Capitolo 9: STORIA IMPROBABILE
"Chi sei tu?".
La mia voce è terrorizzata mentre i miei occhi lanciano uno sguardo fugace alla porta e uno alla finestra per scoprire che entrambe sono chiuse proprio come le ho lasciate.
"Come hai fatto ad entrare?".
Il ragazzo si mette in piedi e si passa una mano dietro al collo. Si guarda intorno, incerto e confuso più di quanto non lo sia io.
"Hai sbagliato stanza? Sei ubriaco?" riprendo a gridare, impugnando il bastone da cheerleader abbandonato da Ashley accanto all'armadio.
Il tipo mi guarda con una strana espressione, la fronte aggrottata e le labbra arricciate. Fa un passo verso di me mentre io ne faccio due indietro, tenendo alta la difesa. Ad ogni suo ulteriore movimento agito il bastone, muovendo di conseguenza anche i pon pon verdi fluorescenti appesi ai lati.
"Stai calma" dice lui, mettendo le mani avanti e tentando di placare la mia irruenza. "Per favore, stai calma".
Non è così facile starsene calmi mentre sei da sola, di notte, con uno sconosciuto nella tua camera da letto. E se questo strano soggetto fosse fuggito da un reparto psichiatrico? O da una seduta di alcolisti anonimi? E se fosse armato? Tutte queste domande mi fanno scoppiare la testa. Mi sembra di impazzire.
"Esci, per favore, esci dalla mia stanza!".
Quanto vorrei che Ashley fosse qui con me e non ad una stupida festa in spiaggia a smaltire un'insensata sbornia. Inizio a pregare che arrivi il prima possibile. Nel frattempo, il militare approfitta del mio abbassamento della guardia, fa un balzo verso di me e mi disarma abilmente.
"Che razza di arma è questa?" scaraventa lontano l'attrezzo.
In preda al panico urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni, con la speranza che ci sia qualcuno nel comprensorio in grado di sentirmi.
"Non ho alcuna intenzione di farti del male" mi grida in faccia lo sconosciuto, afferrandomi per le braccia. "Non sono un pazzo o un ladro, ho solo bisogno che ti calmi e che mi aiuti!".
Le sue mani forti e ruvide abbandonano la mia pelle. Resto immobile, senza fiatare, e mi limito a sostenere l'asciugamano che avvolge il mio corpo. Sento il respiro corto, come tagliato a metà. Osservo l'uomo indietreggiare fino a rimettersi seduto sul letto. Poso lo sguardo a terra. Solo adesso mi rendo conto della presenza di un borsone e di una bambola di pezza ai suoi piedi. Compio ampi respiri, cercando di riprendere coscienza del mio corpo e della mia mente. Pian piano la paura si allontana e la mia voce esce di nuovo alla ricerca di risposte.
"Cosa ti è successo? Cosa ci fai qui?".
Il militare alza lo sguardo nel mio, lentamente. Un brivido mi sale lungo la schiena fino alla nuca. I suoi occhi sono magnetici, di un azzurro così profondo da annegarci dentro.
"Io non ne ho la minima idea".
***
Un quarto d'ora dopo sono in jeans e maglietta, seduta vicino al misterioso individuo.
"Dunque, come ti ho spiegato sono appena tornato dall'Italia. Ho viaggiato per giorni insieme agli altri compagni. Tu non puoi capire quello che abbiamo affrontato; la guerra, quando la vedi da vicino è così... così... cruda e forte e ti coinvolge a pieno. E poi, quando finalmente sono giunto a casa, ecco che succede tutto questo! Io non so spiegarlo meglio di come te l'ho già narrato... tu, tu non mi credi. Mi stai guardando come se fossi un pazzo!".
Sbatto le ciglia, perplessa dalla storia che continua a ripetere il ragazzo al mio fianco. Non posso smettere di osservare la sua sacca e la bambola di pezza che vi è posata sopra; il regalo per la figlia. E se fosse davvero uno squilibrato? Se lo stessero cercando in tutto il continente? Forse dovrei provare ad accendere il televisore. Sposto l'attenzione dai suoi effetti personali al volto del ragazzo. In realtà non sembra un pazzo, sembra soltanto un giovane stanco e impaurito.
"E' colpa di questo stupido orologio" continua a dire, maneggiando la strana collana che tiene tra le mani. Da quando è piombato in questa stanza, non l'ha lasciata per un solo istante. "Doveva essere un semplice regalo per mia moglie, invece mi ha risucchiato. Mi ha rapito e mi ha catapultato fino a qui" si lamenta.
"E' una storia abbastanza improbabile, convieni? Tu che piombi nella mia stanza del college e dici di star tornando dalla guerra. Dici di avere una moglie e una figlia che non hai mai conosciuto... di essere stato catturato da un... orologio?".
Il militare si gratta la testa. "In effetti, messa così sembra surreale ma...".
"Siamo nel 2017" lo informo, "il mondo non è appena uscito da una guerra, se escludiamo quella al terrorismo ovviamente!".
"Duemila... diciassette?". Gli occhi chiari del giovane si dilatano contro i miei.
"Sì, per essere precisi il 21 settembre 2017, anzi 22 considerando che è già passata la mezzanotte" sbircio il calendario sul mio comodino.
Il ragazzo si mette in piedi e comincia a muoversi nella stanza con passi lunghi e decisi.
"Non è possibile, non è possibile" ripete come un disco rotto. "Duemiladiciasette. Duemiladiciasette!".
"Già" sospiro.
"Dimmi che stai scherzando, io... io vivo nel 1945!" si agita sempre più. "Usciamo. Vieni, usciamo fuori. Devo tornare a casa, devo..." mi prende per un braccio, tirandomi verso la porta.
"Ehi, ehi" punto i piedi a terra. "Non ho nessuna intenzione di girare per Jacksonville di notte. Tra poco tutti torneranno dalla festa in spiaggia e io non voglio trovarmi in nessun altro posto se non nel mio letto".
"Ma devi aiutarmi!".
"Non devo aiutarti. Io non ti conosco neanche, sei apparso dal nulla e dici cose insensate. Hai un taglio di capelli fuori moda e una divisa da guerra. Cosa pretendi che faccia?".
Il militare mi guarda ancora con quei suoi occhi magici, poi sbuffa, solleva lo sguardo al soffitto ed esce, lasciando che la porta si chiuda proprio davanti alla mia faccia.
Resto a guardare il poster di Marilyn Monroe appeso per due buoni minuti, frastornata da quello che è appena accaduto. Non sto diventando matta e neanche sognando. Sono sconvolta e non faccio altro che ripetermi che va tutto bene. Mi sposto nella stanza senza una meta precisa, sono le due della notte quando bussano alla porta. Il militare da come era uscito rientra.
"Siamo davvero nel futuro. Ci sono palazzi alti fino al cielo e auto che sembrano astronavi, ci sono ragazze quasi nude in giro!".
Lascio che il giovane si sieda di nuovo sul letto, questa volta su quello della mia compagna.
I suoi occhi vagano intorno alla stanza, dal televisore al frigobar, dalla divisa da cheerleader appesa alla maniglia dell'armadio, agli indumenti che indosso, focalizzandosi sulle mie Sneakers di tela.
"Scarpe-da-ginnastica" scandisco sillaba per sillaba, riportando l'attenzione su di me.
"Non sono straniero e so cosa sono un paio di scarpe da ginnastica" dice lui, "solo non avevo mai visto un modello simile. Perché non porti un paio di calzature da donna?".
Mi guardo i piedi, fissando le stringhe allacciate. "Sono da donna" dico, "vedi? Hanno anche i brillantini laterali!".
Lui solleva le sopracciglia perplesso, poi tira fuori dalla tasca la collana con il pendente a forma di orologio e riprende a girarla tra le mani.
"Cosa intendi fare?" gli chiedo, focalizzandomi sull'oggetto.
Il ragazzo infila la catena in tasca, si toglie il cappello e lo posa sul comodino, infine si sdraia sul letto e sospira: "Credo proprio che ci penserò domani".
Dopo pochi istanti i suoi occhi si chiudono e il suo respiro si fa pesante. Deve essere davvero molto stanco. Mi soffermo un attimo a guardare l'uomo che si è appena addormentato sul letto con l'innocenza di un bambino. Mi incanto sul suo volto, nascosto dalla fitta barba, non rasata da giorni e giorni, e penso che è perfetto, così preciso da sembrare disegnato da un abile pittore. Le sue guance sono rosee, esattamente come le sue labbra. Non ho mai visto qualcuno di più bello prima di adesso. Neanche Hunter ha un viso così lineare e nemmeno Zac o Ed. Nessuno.
Mi avvicino con cautela, senza distogliere lo sguardo dalla sua espressione rilassata. Allungo le mani sulle sue gambe e gli slaccio le scarpe. Le lascio cadere sul pavimento, prima una e poi l'altra. Sono pesanti scarponi foderati e se Ashley li vedesse posati sul suo piumone ricamato le prenderebbe un infarto. Le calze del ragazzo sono bucate sul tallone e la caviglia destra è costretta dentro una fasciatura.
Deglutisco, mentre il mio stomaco si stringe come un limone spremuto. La guerra. Un combattente della seconda guerra mondiale.
E' chiaro che tutto questo è irreale, addirittura impossibile. Forse domani sapremo spiegarci ogni cosa. Forse alla luce del giorno ogni piccolo pezzo del puzzle tornerà al suo posto.
Stendo sul corpo del soldato una leggera coperta di cotone. Le mie dita si avvicinano al suo viso per spostare una piccola ciocca di capelli che gli è finita sugli occhi. Compiono il gesto lentamente, per poi allontanarsi con sveltezza lasciando il cuore a mille.
Spengo la luce e mi stendo nel mio letto.
Il chiarore della luna che penetra dalla finestra illumina il profilo dello sconosciuto che riposa nel letto affianco, al posto della mia compagna di stanza. Ho gli occhi sbarrati, incapaci di chiudersi un po' per la paura un po' per lo shock. Pian piano il mio sguardo si ambienta alla penombra, finendo dritto sulla targhetta della sacca del militare.
"Ian Somerhalder" leggo.
Un bellissimo nome. Penso.
Davvero un bellissimo nome.
Poi anche i miei occhi si chiudono.
NOTE AUTRICE:
Ciao lettori,
Finalmente l'attesissimo Ian è arrivato.
E che entrata in scena! Chi farebbe a cambio con Holland per trovarlo nella propria stanza? :)
Da oggi aggiornerò spesso così vi terrò compagnia nelle vostre vacanze estive.
A proposito... dove andrete di bello?
Baci baci
Serena
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top