia moglie. E se ti azzardi a mancarle di rispetto ti faccio impiccare. Non mi importa se porti il mio stesso nome.» Le minacce gli uscirono dal corpo con gran fervore, ma notò che Jamie non si era minimante fatto intimidire.
«Vi state sbagliando di grosso.» Rispose pacatamente il ragazzo. «E non so come farvelo capire. Non nascondo che mi piacerebbe che non fosse così. Ma lei vi ama e tanto.»
Un piccolo gemito di dolore riecheggiò nella corte interrompendo la loro discussione. Si precipitarono fuori sporgendosi dal muro di cinta. Eeda era ancora al centro delle corte. Era leggermente piegata e si reggeva la pancia . Sotto di lei la neve era diventata più scura .
La levatrice la raggiunse correndo tutta eccitata «Milady avete rotto le acque, è l'ora!»
***
Blake camminava nervosamente avanti e indietro, fuori dalla stanza di Eeda, mentre fuori una tempesta non gli permetteva nemmeno di vedere chiaramente la torre dall'altro lato dei bastioni. I suoi uomini continuavano a dirgli che non avrebbe dovuto stare lì, dove si sentiva tutto e che era meglio aspettare di sotto nel salone. Tuttavia non prese in considerazione la cosa nemmeno per un istante.
Solo Ian si limitava a stargli accanto, senza infastidirlo con inutili consigli che non avrebbe mai seguito.
Hemma uscì dalla stanza di Eeda per aggiornarlo.
«Sembra che il bambino non si sia girato. Lady Margareth sta provando a manipolare la pancia, ma la pratica le sta causando molto dolore. Penso sia meglio che tu scenda di sotto Blake.»
Heron sapeva benissimo che una posizione non corretta poteva causare la morte sia della madre che del bambino. Sua mamma e sua sorella avevano perso la vita esattamente così, quando lui aveva solo cinque anni.
Eeda strillò di nuovo in preda ad un dolore atroce e Blake sbuffò rumorosamente in preda all'impotenza.
«Non dovresti stare qui.» Lo incalzò nuovamente Hemma.
Ma Heron la ignorò prontamente e con un calcio spalancò la porta e fece irruzione nella camera. Lady Margareth e Unah sobbalzarono sorprese dalla sua presenza.
«Blake!» Non appena lo vide, Eeda allungò il braccio verso di lui, come a chiamarlo vicino a se. Sembrava sollevata di vederlo e lui si precipitò al suo fianco prendendole le mani tra le sue.
«Mio Signore.. »La levatrice si stava apprestando a chiedere al suo Laird di andarsene.
«No vi prego, ho bisogno di lui!» La interruppe Eeda soffocando sul finire della frase un grido di dolore, poi si voltò nuovamente verso il marito.
«Se non dovessi farcela, non pretendo il tuo perdono per quello che ho fatto e per tutte le conseguenze che hanno portato le mie azioni, ma ti prego, non dimenticare mai che non ho mai smesso di amarti. Mai, Blake. Nemmeno per un singolo instante!»
La morsa di un'altra contrazione le tolse il fiato e strinse forte le mani del marito.
«Eeda, cosa stai dicendo? Amore mio. Non pensarlo neanche per un istante. Sono io quello che non riesce a perdonarsi il fatto di essere arrivato troppo tardi, avrei dovuto capire cosa stava succedono e tirarti fuori da Roxbourgh molto tempo prima.»
«Ma non lo hai fatto perché io ti ho mentito e ti ho tenuto nascosto...» Fu dilaniata da un'altra contrazione.
«Mio signore, ora devo procedere. Le contrazioni sono troppo vicine tra loro. Devo provare a girare il bambino o moriranno entrambi.»
«Ti amo, Blake.» Disse tra le lacrime stringendo più forte le sue mani.
Era nuda, sudata, immersa nelle lenzuola sudice, aveva i capelli arruffati e il viso stravolto dalla sofferenza, eppure a Blake le sembrò di non averla mai vista così bella.
«Ti amo anche io, Eeda.» Le risposte accarezzandole dolcemente il volto. «Ma ora dobbiamo far nascere nostro figlio. D'accordo?»
Lei rispose con un debole cenno.
«Lady Margaret. Non ho intenzione di muovermi da qui. Ditemi solo cosa posso fare?» Chiese il laird alla levatrice, mentre arrotolava le maniche della tunica fin sopra i gomiti.
La donna fece sedere Blake in ginocchio al centro del letto, in modo da far appoggiare la schiena di Eeda contro il suo petto e posizionò il bacino della donna sul bordo.
«Tenetela ferma. Ora tenterò di girare il bambino dall'interno. Sarò molto doloroso, Lady Eeda.»
Un urlò interminabile sembrò squarciare il cielo. Blake cercava di contenere quella sofferenza, abbracciandola forte e sussurrandole all'orecchio che a breve sarebbe tutto finito. Poi le mani della levatrice si fermarono e la donna sorrise in modo soddisfatto.
«Ci siamo! Ora è ben posizionato! Potete spingere, mia Signora!»
«Forza, amore mio. Manca pochissimo.»
Blake esortò la moglie e dopo poche spinte, la piccola Heron venne al mondo facendo dimenticare ai genitori ogni senso di colpa.
Appoggiata sul seno della madre e avvolta da una mano del padre quella piccola creatura spazzò via le loro distanze in pochissimi istanti.
L'intimità di quel momento fece sembrare tutto quello che avevano passato negli ultimi mesi un vecchio ricordo sbiadito, che non aveva fatto altro che unirli ancora di più.
Blake guardò per un istante fuori dalla finestra verso l'orizzonte. La tempesta era finita e finalmente non vi erano più avversità. Il cielo era terso, le luci del tramonto lo avevano colorato di rosa. Il loro destino si era compiuto e stava strillando a gran voce tra le loro braccia.
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