Capitolo 61: I PRINCIPI AZZURRI NON ESISTONO
Nel fine settimana non vedo né sento Ian, trascorro il mio tempo con Ashley e con i libri. Neanche Evan si fa vivo tra un'ora e l'altra di lezione. Sembra improvvisamente risucchiato dalla clinica nella quale svolge il suo tirocinio. Dalla clinica o da Karidja? Evito di pormi il problema. Sono stata io stessa ad allontanarlo, quindi non sono fatti miei di sapere con chi trascorre le sue giornate. Il sabato sera decido di andare a riprendere tutte le mie cose all'hotel. Il pericolo Tom Felton pare improvvisamente essersi acquietato. So bene che non c'è da abbassare la guardia e nemmeno da cantare vittoria, ma forse essere andati allo studio del padre ed avergli fatto capire che siamo abbastanza forti lo deve aver calmato un po', almeno apparentemente. Ian non è molto d'accordo sul mio nuovo trasferimento al campus, ma non insiste neanche più di tanto nel trattenermi. Il suo atteggiamento mi facilita le cose, ma mi rende anche un po' triste. A quanto pare non gli importa davvero molto di me. I sentimenti per sua moglie sono autentici come continua a ripetere costantemente, mentre nei miei confronti non c'è assolutamente niente. Così, dopo le sue solite raccomandazioni ad Ashley, di stare all'erta e di non lasciare che io resti mai da sola, permette al mio trolley di varcare la soglia della mia stanza e, con esso, anche tutta la tristezza che porto nel cuore. Resto chiusa in camera per tutta la domenica, ascolto la musica e rifletto su un mucchio di cose. Da Ian a Evan, dal mio piano di studi alle vacanze di Natale sempre più vicine. Mi manca casa. Mi manca come non mai. Ho bisogno di abbracciare mio padre, i miei fratelli e mia sorella. Ho bisogno di aprire l'armadio di mia madre e annusare i suoi vestiti e i suoi maglioni. Ho un estrema voglia di sentire il freddo invernale di New York gelarmi le ossa. Voglio indossare il mio cappellino di lana e bere caffè bollente al locale del mio amico Robert. Poco più di un mese e tutto questo sarà possibile. Il mio volo per la Grande Mela è sulla scrivania che mi aspetta, appeso tra la foto di mia madre e quella di papà. Proprio lì davanti ai miei occhi.
La settimana riprende a rallentatore. Le lezioni sembrano non finire più e tra le ragazze si parla solo e soltanto del futuro matrimonio di Zac e Phoebe. I due passano nei corridoi mano nella mano come pappagallini inseparabili. Sono nauseanti e decisamente esuberanti.
Poi, un mercoledì pomeriggio, io e Ashley, uscendo dal laboratorio, ci imbattiamo in America e Penn. Non posso fare a meno di fermarmi a salutarli. Sono giorni che non incontro un volto amico e la loro visione è quasi un toccasana.
"Holland, come va?" Penn mi abbraccia con entusiasmo. Anche America si stringe a me, anche se con molta meno energia.
"Si tira avanti" improvviso un sorriso. "E voi?" studio meglio i loro abiti. Non hanno la divisa, ma un paio di pantaloni scuri e delle giacche piuttosto eleganti, con maniche grandi e frange sulle tasche. "Dove siete diretti?"
Penn guarda Ashley, intenta a scorrere il dito sul telefonino, completamente estranea alla nostra conversazione. Anche America stringe lo sguardo contro la bionda, ma a differenza del compagno, sembra volerla annientare con una sola occhiata.
"Stiamo andando al compleanno del cuginetto di America" dice Penn.
Ashley alza gli occhi sui due ragazzi, solleva le sopracciglia e li squadra dalla testa ai piedi con espressione scettica.
"Con quegli abiti non vi farebbero entrare neanche alla mensa dei poveri" spara, tornando a guardare lo schermo del suo Smartphone.
E' un attimo. Le parole di Ashley restano a ballonzolare tra noi per alcuni secondi, giusto il tempo di dare modo ad America di realizzare il vero senso della frase, poi, come un vortice in mezzo al mare, esplode: "Ti fanno così schifo i nostri vestiti, principessina sul pisello? E dimmi un po', ti facevano così schifo anche quelli del cavaliere mascherato con cui hai ballato tutta la sera alla festa di Halloween? Puzzava di OUT anche lui oppure avevi il naso otturato da tutto il profumo che metti?"
Improvvisamente sento freddo alle ossa. Il volto di Penn si fa pallido come uno straccio. Il braccio di Ashley si abbassa, mentre i suoi occhi si sollevano su quelli della bruna di fronte. L'apparecchio ai denti di America brilla di una goccia di odio e soddisfazione. I suoi occhiali sono storti per la troppa energia che la ragazza impiega nel parlare. Non si ferma, la sua bocca non si arresta affatto. Attende che i nostri cervelli elaborino le informazioni per poi aggiungere la stoccata finale.
"Quella maschera apparteneva a Penn. Il tuo cavaliere mascherato, quello che sei andata cercando per tutto questo tempo, quello che dici qua e là di amare è Penn. Non te l'ha detto la tua amica Holland? Non l'ha fatto? Credevo che voi due vi dicesse tutto e invece..."
Il mio cuore è colpito da una fitta, come una freccia scoccata da un arco preciso ed esperto, dritta, proprio al centro del muscolo involontario.
Gli occhi di Ashley si scuriscono. L'azzurro si trasforma in un blu cobalto, quasi notte. Si spostano da quelli furiosi di America a quelli scioccati e impauriti di Penn. E infine alla desolazione dei miei. Alcune ragazzine si soffermano a pochi passi da noi. Si tappano la bocca e spalancano gli occhi, assumendo l'espressione di chi è quasi felice nel ritrovarsi ad assistere ad una simile commedia.
"Io...Ashley, io...mi dispiace.." La voce di Penn trema, mentre i suoi piedi indietreggiano di un paio di passi. "Non avresti dovuto farlo" dice duramente alla sua storica amica del cuore.
America incrocia le braccia al petto, solleva il mento e si volta dall'altra parte. Penn fugge via, amareggiato, colpito e affondato in pieno.
"Mi dispiace che sia andata così" dice America, rivolgendosi a noi. "Non ho mai creduto alle favole, mi dispiace che qualcuno ti abbia insegnato il contrario, bambolina, ma nella vita vera il principe azzurro non esiste"
Guardo la ragazza procedere verso l'uscita. A quanto pare non ho mai conosciuto la vera America. Questa non è la ragazza che ho salvato alla festa in spiaggia, non è quella sola ed emarginata che credevo di conoscere. Questa è una America vendicativa e cattiva, una America che non pensavo potesse esistere.
Torno a prestare attenzione ad Ashley, che non smette di scuotere la testa, frastornata e incredula. Mi avvicino a lei, le poso una mano sulla spalla, ma finisce soltanto per essere respinta.
"Mi hai presa in giro" afferma con durezza. "Tu sapevi di Penn e me lo hai nascosto. Ed io, come una stupida, mi sono sfogata con te per tutto questo tempo..."
"Non ti ho presa in giro" cerco di rimediare al male ormai commesso. "Volevo solo che fosse lui a dirtelo, è stata la tua serata speciale, avevo paura che tu potessi rifiutarlo..."
"Ed infatti è quello che farò!" grida. "Io mi fidavo di te, Holly, invece ti sei soltanto presa gioco di me"
In un lampo scappa via. Provo a fermarla, ma non ci riesco. Le corro dietro fino a metà cortile, poi la vedo saltare su uno dei bus. Il veicolo chiude le porte e si immette nella corsia principale.
"Al diavolo!" esplodo. Colpisco un sasso con la scarpa e lo lancio così lontano che non sento neanche il rumore quando cade al suolo.
"Brutta giornata, eh!"
Dietro di me ci sono Ed e Felicity. L'espressione sulle labbra del ragazzo è più un ghigno che un sorriso. La coppia se ne va via a braccetto ed io mi chiedo cosa mai Ashley possa aver trovato in quel tipo per stare con lui un intero anno scolastico.
***
La sera aspetto che Ashley torni in stanza, ma non lo fa né per cena né nelle ore successive. Sono preoccupata, oltre che amareggiata e schiacciata dal senso di colpa. Ho provato a chiamarla, ma ogni volta scatta la segreteria. Giro e rigiro il cellulare tra le mani. Dove si sarà cacciata tutto questo tempo? Sarà con Phoebe adesso? Resterà con lei oppure sarà andata da Daren? O da Evan? Forse dovrei telefonare a lui. Cerco il suo numero in rubrica, ma poi non riesco a schiacciare il tasto di chiamata. Siamo in pausa e, anche se si tratta di una vera e propria emergenza, non voglio coinvolgerlo nei nostri guai. Poso il cellulare sulla scrivania, fermandomi a osservarlo. E' stato generoso Evan a farmi un regalo del genere, ma adesso che tra noi è tutto bloccato, dovrei forse restituirglielo? Oppure dovrei semplicemente tenermelo e fare finta di niente? Non ci siamo lasciati, non ci siamo mai neanche messi insieme. Questo apparecchio non è da considerarsi un regalo tra fidanzati. E poi è davvero un bel telefono, molto meglio di quello che è finito nel cesso per colpa di Felton. Pensare a quel ragazzo mi procura brividi ovunque. Decido di scacciarlo dalla testa e chiudermi bene a chiave dentro la stanza. Mi addormento vestita e con la luce accesa. Alle tre meno dieci mi sveglio e poi anche alle quattro e mezza. Mi giro e rigiro nel letto, senza trovare pace. Quando le mancate speranze si sono ormai confuse con il sonno pesante, la porta si apre e un rumore mi fa balzare di colpo a sedere sul materasso. Ho il cuore che viaggia come un treno e la fronte imperlata di sudore.
"Ashley, sei tu" espiro, portando una mano al petto.
"Fino a prova contraria questa è la mia stanza" L'acidità nella sua voce mi sconvolge ancor più di quanto non lo sia già.
"Dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare. Perché sei fuggita in quel modo e perché hai staccato il cellulare?"
"Quante domande, Holland, mi fa male la testa" grugnisce, sfilandosi gli stivali.
Seguo la figura della mia compagna muoversi nella stanza. Non sembra molto stabile. Le sue gambe si spostano con lentezza e la sua testa pare improvvisamente piuttosto pesante. Ashley si sgranchisce il collo e le spalle poi si avvicina al letto, cercandolo nel buio. Barcolla e inciampa sui suoi stessi piedi.
"Ashley, hai bevuto?"
Lei non risponde. Sposta indietro il corpo, fino a raggiungere il materasso con il sedere. Mi allungo verso l'interruttore.
"Spegni questa maledetta luce!" mi fulmina con uno sguardo mai visto prima di adesso. Le sue pupille sono piccole, sembrano quasi due punte di spillo e i suoi occhi sono circondati da un inquietante alone violaceo.
Faccio come dice e la stanza piomba di nuovo nel buio.
"Mi dispiace per quello che è successo. Mi dispiace davvero tanto" dico sottovoce.
Ashley balza di nuovo in piedi, questa volta senza alcuna esitazione. I suoi movimenti sembrano addirittura calcolati e precisi, mentre si avventa contro di me.
"E' troppo tardi per le scuse. Io mi fidavo di te, Holland! Io mi fidavo davvero, ma tu mi hai mentito, mi hai fatto credere al cavaliere mascherato come una stupida cretina!" La sua voce è graffiante e mi arriva dritta all'anima.
"Avrei voluto dirtelo, ma avevo paura di ferirti" mi difendo, appoggiandomi sui gomiti, per sfuggire al suo assalto. "Avevo paura di distruggere il tuo sogno. E poi sono anche amica di Penn. Lui mi ha chiesto di stare zitta. Quel ragazzo è sul serio innamorato di te, Ashley, stravede per te e vorrebbe soltanto che tu gli dessi una possibilità..."
"Quel ragazzo è uno scarto della società!" riprende a urlare furiosa. Il suo fiato mi arriva dritto in faccia, ma non sa di alcol. Nemmeno un po'. Ed io sono abbastanza capace a riconoscere una ragazza ubriaca, visto i miei precedenti. La cosa mi tranquillizza o forse mi spaventa più di quanto possa immaginare.
"E' solo un ragazzo, Ashley, un bel ragazzo che ti ha fatta ballare, che ti ha fatto credere in un sogno. In una speranza. Perché lo disprezzi tanto?"
"E' un OUT. E si è messo in un gioco più grande di lui!"
"Anche io sono una OUT" cerco di farla ragionare, "ma mi hai accettata. Non hai fatto tutte queste storie come per Penn"
"Credevo che tu fossi diversa, Holland, e invece sei soltanto una scalatrice sociale. Ho creduto in te, ma ho sbagliato"
Una lacrima mi solca la guancia. Sentire queste cose mi fa un male tremendo al cuore. Mi ferisce, letteralmente.
"Io ti voglio bene, Ashley"
Lei socchiude gli occhi, cercando i miei nell'oscurità della stanza. I suoi piedi indietreggiano, fino ad arrivare in prossimità della mia scrivania. Sfiora la foto dei miei genitori, il biglietto per New York poi, con un impeto di rabbia improvviso, forte e insensato, passa le braccia sul piano, scaraventando a terra tutto quello che vi è sopra. La sua voce esplode in un grido di dolore e angoscia da far saltare il cuore in gola.
"Non è vero! Non è vero!" urla, buttandosi a terra. "Tu non mi vuoi bene. Nessuno me ne vuole. Non è giusto! Non è giusto!"
La sua voce mi penetra dentro le orecchie, percorre i timpani fino al cervello. Senza riflettere un secondo in più mi getto su di lei. La abbraccio, avvolgendole il corpo. Schiaccio la sua schiena contro il mio petto così forte da smettere di respirare.
Ashley piange. Ed io le scanso i capelli e le sussurro all'orecchio: "Ehi, shh, basta"
Il suo corpo si riscuote un paio di volte. Tre singhiozzi lunghi e profondi, poi torna di nuovo a respirare normale.
"La mia vita è uno schifo. I ragazzi sono uno schifo e anche quelle che credevo fossero persone sincere sono uno schifo"
Stringo i denti e incasso il colpo. Ashley si libera del mio abbraccio, spingendosi in avanti. Resta in ginocchio a pochi centimetri da me.
"Io sono tua amica" sussurro.
"Un'amica non dice bugie" replica.
"Esistono bugie a fin di bene"
"Un'amica non dice bugie e basta" ripete, voltandosi e fulminandomi con lo sguardo. I suoi denti sono stretti e anche i suoi pugni.
Mi sollevo. Intorno a me c'è il caos più assoluto. Le mie cose, le mie penne, le mie foto sono sparse per tutta la stanza; gli appunti e i quaderni.
Ashley si alza un secondo più tardi. Mi guarda ancora dritta negli occhi e schiude le labbra: "L'amore non esiste e neanche l'amicizia"
Poi va in bagno e si chiude a chiave dentro.
Dalla finestra nasce il sole. Il cielo sopra Jacksonville si schiarisce pian piano.
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