Capitolo 45: ANGELO CUSTODE

Non ho mai pensato a come sarà la mia morte. In realtà, qualche volta è successo, ma non sono riuscita proprio ad immaginarmela.
Spesso ci sono anche andata vicina.
Un paio di coma etilici, a dire il vero, ma niente di irreparabile. Può darsi che non era giunto il momento opportuno oppure che il destino scritto per me fosse ben diverso. In fondo molto dipende dal destino. Due malviventi hanno portato via la persona più importante della mia vita, in un giorno qualunque, in un momento qualunque. Per sbaglio. Difficile non credere al destino, difficile non pensare che possa metterci mano o anche solo un paio di dita. Mamma era nel luogo, nell'attimo, nel raggio di azione sbagliato. Ed è stata la sua fine. A quanto pare per me la sorte ha in mente qualcosa di simile, qualcosa che non avrei mai potuto neanche sognare; morire per opera di uno squilibrato mentale solo perché sono vicina a una cosa che a lui piacerebbe avere; il pendolo, quel maledetto pendolo delle anime gemelle.

"Sei tu che hai cercato di avvelenarci?" riesco a biascicare, agitandomi come una furia. Le mie mani sono adese a quelle dell'aggressore e premono per liberarsi. Ci metto tutta l'energia che posseggo. Si dice che quando si sta per morire il corpo ne liberi davvero una quantità enorme ed è quello che sta facendo il mio in questo momento.

Tom Felton mi guarda e basta, senza rispondere alle mie supposizioni. I suoi occhi sono malvagi e furiosi, intenzionati a portare a termine quello che le sue dita stanno già facendo.

"Sei tu che hai messo sotto sopra la stanza di Ian?" Tossisco.

I suoi pollici premono in un punto ben preciso della mia gola. Il dolore supera qualsiasi altra cosa. Scalcio, ma le mie gambe vanno a vuoto. I miei occhi non vedono altro che quelli beffardi di Tom. Azzurri e velati di odio e voglia di vincere, mettendo in gioco tutto, anche le carte più corrotte.

Inizio a vedere sfuocato, la testa mi gira e le forze vengono meno. Smetto di agitarmi come un animale in gabbia e cedo alla violenza. Sto per arrendermi, per smettere di ricercare anche il più sottile spiraglio di ossigeno, quando la presa di Tom, come per magia, si allenta. Il rumore di una porta che si apre, dei passi e una voce lontana sfumano nel mio cervello, quel che basta per farmi capire che sono ancora viva e che qualcuno è entrato in bagno. Riprendo una boccata di aria, piena e corposa. Sono salva, lo sono davvero.

"Troverò il modo migliore per ucciderti, giuro che lo troverò!" Il tono di Felton è rabbia allo stato puro. Ed i suoi occhi sono stretti contro i miei, spiritati e iniettati di sangue. Le sue mani mollano definitivamente la presa attorno alla mia gola ed i suoi anfibi indietreggiano, fino a fuggire via.

Mi accascio a terra, le gambe non riescono a sostenermi e la testa mi dice soltanto che ha bisogno di tornare a ragionare lucidamente. Mi guardo intorno sorpresa, spaventata, totalmente disorientata.

"Holland, oh mio Dio!"

La voce familiare di Evan mi riporta al presente. Sento gli occhi riempirsi di lacrime, mentre continuo a emettere insistenti colpi di tosse.

"Holland, vieni qui. Non...non...oh mio Dio...non posso crederci. Cosa ti ha fatto quel ragazzo? Cosa?"

Mi brucia la gola e non riesco affatto a parlare. Mi stringo in un bozzolo di paura e lascio che Evan mi abbracci stretta.

"Non voglio pensare a cosa sarebbe potuto succedere se non fossi arrivato in tempo, proprio non posso pensarci" mi sussurra tra i capelli.

"Neanche io" riesco a buttar fuori con un flebile rantolo.

Evan mi abbraccia, sedendosi al mio fianco sulle mattonelle del bagno. La sua bocca aderisce alla mia tempia ed il contatto con le sue labbra calde mi rassicura.

"Avevate ragione tu e Ian a sospettare di quell'individuo. Stava per soffocarti, l'ho visto con i miei occhi. Che mi venga un colpo! L'ho proprio visto!" Evan non sembra darsi pace. "Dobbiamo denunciarlo, non può passarla liscia, quello è un soggetto pericoloso!"

"No, non possiamo" Vorrei piangere, ma è così difficile con la gola in fiamme. "E' complicato, il padre di Tom è un pezzo grosso mentre io e Ian non siamo nessuno. Io vengo dalla periferia di New York e Ian appartiene al passato, nessuno crederà alla nostra versione. Penseranno che siamo noi i matti!""

"Ci faremo aiutare dalla mia famiglia. Chiederò a mio padre e al padre di Ashley. Loro hanno agganci ovunque con avvocati e giudici e..."

"No, Evan. Non voglio fare nessuna denuncia. Questa faccenda riguarda soltanto Ian e il suo pendolo, non ho nessun diritto di interferire"

"Stai scherzando? Tom stava per ucciderti e ti ha minacciata che lo farà sul serio prima o poi! Questa vicenda non riguarda solo Ian, riguarda anche te! Riguarda tutti noi, in realtà. Siamo amici, ricordi? E da amico io..."

"Da amico voglio solo che tu mi stia vicino, proprio come stai facendo adesso" lo supplico.

"Questo non basterà a proteggerti"

Le mie braccia si stringono più forte al collo di Evan. Lui sospira ma si lascia andare alla mia richiesta di affetto, senza aggiungere un'altra parola.

Quando ci sciogliamo cerco il mio cellulare nello zaino, ma non lo trovo. Il cesso. Adesso ricordo. Durante l'aggressione è caduto proprio dentro la tazza ed infatti è li che si trova a sballottare in mezzo alle acque scure.

"Io devo chiamare Ian" affermo, seguendo la perdita definitiva del mio apparecchio.

Evan mi pone il suo cellulare. Mi sorride. Le sue labbra esprimono sensazioni così contrastanti che resto a guardarle per alcuni istanti; amore, tenerezza e tanta vitalità.

"Grazie" sussurro.

"Per un'amica questo e altro"
***

Evan mi accompagna nella mia stanza. C'è anche Ashley che ci ha raggiunti non appena ha appreso la notizia. I due cugini mi fanno stendere sul letto, mi portano dell'acqua fresca e un antidolorifico. Credo di aver bisogno anche di una buona dose di benzodiazepine, ma evito di parlargliene. Non ho mai amato prendere tranquillanti, solo qualche volta li ho mixati ai miei cocktail alcolici, ma è tempo passato ormai.

"Holland, come stai?"

La porta si apre, lasciando entrare il tornado Somerhalder. Le mani del ragazzo si piazzano all'istante sul mio viso. Lo scrutano, lo rigirano, sfiorando ogni centimetro della pelle per vedere se è integra. Passano in rassegna anche il collo e le scapole. Improvvisamente mi sento una piccola cavia da laboratorio.

"Mi dispiace. Non avrei dovuto chiamarti, lo so, eri a lavoro, ma ho avuto davvero tanta paura. Se non fosse stato per Evan sarei morta soffocata dalle mani di quello stupido viziato di Felton, mi stava uccidendo, Ian, mi stava letteralmente uccidendo!" esplodo in tutta la mia disperazione.

"Lo so, piccola Holland, so tutto" Ian si siede sul letto di fronte a me. Il suo incarnato è pallido quest'oggi, sembra quasi malato. "Io ho provato quello che hai provato tu mentre Felton ti stringeva la gola. Ho visto la mia vita davanti in un lampo, la bambola per mia figlia, mia moglie e il mio migliore amico. Ho visto i tuoi occhi chiedermi aiuto e ho pensato che fosse l'incubo peggiore della mia vita. Ho provato dolore"

Ashley fa un passo di lato, appoggia la schiena contro l'armadio e resta in religioso silenzio. Ian mi fa sbattere la testa contro i suoi pettorali. La sua vicinanza mi consola, anche se nessuno potrà mai cancellare la brutta sensazione che ho provato poco fa.

"Siamo legati, noi due siamo legati" mi sussurra all'orecchio. La sua voce si fa spazio tra i miei capelli. Mantengo l'orecchio premuto contro la sua camicia. Posso sentire il suo cuore che pompa e batte, batte e pompa. Forte.

"Non ti lascerò mai più da sola, farò in modo che ci sia sempre qualcuno insieme a te" allenta l' abbraccio e sposta l'attenzione verso la mia compagna di stanza, "non è vero, signorina Ashley?"

Lei si riscuote, non so a cosa stesse pensando, forse al suo amore platonico, al test di anatomia non perfettamente riuscito o semplicemente all'assurdità di tutta questa vicenda.

"Ovviamente" sorride di rimando.

"Non dovrai allontanarti da Holland neanche per andare a fare pipì" la ammonisce Ian.

"Non credi di essere un tantino esagerato? Io non riesco a fare pipì se mi guardano"

Evan si avvicina. Posa una mano sulla mia spalla, spostandomi i capelli di lato. Ian lo scruta attentamente. Le sfumature dei suoi occhi quasi si confondono tanta è l'intensità del suo sguardo.

"Sei stato il nostro angelo custode. Grazie, Etan" dice infine, alzandosi e stringendogli la mano.

Evan ricambia la stretta, evidentemente rassegnato a precisare il suo vero nome. I due ragazzi si guardano a fondo. Vorrei essere capace di entrare nelle loro teste, tra la materia grigia e le sinapsi e capire quali impulsi stiano generando. Sembrano studiarsi, indagare l'uno nella mente dell'altro o forse ancora più a fondo, giù nell'animo e nel cuore.

"Sei un angelo custode davvero figo" interviene Ashley, rompendo il silenzio ormai ai limiti dell'imbarazzo. "Non lo dico perché sei mio cugino. Io penso che tu stia crescendo davvero bene! E sapete cosa vi dico? Sto anche pensando che forse Zorro era il mio angelo custode, mi ha salvato la serata è poi è uscito di scena. Tutto torna, no?"

Evan e Ian rimettono le loro mani in tasca. I loro occhi adesso non sono più in sintonia, quelli di Ian tornano su di me, dopo aver lanciato un'occhiata di noia e ammonimento ad Ashley, che ha mollato un sospiro così lungo da smuovere il ciuffo sulla fronte. Gli occhi di Evan invece sono rivolti alla finestra. Guardano oltre i vetri e sembrano improvvisamente smarriti.

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