41. Carezze
«Fuori di qui!»
Blake urlò contro le due donne che avevano appena giaciuto con lui e che terrorizzate dalla sua improvvisa collera corsero fuori dalle sue stanze completamente nude. Riuscirono a malapena a raccogliere i propri vestiti e a chiudere la porta dietro di loro, quando Heron lanciò un calice ancora pieno di vino nella loro direzione.
Prese la caraffa e se la scolò tutta d'un fiato. Non era ancora sufficientemente ubriaco, per addormentarsi senza pensare a lei. Le nottata con le due mestieranti l'aveva sfinito, ma lo stato di ebrezza non era abbastanza per cercare di dormire. Cercò sotto il letto una bottiglia di acquavite. Era sicuro di averne vista una fare capolino la sera precedente mentre stava montando una serva inginocchiata sul pavimento.
Eccola! Si scolò il contenuto tutto di un fiato e si gettò a letto completamente frastornato. Si addormentò pensando che domani sarebbe finalmente ripartito.
Non ne poteva più di stare al castello. Non vedeva l'ora di prendere parte ad un'altra avventura con gli uomini di Gunnar.
Aveva passato l'intera l'estate razziando Highlands e Lowlands mischiandosi tra loro senza mai essere riconosciuto da nessuno. Non aveva più tagliato né barba né capelli. Un danese con la quale aveva trascorso un paio di notti gli aveva attorcigliato i capelli fino a metà nuca dove era solito legarli creando una cipolla con un laccio, mentre le ciocche sottostanti si allungavano oltre le spalle. La sua barba era invece raccolta in tre diversi lacci che creavano tre onde degradanti verso la punta.
Aveva l'aspetto di un danese, combatteva come loro, beveva come loro e si accoppiava come loro. Diversamente da quanto aveva pensato quando aveva stretto il patto con Gunnar a Edwin la primavera precedente, la presenza dei vichinghi tra le mura stava arricchendo le casse di Berwick, grazie alla sua partecipazione alle razzie.
Inizialmente i suoi uomini, compreso suo fratello, si erano dissociati dalle sue imprese pensando che fossero solo uno sfogo passeggero dovuto alla sofferenza per il tradimento della moglie, ma quando iniziarono a vedere l'argento accumularsi ad ogni imprese alcuni decisero di seguirlo agghindandosi anche loro come danesi per non destare sospetti.
Blake trovava pace solo vivendo con loro. Odiava stare a Berwick perché tutto gli ricordava lei e suo fratello non faceva altro che predicare che doveva reagire in modo diverso.
Non lo sopportava più. Sapeva di dovergli molto in quanto ogni volta che Blake partiva, Ian si prendeva carico di tutti i suoi doveri di Laird, ma ogni volta che si rivolgevano parola, Heron provava un senso di irritazione.
Avrebbe voluto lasciarli tutto e non fare più ritorno sapendo bene che sarebbe stato un Laird migliore di lui. Era chiaro che non fosse più in grado. Aveva perso la sua integrità e moralità. Le aveva sepolte, così come cercava di seppellire il ricordo di lei. Continuava a giacere in modo disperato con donne diverse in pieno stato di ebrezza, nell'invano tentativo che qualche emozione forte gli togliesse dalla testa la luce dei suoi occhi, la morbidezza delle sue labbra, l'aroma della sua pelle, ma inevitabilmente si trovata ad immaginare lei nel pieno dell'atto. Il vuoto che sistematicamente lo coglieva in seguito era via via sempre più insopportabile, portandolo ad agire sempre in modo più sconsiderato anche durante le razzie.
L'unica consolazione era il fatto che stava accumulando ricchezza, ma anche in questo caso il conflitto era devastante. In cuor suo sapeva che tutto quello che stava facendo non era per il bene della sua gente, come era solito fare, ma sperava di riuscire a spendere quella piccola fortuna per annientare Boyd Manner.
«Gunnar, amico mio.» Disse appoggiando energicamente la mano sulla spalla del vichingo.«Mi sembra un ottima giornata per partire verso sud, non trovi?» Si sedette al tavolo per consumare la sua seconda colazione, dopo quella liquida che si era scolato prima di scendere dalle sue stanze.
«Perfetta direi. Sei Pronto? Questa volta si fa sul serio. Re Harald sarà contento di conoscerti finalmente!»
«Non vedo l'ora!»
Gunnar rise chiassosamente.
«Sei davvero fatto per il Walallah, giovane Heron!»
Hemma lanciò un occhiataccia al padre e guardò con apprensione il suo compagno.
«Porterai degli uomini con te?»
Chiese Ian in tono freddo.
«Non saprei Ian. Te lo dico subito.» Si alzò in piedi sulla panca creando con le mani una coppa intorno alla bocca. «Allorà amici miei? Chi verrà con noi a rubare un po' oro dalla testa di re Arold oggi?»
Un paio di tavoli scoppiarono in urla di clamore
«Io vengo solo se andiamo a rubare ancora qualche vacca a quel maiale di Ranulf!» Urlò uno dei suoi uomini.
«Così rischiamo di farlo dimagrire. Non gli resterà più niente da mangiare!» commentò un altro.
Blake si rimise a sedere e rise, ma incrociò lo sguardo truce di disapprovazione del fratello. Le mura di Bebbamburgh era note per la loro inespugnabilità quindi lui e Gunnar si erano limitati a saccheggiare le sue proprietà di tanto in tanto, anche se entrambi anelavano a sbudellare quel lurido pachiderma.
«Bene ci vediamo tra poco, giù nella corte» Disse abbandonando la sua colazione. Lo stomaco gli si era già chiuso in preda alla morsa della collera nei confronti di Ranulf. Si stava incamminando verso l'uscita del salone quando sentì il fratello urlare.
«Blake, dobbiamo parlare prima della tua partenza.»
«No, Ian. Non serve. Hai la mia piena fiducia su qualsiasi questione. Sentiti libero di amministrare e comandare gli uomini che rimarranno qui come preferisci.» E se ne andò.
Unah scosse la testa recuperando la colazione avanzata del suo Signore.
«Avete sentito quelle poverette ieri sera? Non riesco più a vederlo comportarsi così. Non lo riconosco davvero più e sembra peggiorare ogni giorno.»
«Finirà per farsi ammazzare prima o poi, e tu padre ne sarai complice se continui ad incentivarlo così.» Disse Hemma con tono di rimprovero.
«Che male c'è ? E' esattamente quello che vuole. Senza contare che i migliori guerrieri sono quelli che non hanno paura della morte in battaglia. E' chiaro che a quel ragazzo non gli è rimasto più niente.»
«Non sono ancora sicuro che sia così.»
Ian non voleva contraddire apertamente il padre di Hemma
«Non riesco a smettere di pensare che c'è qualcosa nel comportamento di Eeda che non mi torna.»
«Cosa hai in mente Ian?» Chise la danese.
«Diamo tutti per scontato che Eeda sia già stata uccisa da suo padre o da Ranulf, ma continuo a pensare al fatto che abbia detto che per un po' l'avrebbero trattata bene. Non so cosa volesse dire, ma in effetti Boyd ha ripreso Aidan sotto i nostri occhi, solamente per aver strattonata. Vi ricordate?»
«Come facciamo a sapere se è ancora viva?» Lo incalzò Jamie.
«Due mesi fa, ho mandato uno degli uomini di Dug ad arruolarsi tra le guardie di Boyd fingendosi un contadino di Edwin. Speravo mi facesse avere sue notizie prima della chiamata di Re Harald e di Tosting in modo da trattenere Blake qui a Berwick, ma per ora non ho ricevuto nessun segno. Credo sia giunto il momento di andare di persona a Roxbourgh.»
«Non è prudente, Ian. Se Boyd ti scopre porrà fine alla sua tregua.»
«Starò attento. Andrò in incognito non ti preoccupare.»
«Verrò con te» Disse prontamente Jamie.
«Non puoi esporre i tuoi dubbi a Blake. Magari mettendogli la pulce nell'orecchio potrebbe decidere di non partire?»
«Hemma, sono mesi che cerco di parlare con lui, ma continua a fare di tutto per stroncare qualsiasi conversazione sul nascere. Non riesce nemmeno più a guardami in faccia. Sa benissimo che vorrei spronarlo a sperare. Fargli capire che Eeda non lo avrebbe mai tradito in quel modo, senza una valida ragione. Ma è proprio per questo che mi evita.»
«Povera Lady Eeda. Prego ogni sera che sia ancora viva e che stia bene. Chissa cosa le sarà successo.» Anche Unha non credeva assolutamente che avesse potuto tradirli.
***
Un piccolo bozzo si intravide dal tessuto leggero della camicia da notte facendola sorridere e colmandole il cuore di gioia. Ma le lacrime si fecero inevitabilmente subito strada tra le sue guance mentre si accarezzava amorevolmente la pancia. Per mesi era riuscita a mantenere un certo distacco all'idea della creatura che stava crescendo dentro di lei.
Aveva fatto di tutto per convincersi che era solo un contenitore di quel piccolo esserino. Voleva evitare qualsiasi coinvolgimento in quanto probabilmente non le avrebbero permesso nemmeno di tenerlo in braccio, se non per qualche breve istante dopo il parto.
Una volta finita la sua funzione di genitrice l'avrebbero uccisa o peggio ancora Ranulf l'avrebbe fatta sua schiava facendole subire le depravazione più inconcepibili.
Si era illusa che rimanendo fredda e impassibile nei confronti di quella gravidanza il distacco sarebbe stato più semplice, sia per lei che per la creatura.
Ma al primo calcetto, ogni sua volontà crollò lasciando spazio ad una gioia immensa nel sentire il suo piccolo muoversi dentro di lei. Era l'unica sua compagnia. L'unica interazione che non fosse fredda ed ostile. Si ritrovò quindi ad immaginarsi con uno splendido bambino paffutello tra le braccia, a loro volta avvolte da quelle di Blake, mentre le baciava la nuca e le sussurrava quanto l'amasse.
Aveva deciso che se davvero le rimava poco da vivere, voleva dare a quella creatura tutto l'amore che poteva prima che le venisse strappato via. Fantasticava di crescere suo figlio a Berwick assieme a Blake. E non di rado sognava di fare l'amore con lui, svegliandosi spesso in piena estasi preoccupandosi che quelle involontarie esplosioni di piacere facessero male alla creatura.
«Ciao, mio piccolo Heron!» Si accarezzò nuovamente la pancia sentendo che suo figlio si stava apprestando a sferrare un altro colpo.
«Sei davvero forte come il tuo papà, sai?»
Di tutta risposta si intravide distintamente la sagoma di una manina esattamente nel punto dove lei aveva picchiettato il palmo della mano.
La carne che separava il suo grembo dalla sua pelle si era assottigliata parecchio in quei mesi. Era dimagrita a causa della sofferenza che le procurava il ricordo dello sguardo di Blake in preda alla disperazione per il suo tradimento.
Il suo volto si era scavato e le sue curve, ad eccezione della pancia e del seno, si erano ridotte nonostante mangiasse abbondantemente. Le serve provvedevano ad alimentarla più che correttamente, non aveva subito maltrattamenti da nessuno e non vedeva Aidan da giorno della sua resa.
Così come il padre non le aveva mai fatto visita. Una volta ogni tre settimane, quando la levatrice si impuntava, le permettevano di passeggiare per i giardini dentro le mura di Roxbourgh. Suo padre era stato di parola. Aveva promesso che l'avrebbe trattata bene per tutta la durata della gravidanza. Era suo pieno interesse che la figlia mettesse al mondo un nipote sano, grazie al quale avrebbe reclamato le terre del suo eterno avversario. Tuttavia Eeda sperava con tutto il cuore che Blake, una volta venuto a sapere di suo figlio, avrebbe trovato il modo per sottrarlo a suo nonno e farlo crescere con lui a Berwick. Una volta soddisfatta la sete di vendetta di Ranulf, Boyd non avrebbe più potuto contare sulle guarnigioni di Bebbamburgh e Heron avrebbe potuto avere la meglio su suo padre.
«Sono sicura che un giorno conoscerai tuo padre, piccolo mio» sia accarezzò nuovamente la pancia guardando fuori dalla finestra.
Le guardie spalancarono la porta rompendo quell'attimo di intimità tra lei e suo figlio, che in preda al sussulto della madre si immobilizzò nel suo grembo. Sull'uscio della stanza comparve la levatrice. Era un donna molto rude, ma con alle spalle una grandissima esperienza. Era convinta che un po' di moto, rendesse più forte i piccoli nascituri e agevolasse il parto.
«Andiamo Eeda, ti aspetta una bella camminata oggi.»
Ecco finalmente un po' di aria fresca piccolo Heron! Si disse sperando che suo figlio sentisse anche i suoi pensieri.
Scortata da due guardie, passeggiò lungo le mura dove una lunga striscia di prato si allargava creando un perfetto campo per il tiro con l'arco. Si era allenata per anni in quella corte e ora le piaceva soffermarsi a vedere gli addestramenti.
«Spero che tu sia forte con la spada come tuo padre e bravo con l'arco come la tua mamma, piccolo mio. Sarai invincibile!»
Per abitudine prese ad analizzare il movimenti dei tiratori.
«Devi tenere di più su quel gomito.» Parlò di getto senza renderse conto. L'arciere posto nella seconda base di tiro abbassò le braccia tenendo l'arco in tensione e si voltò verso di lei. Spalancò la bocca e il suo volto si fece pallido dalla sorpresa. Eeda riconobbe subito il giovane. Aveva insegnato lei a quel ragazzo a tenere in mano l'arco. A Berwick.
«Ah lascia stare, è la figlia di Boyd. Ha sempre pensato di essere la reginetta degli arcieri.»
«Ma è...»
«Incinta, sì! Sei davvero perspicace ragazzo. Te lo hanno mia detto? Perché credi che quella lurida traditrice sia ancora in vita altrimenti?»
«Si, Giu-Giusto» Il giovane riprese la posizione di tiro. Scoccò la freccia sul bersaglio e si voltò nuovamente a guardare la donna.
Eeda mosse lentamente il capo portandosi sulle labbra il dito indice e tenendo la mano sulla sua pancia implorandolo con lo sguardo di non far parola con nessuno riguardo il suo stato.
Era certa che se Blake avesse saputo che era ancora viva e per di più incinta avrebbe tentato un azione suicida nel tentativo di liberarla. Non poteva permetterglielo. In quel caso suo padre non avrebbe avuto bisogno nemmeno del nipote per annettere le terre di Heron alle sue e di conseguenza l'avrebbe uccisa senza permetterle di mettere prima al mondo il nipote.
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