Capitolo 63: SOLTANTO UN FANTASMA

La storia di Ashley e Daren va avanti più del previsto. I giorni passano e la ragazza impeccabile, sincera e sognatrice che credevo di conoscere, si allontana da me, trasformandosi pian piano in una vera e propria estranea. La nostra amicizia si sgretola come un castello di sabbia brutalmente calpestato; non studiamo più insieme, non ci confrontiamo, a malapena restiamo qualche minuto nella stessa stanza. Ashley passa il suo tempo a dormire, allenarsi e pomiciare con il giocatore tutto muscoli. I due non si preoccupano più di nascondersi nel parcheggio o nei dormitori, la loro storia è ormai sotto gli occhi di tutti. Una cheerleader e una guardia tiratrice. Roba scontata. Roba da dilettanti.

Una mattina, l'ennesima in cui Ashley torna al dormitorio femminile all'alba, barcollando verso il letto e con gli occhi gonfi e cerchiati di chi ha passato la notte in piedi a fare chissà cosa, non riesco a trattenermi. Aspetto che chiuda la porta e balzo giù dal letto. Le vado incontro, l'afferro per un braccio e la guardo dritta negli occhi. Le sue pupille sono dilatate al massimo.

"Holland, che cazzo fai?" si dimena per fuggire dalla mia presa.

"No, tu che cazzo fai? " La affronto a brutto muso.

"Lasciami stare, tornatene a letto!" grugnisce lei di rimando. La sua voce è impastata, le sillabe si sovrappongono le une alle altre, rendendo l'intera frase artificiosa e priva di enfasi.

"Sono le sei del mattino, dove sei stata tutto questo tempo?" La scuoto per le spalle. Non avrei mai pensato che un giorno sarei stata io quella dall'altra parte; quella capace di fare una predica, quella che si preoccupa per qualcuno al quale tiene davvero.

Ashley stringe gli occhi contro i miei e sputa fuori: "Cosa ti frega dove sono stata? Non sei mica mia madre, cosa vuoi dalla mia vita?"

"Non sono tua madre, ma sono una tua amica e ti voglio bene" la riprendo.

"No, tu non sei una mia amica. Io non ho amici. Io non ho nessuno, vuoi farlo entrare in quella testa da ficcanaso che ti ritrovi?"

"Sì, invece, sì che lo siamo. Noi due siamo amiche, Ashley"

"Lo eravamo" stringe lo sguardo contro il mio. "Adesso sei solo un'estranea per me"

"Okay, okay, non ti ho detto di Penn, ti ho nascosto una cosa importante, ma ti ho chiesto scusa. Per quanto altro tempo dovrai farmi pagare questa cosa? Non mi parli da giorni, fingi che non esista e mi tieni il muso, credo di aver scontato già abbastanza la pena, adesso è il momento di finirla!"

Ashley emette una risata a dir poco inquietante se non addirittura diabolica.

"Una parolina buona, una manciata di scuse, è così che fate pace voi OUT? Nel mio mondo non funziona in questo modo, mi dispiace"

Sostengo il suo sguardo a lungo, fin quando riesco a resistere, poi stringo forte le dita sulle sue spalle e infine mollo la presa.

"E sentiamo, com'è che funziona nel mondo degli IN, si porta rancore in eterno?"

"Tu non sai niente del mio mondo, Holland Roden"

"So che ti sta distruggendo" dico, voltandole le spalle. Solo restare a guardarla mi fa un male assurdo.

"Niente è capace di distruggermi perché niente esiste davvero. L'amore non esiste e neanche l'amicizia. Sono un flop totale"

"Non credi all'amore ma passi le notti con Daren" poso una mano contro la parete e cerco di mantenere la calma. La mia testa, ancora intontita dal sonno, sembra pesare più del dovuto.

"Tra me e Daren non c'è amore" La freddezza delle sue parole mi arriva dritta al cuore. "Lui mi serve per dimenticare Ed, per dimenticare il cavaliere mascherato, per dimenticare le tue bugie, Holland. Per quanto possa sembrare assurdo, Daren è l'unica persona in grado di capirmi"

"Daren non è un buon soggetto" mi giro, questa volta appoggio la schiena contro il muro.

"Daren è Daren e con lui non avrò sorprese" replica.

"Fa uso di cocaina!"

"Appunto!" solleva le sopracciglia. "Conosco già il suo peggior difetto, cosa potrebbe esserci di più grave?"

Socchiudo gli occhi e lascio uscire un respiro mozzato: "Più grave di uscire con un ragazzo che si droga? Che inizi ad usarla anche tu"

Ashley distoglie lo sguardo. "Tu sei fuori" si dirige verso il letto, vola via cuscini e pupazzi, si sfila gli stivali e si intrufola vestita dentro le lenzuola.

I primi raggi del sole fanno capolino nella stanza. Gli occhi della bionda si chiudono mentre i miei restano aperti più che mai. Mi sento responsabile di tutto questo. Mi sento colpevole delle sue scelte sbagliate. So cosa significa vedere tutto nero. So cosa significa essere infelici e non scorgere via d'uscita. Ci sono passata anche io, sono annegata nell'alcol e nella disperazione. Ho toccato il fondo per poi provare a risalire. Mi rivedo in Ashley. Mi rivedo nella sua disperazione. Nei suoi occhi stanchi e impauriti. Mi rivedo in ogni suo gesto. Lentamente mi accoccolo davanti a lei che dorme. Le sfioro i capelli sparsi sul cuscino e penso che le voglio un gran bene. Non mi importa se mi odia. Passerà. Ed io non mi lascerò allontanare dalla sua aggressione. Le starò vicino e la aiuterò. Una bugia a fin di bene non può rovinare un'amicizia così come l'amore non può rovinare una persona. La droga invece può farlo. La droga può fare davvero molto. Ed io ho una gran paura che sia già in circolo il suo effetto.
***

Dopo le lezioni della mattina vado all'hotel Clarke. Sono giorni che non vedo Ian. A quanto pare si è rifugiato nel lavoro, unico sistema per non pensare alla sua situazione e per trascorrere nel modo più sereno possibile le ore che lo separano dal responso di Daniel. Quando entro nella hall c'è un bel gruppo di turisti in fila alla reception con valige grandi quanto case. Mi intrufolo tra la folla e chiedo al portiere dove posso trovare il collega. L'uomo mi indica il piano superiore.

"C'è un convegno medico nella sala riunioni. Credo che Ian sia lì"

Salgo i gradini velocemente e seguo le persone che si muovono con in mano una valigetta o un tablet. Non ho mai visto la stanza conferenze e devo dire che è piuttosto ampia e importante. Una donna parla al microfono su un piccolo palco di legno. Cerco di fare silenzio, muovendomi adagio tra le sedie. Individuo Ian in piedi vicino alla porta di uscita secondaria. E' vestito in giacca e cravatta, perfettamente in tiro per l'occasione.

"Ehi" lo raggiungo.

Ian mi guarda sorpreso, smorzando un sorriso.

"Non starai lavorando un po' troppo?" Il mio è quasi un bisbiglio.

"Può darsi" dice lui, continuando a sorridere. "Tra dieci minuti qui è tutto finito. Ti va di aspettarmi?"

Annuisco, restando in piedi al suo fianco. I presenti applaudono per il discorso finale della signora in tailleur rosa e tacchi a spillo. La tipa sembra avere una vaga somiglianza con la regina Elisabetta e il paragone mi suscita una certa ilarità. Dopo che la speaker dai vestiti confetto abbandona la scena, ringraziando tutti i presenti per la partecipazione, Ian apre la porta e vi resta alcuni minuti vicino, assicurandosi che non ci siano problemi con l'uscita delle persone. La folla si dirada, fino a lasciarci da soli nella stanza. Ian tira fuori dalla giacca un grande mazzo di chiavi, ne sceglie una e la gira nella toppa, chiudendoci dentro. Guardo il suo gesto sconcertata e confusa.

"Così non ci disturberà nessuno" mi strizza un occhio.

Lo seguo mentre va a sedersi su una delle sedie dove poco fa erano accomodati gli spettatori. Incrocia le braccia al petto e stende le gambe avanti.

Resto in prossimità dell'uscita, immobile come una statua.

"Hai intenzione di rimanere lì per molto? Le sedie sono comode, sai?"

Mi avvicino cautamente e studio il ragazzo bello ed elegante che mi sta chiedendo di accomodarmi al suo fianco. E' una situazione strana. Molto strana. Sento ancora addosso il peso delle parole che gli ho detto, la mia confessione e quello che ne è scaturito subito dopo. Come un flashback recente rivivo la mia fuga dalla cena, la nostra discussione al dormitorio e gli occhi supplicanti di Ian che mi chiedono di fare pace. Già. Pace. Siamo in pace adesso, ma forse solo apparentemente. Dentro di me è guerra aperta. Un subbuglio totale. E, per un istante, quasi mi pento di essere venuta fino a qui.

"Non voglio rubarti del tempo" cerco un modo per rompere la spessa lastra di ghiaccio che ci separa. "Ho solo bisogno di chiederti un consiglio. Non so con chi parlarne e..."

"Io sono qui" dice con ovvietà.

Faccio un passo avanti e poi un altro ancora. Cerco il coraggio di avvinarmi al bellissimo ragazzo che mi fa battere il cuore. Non voglio sembrare troppo stupida o impacciata.

"Si tratta di Ashley. Lei ecco, è una lunga storia..."

"Ho una mezzora di pausa, pensi che possa bastare?" mi sorride.

Ricambio il sorriso, imbambolandomi davanti alle sue labbra rosee e carnose. Dio, quanto pagherei per poterle sentire sulle mie!
Darei tutto per un bacio, anche piccolo, anche minuscolo. Sarei disposta soltanto a sfiorarle appena.

"Hai davvero deciso di restare in piedi per tutto il tempo?" chiede, distogliendomi dalle mie palpitanti fantasie.

Afferro la spalliera di una delle poltroncine e mi lascio cadere sopra. Ian è a pochi centimetri da me, pronto ad ascoltarmi.

"Ho il sospetto che Ashley faccia uso di droga" dico tutto d'un fiato.

Lui mi guarda accigliato.

"Daren, ricordi? La notte di Halloween, il ragazzo vestito da pugile che hai trascinato di peso fino al dormitorio maschile? Ashley e lui hanno iniziato ad uscire insieme ed io sono molto preoccupata. Ashley salta le lezioni e torna all'alba in uno stato pietoso. Abbiamo litigato ultimamente ed è stato per colpa mia. Le ho nascosto di Penn, io conoscevo l'identità segreta di quel ragazzo. Sapevo che era lui il cavaliere mascherato ed avrei dovuto dirglielo! E poi è entrato in gioco Daren, come ho potuto lasciare che quei due continuassero a vedersi? Non ho fatto niente per impedire questa situazione, sono rimasta a guardare....io...è colpa mia...è solo colpa mia..." porto le mani al viso e scoppio a piangere.

Ian avvicina la sedia alla mia. Mi prende le mani e fa sì che le tolga dal viso. "Ehi, calmati, shh" mi avvolge tra le sue braccia, avvicinandomi al suo torace.

"Ti macchierò la camicia così..." farfuglio tra le lacrime.

"Non fa niente" La voce di Ian tra i miei capelli è appena un sussurro. Ed il mio cuore prende a battere come se volesse uscire dal petto. Chiudo gli occhi e ispiro a fondo, immagazzino l'odore dei vestiti, della pelle,
della semplice presenza del ragazzo che mi sta consolando. Afferro tutti questi odori e li chiudo a chiave dentro uno scrigno nella testa.

Quando i miei singhiozzi si esauriscono, Ian mi asciuga gli occhi con il suo fazzoletto di stoffa. "Non avevi smesso con questi pasticci?" mi ripulisce le labbra dal rossetto.

Osservo il colore macchiare il cotone e poi torno di nuovo a guardare il volto di Ian. Nei miei occhi così come nel mio cuore c'è scritto il perché. Ogni perché. Anche se poi il vero motivo del mio nascondiglio dietro il troppo rimmel è uno solo: l'amore non corrisposto della mia anima gemella.

"Vuoi spiegarmi meglio cosa è successo tra te e Ashley?"

Tiro su con il naso e annuisco. In breve gli racconto tutto, di come la mia compagna di stanza si sia persa con Daren, dei miei sospetti circa l'uso di cocaina anche da parte di Ashley e della faccenda di Penn. Questa storia degli OUT e degli IN ha stravolto le nostre vite, letteralmente. E insieme ad essa le bugie e le parole non dette.

"Dovresti andare a parlare con il coatch della squadra di basket. So che non ti piace fare la spia, che non hai prove concrete e sufficienti per accusare quel ragazzo, ma dovresti provarci. Daren è implicato in un brutto giro e questo lo sanno tutti, i suoi amici, il suo compagno di stanza, lo sappiamo noi. Quell'uomo dovrebbe fargli delle analisi del sangue, dovrebbe allontanarlo dalla squadra e forse anche dal campus"

"Hai ragione" rifletto. "In fondo non si tratta di fare la spia, ma di pensare al bene di una persona, di un' amica...o almeno spero che un giorno Ashley torni a considerarsi come tale"

"Mi sembra una buona idea" sorride.

"E' una tua idea" gli ripasso il fazzoletto.

Ian lo prende e lo rimette in tasca. "Hai ragione, le mie sono sempre delle buone idee!"

Gli mollo una pacca sulla spalla, accusandolo di eccessiva modestia. Ian si lascia colpire una, due, tre volte. Alla quarta si volta e, con mia grande impreparazione e sorpresa, inizia a farmi il solletico. Le lacrime ricompaiono nei miei occhi, ma questa volta non è dolore o infelicità. Rido e corro via, cercando di sfuggire alle sue dita, alla sua frenesia, che mi rincorre per metà stanza. Sposto un paio di sedie e fuggo dietro al piccolo soppalco in legno. Ian mi raggiunge, mi spinge fino al muro e riprende a farmi il solletico.

"Basta, basta, ti prego, sto morendo!"

Lui si ferma. Mi guarda dritto negli occhi e storce appena la bocca di lato. "A me non sembra. Sei fresca come una rosa"

Riprendo fiato, ma è solo un istante. Poi le sue dita tornano a muoversi sopra i miei fianchi e sulla mia pancia.

Non ho mai riso e pianto e implorato qualcuno così tanto come in questo momento. Scivolo a terra sfinita. Ian si posiziona al mio fianco. Posa la testa al muro e cerca di riprendere a respirare normalmente.

La sua mano si adagia sulla mia, sopra al mio ginocchio.

"Posso tornare a chiamarti piccola Holland?" chiede, nascondendo il fiatone.

Mi volto di scatto verso di lui. Il mio cuore si stringe.

"Puoi" affermo.

"In questi giorni non sono riuscito a non pensare a noi, alla leggenda che ci lega e a quello che mi hai detto..."

"Non preoccuparti, va tutto bene. Non voglio la tua pietà. Posso sopportare un cuore spezzato" La mia voce ha un suono aspro, quasi acido. Il palmo di Ian resta incollato al dorso del mio.

"Non si tratta di pietà" dice lui, "siamo entrambi nella stessa situazione"

"Non è così"sfilo la mia mano da sotto alla sua. "Io provo qualcosa per te, mentre tu ami tua moglie, ma non preoccuparti posso farcela. Non corri nessun rischio standomi vicino. Non ti salterò addosso, se è di questo che hai paura"

"Non ho paura di te" dice lui, sfiorandomi il braccio con un dito. "Sei l'unica cosa bella che mi sia successa piombando qui, non finirò mai di ripetertelo"

Deglutisco a fatica e chiudo gli occhi. Mi accontenterò di questo. Devo. Non ho scelta. In fondo io non lo amo. Non lo amo. Non lo amo. Anzi lo amo. Lo amo da morire.

"Adesso è meglio che vada" torno in piedi.

Ian mi segue, cercando nel mazzo la chiave giusta. Prima di inserirla nella toppa però mi trattiene per un braccio.

"Non appena Daniel avrà trovato la soluzione io tornerò a casa e tu potrai riprendere in mano la tua vita. Ti dimenticherai di me e ti concentrerai soltanto sulle cose davvero importanti, lo studio, Evan o chiunque altro vorrai avere accanto"

Vorrei te. Ma sono soltanto dettagli.

"Ho deciso di prendermi una pausa con Evan. Continuare ad uscire con lui non mi è sembrata la cosa più giusta da fare. Sono troppo confusa e deconcentrata. Evan ha bisogno di una persona meno complicata vicino a se"

Lo sguardo di Ian brilla dentro ai miei occhi. "Ti prometto che un giorno la tua vita tornerà quella di prima"

"Quella di prima non era poi un granché" convengo.

Ian si avvicina di un passo. "Vorrei essere l'uomo che desideri. Vorrei poterti rendere felice, perché renderebbe felice anche me. Vorrei essere tutto quello che ti aspetti da me. O anche solo un tuo coetaneo"

"Ma tu sei un mio coetaneo" gli faccio notare. " E sei anche la persona che mi renderebbe felice"

Ian stringe forte la mascella e scuote la testa. "Io sono soltanto un fantasma"

Le sue dita girano la chiave. La porta si apre con un click sottile. Ian si incammina nel corridoio ed io lo seguo appena dietro.

"Sei un fantasma. Sei il fantasma più bello, più affascinante, più attraente, più irraggiungibile e più complicato che abbia mai conosciuto" sussurro con un filo di voce a dir poco impercettibile.

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