Capitolo 69: NEW YORK
Salire su un aereo, sorvolare l'oceano, attraversare le nubi e addormentarmi con la testa sulla spalla di Ian sono le cose più spaziali e al contempo rilassanti che abbia mai fatto nella mia vita. Atterriamo a New York nel tardo pomeriggio, dopo quasi tre ore di volo. Ian è piuttosto spaesato nel caos dell'aeroporto. La struttura è enorme e dispersiva ed ogni volta anche io stessa devo seguire le indicazioni per raggiungere il ritiro bagagli. Mentre aspettiamo che i nostri trolley compaiano sul nastro scrivo un messaggio a mio fratello, avvisandolo del nostro arrivo.
"Scott e Taylor ci aspettano al parcheggio" comunico al mio compagno di viaggio, leggendo la risposta tempestiva.
Ian annuisce, infila le mani nelle tasche e mi sorride. Sostengo il suo sguardo cercando di capire quali siano le sensazioni che prova in questo momento. Deve sentirsi decisamente scombussolato e sballottato; per il viaggio e per tutti i cambiamenti che sta vivendo. Anche io mi sento così, ma mi sento anche tanto felice di essere a casa, al sicuro. Decisamente al sicuro. Lasciare la Florida è quasi una liberazione, è come riprendere aria dopo un tuffo in piscina. La perfidia di Tom è a chilometri di distanza, anche se la ferita che ho dietro alla coscia mi ricorda che il dolore mi seguirà in qualsiasi luogo del mondo, anche il più lontano. Se ripenso a ieri sera mi sale l'emicrania. Penn, nonostante il suo elevato tasso alcolico, ha capito che c'era qualcosa che doveva sapere. Ha riconosciuto Felton e ha voluto conoscere il perché di tanto accanimento. Credevo che una bella dormita avesse potuto fargli dimenticare tutta la vicenda, ma non è stato affatto così. I suoi ricordi erano confusi, ovviamente, ma c'erano. Così, proprio questa mattina, io e Ian, di comune accordo gli abbiamo spiegato tutto; perché Tom Felton vuole farci del male e perché siamo in pericolo. Adesso, oltre a me, Ashley e Evan, anche Penn conosce la vera identità di Ian. E, proprio come tutti noi, è rimasto letteralmente, giustamente, decisamente perplesso e scioccato. Sì, forse scioccato è la parola migliore. Tutti i suoi problemi con Ashley e con America gli sono sembrati improvvisamente piccoli e inesistenti.
Distolgo la mente dai ricordi e osservo il nastro che sputa fuori le valige, una dietro l'altra con una lentezza disarmante. Fremo dalla voglia di correre fuori e abbracciare la mia famiglia così, non appena scorgo il manico del mio trolley color ciclamino mi lancio immediatamente ad agguantarlo. Subito dopo arriva il bagaglio di Ian. Percorriamo il corridoio a passo svelto ma, prima di mettere il naso fuori dalla porta, Ian mi blocca, afferrandomi per un braccio.
"Holland, aspetta"
Nel girarmi gli vado a sbattere contro il petto. Mi ritraggo all'istante, avvampando come una stupida.
"Che succede?" Ancora i miei occhi nocciola si perdono nell'azzurro che più azzurro non esiste.
Ian aggrotta la fronte e mantiene salda la presa su di me. "Cosa diciamo alla tua famiglia? Di me...intendo?"
Schiudo le labbra e arriccio il naso. In effetti non abbiamo parlato di questo; cosa dire o non dire a mio padre e ai miei fratelli circa l'identità di Ian. Ci siamo lasciati prendere dalla foga del viaggio, della partenza, dimenticandoci di mettere in piedi un piano o almeno una versione condivisa da entrambi.
"Dirò loro che sei uno studente della Jacksonville, un mio compagno di corso e che desideravi tanto visitare New York. Vedrai, i miei saranno felici di conoscere un mio amico"
Ian mi studia, dubbioso. "Dirai loro una bugia"
"Non è importante"
"Sei sicura?"
Muovo la testa in un cenno affermativo. Non si tratta di una vera e propria bugia. Io e Ian siamo davvero amici, il fatto che non frequentiamo entrambi la Jacksonville è solo un piccolo particolare e anche il fatto che lui sia piombato nella mia stanza con un orologio incantato è anch'esso un piccolo particolare.
"Sono molto nervoso, credi che sarò all'altezza?"
Mi lascio sfuggire un sorriso e riprendo a camminare fino all'uscita. "La mia famiglia è semplice e alla mano, nessuno ti giudicherà, stai tranquillo!" gli strizzo un occhio.
Ian mi segue. La luce dei lampioni, i fari delle auto e il freddo del giorno che si prepara alla sera, ci investono come un boomerang. Mi chiudo la sciarpa intorno al collo e osservo divertita Ian imitarmi nel gesto. Individuo l'auto di mio fratello in sosta dietro ai taxi in fila.
"Di qua!" faccio gesto a Ian di seguirmi. Non facciamo in tempo a raggiungere la vettura che Scott e Taylor balzano giù, lasciando le portiere aperte.
"Sorellona!!!" Taylor mi stringe al suo corpo così forte che per poco rischio la rottura di un paio di coste, poi mi spinge lontano per potermi guardare in faccia, ma invece di continuare a sorridere ed esultare per la felicità di rivedermi dopo tanto tempo, caccia un urlo bestiale. "Ma che ti è successo?" scruta il mio occhio nero.
Lancio un rapido sguardo a Ian, che è rimasto un passo dietro a me. Scott si avvicina a noi, guardando ora me ora lo sconosciuto che mi sono portata dietro.
"Abbiamo avuto un incidente, ma davvero piccolo piccolo, niente di grave..." butta là Ian, cercando il mio consenso.
"Sì" annuisco. "Davvero niente di serio. Stiamo bene, a parte qualche livido..."
"Perché non ci hai detto niente?" mi rimprovera Scott.
"Vi avrei fatto spaventare senza motivo" faccio spallucce. Mio fratello minore arriccia il naso, proprio come faccio io quando sono nervosa o sto pensando a cosa sia meglio fare poi, senza stare più a pensarci sopra, mi tira verso di sé.
"Coraggio, fatti abbracciare"
Dopo le presentazioni e la sistemazione delle valige nel bagagliaio, saliamo in auto, diretti verso casa. Ian e Scott siedono davanti. Io e mia sorella invece ci posizioniamo nei sedili posteriori.
"Holland, ma dove hai trovato quel ragazzo? E' davvero un figo pazzesco, se in Florida ci sono ragazzi del genere il prossimo anno farò anche io domanda per un college da quelle parti..." mi bisbiglia Taylor all'orecchio, fissando il suo bersaglio in modo alquanto imbarazzante.
Per fortuna Ian non si accorge di niente, preso com'è a guardare fuori dal finestrino. La città è un gioco di luci e rumori. I grattacieli. Le strade immense. E' New York.
"E dimmi un po'...da quanto tempo state insieme?"
Rivolgo a Taylor il mio sguardo peggiore. "La vuoi piantare? Io e Ian siamo soltanto amici..."
Lei allora solleva le sopracciglia con fare scettico. "Amici?"
"Amici" confermo.
Il suo sguardo malandrino mi fa quasi paura. I suoi occhi, di un castano poco più scuro del mio, passano di nuovo in dettaglio il corpo del ragazzo seduto davanti.
"E' felicemente fidanzato" la metto in guardia, onde evitare spiacevoli malintesi come è successo in precedenza con Ashley. Meglio mettere in chiaro le cose fin da subito.
Taylor posa la nuca contro il poggiatesta e molla un sospiro profondo. "I ragazzi migliori sono sempre delle altre"
"Già" annuisco. E come posso darle torto!
Scott guida per un bel tratto di strada. La prima periferia della metropoli ci accoglie con i suoi garage e i suoi edifici dai muri scrostati e rimessi a nuovo. I murales fanno casa e anche le insegne che conducono allo Zoo. E' buio e bande di ragazzini, prostitute e gente poco affidabile affollano il quartiere. Sono felice di tornare a casa, anche se è quasi come una coltellata dritta al petto. Il ricordo di mamma brucia quanto una scheggia di fuoco nel cuore.
"Siamo quasi arrivati" ci informa Scott, attraversando la lunga via di ranch e giardini.
Ian si sgranchisce le braccia, emettendo un lungo sbadiglio. Mio fratello accosta di fronte alla fila dei cancelli bianchi. Mi fa uno strano effetto essere di nuovo qui. Sono passati quindici mesi da quando sono partita per il college, praticamente una vita.
"Papà e Ryan sono fuori per una consegna, torneranno domani sera. Sarà la festa a sorpresa migliore del mondo. Già immagino la faccia di papà quando ti vedrà, non crederà ai suoi occhi!"
Parcheggiamo e scendiamo i bagagli, ci avviamo verso l'entrata rintanati dentro alle nostre sciarpe di lana. Non è facile abituare il proprio corpo ad uno sbalzo termico così importante. Sembra di stare al Polo Nord, accidenti!
"E così questa è casa tua..." Ian si guarda intorno curioso e affascinato. I suoi occhi vagano nello spazio e si soffermano su ogni minimo particolare; dallo steccato al dondolo sotto al loggiato, dalle lucine natalizie all'immondizia abbandonata lungo il vialetto.
"Non è un granché, lo so..." convengo. Il paragone con le dimore affacciate sulle spiagge dell'Atlantico non è neanche proponibile con il ranch dalle assi di legno scorticato nel quale stiamo entrando, ma è il posto dove sono nata e cresciuta, è il nido della mia famiglia.
"E' molto accogliente invece..." dice Ian. La sua espressione non sembra molto convincente, ma fingo di credergli.
All'interno più o meno è rimasto tutto come l'ho lasciato; la cucina e il piccolo soppalco, il divano al centro della stanza e il televisore ormai da antiquariato.
"Ti accompagno nella mia stanza" Scott si rivolge a Ian, facendogli il gesto di seguirlo. "Ho messo un materasso a terra tra il mio letto e quello di Ryan. Non abbiamo camere degli ospiti, dovrai abituarti a sopportare il mio respiro pesante, scusami ma soffro di adenoidi da quando sono piccolo e, sai com'è, la notte tendo a russare un po'"
Lancio a Ian uno sguardo di incoraggiamento, mentre Taylor mi fa segno di seguirla verso la nostra stanza. "Hai procurato tappi auricolari per il tuo amico? Ultimamente Scott sembra una ruspa a cigolato, papà sta cercando di convincerlo a fare l'intervento al naso e Ryan si imbottisce di valeriana prima di coricarsi"
Poso il trolley sul mio vecchio letto e mi guardo intorno. Le pareti dipinte di rosa e i quadretti appesi mi rimandano indietro nel tempo. Prendo la foto sul comodino e la seguo con la punta dell'indice; mia madre e il mio primo giorno di scuola. Chiudo gli occhi cercando di non piangere.
"Ti manca molto, vero?" Taylor siede nel suo letto a gambe incrociate.
"Già"
"Manca tanto anche a me"
Poso il quadretto dove l'ho trovato e cerco la forza necessaria per affrontare i miei giorni qui a New York. Ho voglia di stare con la mia famiglia, ma ho anche improvvisamente tanta paura di ricadere nel tunnel buio della paura. In questi mesi ho lottato, l'ho fatto per mio padre, ce l'ho messa tutta per evitare l'alcol, il fumo, la pazzia che mi ha incartato la vita, ma un conto è combattere a chilometri di distanza, un conto è tornare ad affrontare la realtà toccandola con mano.
"Sei sicura di stare bene?" Lo sguardo di Taylor è preoccupato.
Annuisco, ma lei indugia maggiormente e alla fine non resiste e mi chiede: "Sorellona, dimmi la verità, non hai ripreso a bere o a fumare o..."
"Ehi, Tay, stai tranquilla, va tutto bene, sono soltanto stanca per il viaggio ed emozionata di rimettere piede a casa, niente di più. Sto bene adesso..."
Taylor mi scruta con l'attenzione di una donna saggia e provata. Il suo volto è pallido, i suoi capelli sono ricci e ramati, dello stesso colore dei miei. I suoi lineamenti sono quelli di una ragazza di soli diciotto anni, ma per il coraggio che tiene ne dimostra almeno venticinque.
Non ha dato un segno di cedimento, mai, neanche quando nostra madre è morta. Nonostante fosse stata lei a chiamare i soccorsi, nonostante fosse soltanto una bambina è riuscita a rimanere sempre con i nervi ben saldi, a differenza di me, che mi sono persa come un'incapace.
"Se lo dici tu, hai la faccia strana e non solo per il livido, c'è proprio una luce diversa nei tuoi occhi..."
Sospiro, lasciandomi cadere nel letto. Mi stendo, appallottolando il cuscino sotto alla testa. "Sono cambiate molte cose da quando sono andata via..."
"Abbiamo tutte le vacanze davanti, mi sono mancate le nostre confidenze..." sorride.
"Anche a me" ammetto.
Taylor si tira le labbra con gli incisivi e lascia che le sue guance si colorino di un rosa pastello. "Sai, Holly, anche a me sono successe molte cose in quest'ultimo anno"
Nel riflesso dei suoi occhi e nella luce che trasmettono scorgo che c'è qualcosa di nuovo anzi, qualcuno di nuovo.
"Come si chiama?" indago.
Taylor ride forte. "Chi ti dice che si tratta di amore?"
"I tuoi occhi parlano, cara sorellina! Allora? Sputa fuori il rospo!"
Taylor scuote la testa, gettandosi anche lei indietro nel suo letto. La sua nuca affonda nel cuscino e i suoi capelli si sparpagliano ovunque in una fitta nuvola rossa. Le poche lentiggini sul suo naso si accendono. "E va bene, il suo nome è Robert. Robert Pattison"
Il mio cuore ha un fremito. "Vuoi dire il mio amico Robert Pattison? Il proprietario del bar?"
Taylor annuisce. "Mi è stato molto vicino dopo che sei partita per il college. E alla fine, stai vicino oggi e stai vicino domani, è nato qualcosa"
"E'...è...sono senza parole..." ammetto.
"So cosa stai pensando sai...quello che pensano tutti, anche le mie amiche, che è troppo grande per me, ma noi due ci amiamo e non ci lasceremo ostacolare dai pregiudizi degli altri..."
"Io...Tay... ecco, io non stavo pensando questo, cioè, è vero, tra te e Robert ci corrono molti anni, ma non c'è niente di male, è che..."
"Lui è un ragazzo speciale e io ho intenzione di portare avanti la nostra storia. Vogliamo sposarci e avere una famiglia tutta nostra. Robert ha intenzione di chiedere la mia mano a nostro padre la vigilia di Natale. Facciamo sul serio, sai!"
La grandezza delle parole di mia sorella, l'entusiasmo del suo primo amore si scontrano con le mie paure. Robert è un ragazzo apposto, quello che ha sempre rigato dritto anche quando io ero nella merda più totale. Quello che mi ha tirata fuori dai guai un sacco di volte, ma è davvero la persona giusta per mia sorella? Mi sento strana, quasi gelosa o iperprotettiva, non so distinguere bene la cosa. Forse è solo il fatto di vedere Taylor così presa a mettermi a disagio, l'ho lasciata che era una bambina e la ritrovo con i sogni di una donna.
"Sono felice per te, sorellina" improvviso un largo sorriso.
"Sapevo che mi avresti capita. Oh, sapessi quanto lo amo!" schizza via dal suo letto e balza nel mio. In un attimo le sue braccia sono abbarbicate al mio corpo in un abbraccio da vero e proprio polipo umano.
Robert e mia sorella.
Ancora non riesco a crederci...
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