Capitolo 30: PACE FATTA
Quando apro gli occhi sono distesa su un letto piuttosto scomodo. Ho tutto il corpo dolorante e un pressante cerchio alla testa. Mi guardo intorno, la stanza è bianca, c'è poca luce ed è vuota, se non per un ragazzo seduto su una poltrona alla mia sinistra. Non appena sollevo la testa per capire di chi si tratta, lui si alza e mi viene vicino.
"Holland, ti sei svegliata..."
I suoi occhi azzurri e il suo cappellino con la tesa mi strappano un debole sorriso. "Evan" sussurro.
Il ragazzo posa una mano sui miei capelli, accarezzandoli. "Mi dispiace" La sua fronte si aggrotta in piccolissime rughe di espressione. "Mi dispiace davvero tanto. Non ti ho vista arrivare, sei sbucata all'improvviso! Io...oh Holland, perdonami, per favore"
Il chiasso della sua voce mi fa socchiudere gli occhi. "Dove sono?"
Evan si guarda intorno e poi torna su di me.
Le sue dita ancora incastrate dolcemente tra i miei capelli. "Hai avuto un incidente, ricordi? Ti ho investita con la moto e ti hanno portata in ospedale"
Il mio cervello sembra mettersi improvvisamente in movimento, come se queste poche parole abbiano avviato il motore, girato la chiave. Improvvisamente ricordo il litigio con Phoebe, il suo accusarmi di essere una bugiarda ed una puttana. L'arrivo di Penn e America e la mia fuga dal campus.
I miei occhi si spostano nella camera spoglia. Un brivido mi attraversa la schiena mentre ricordo il dolore provato nella caduta. Istintivamente mi guardo le mani. Sono fasciate. Sono completamente fasciate.
"Non hai niente di rotto" dice Evan, "hai avuto la prontezza di mettere avanti le mani. Te le hanno medicate, hai soltanto ferite superficiali e una ustione di secondo grado. Sai, l'asfalto..."
Giro e rigiro la destra e la sinistra fissando le bende bianche.
"Puoi perdonarmi, Holland? Puoi farlo?"
"Non c'è niente da perdonare, Evan, è solo colpa mia" affermo, "ero così fuori di me che ho attraversato la strada senza guardare. Tu non c'entri"
Il volto del ragazzo sembra rilassarsi un po'. La sua pelle assume di nuovo quella lucentezza che gli appartiene.
"Ho chiamato mia cugina, dovrebbe arrivare da un minuto all'altro"
Ashley. Ha chiamato Ashley. Le tempie riprendo a pulsare ritmicamente.
"Vuoi che faccia una telefonata alla tua famiglia? Vuoi che.."
"No" lo blocco. "Non voglio che mio padre si preoccupi, non ce n'è motivo, sto bene"
Evan smette di lisciarmi i capelli e porta le mani dentro le tasche dei jeans. "Credo che ti terranno qua per l'intera giornata, forse anche per la notte"
Apprendo l'informazione e rigiro ancora una volta le mani davanti agli occhi. A quanto pare la mia fuga non è andata come previsto.
La voglia di abbracciare mio padre è elevata all'ennesima potenza, adesso più che mai, ma non avrebbe alcun senso chiamarlo, si spaventerebbe soltanto.
Evan sembra scorgere nel mio sguardo un vago momento di assenza perché riprende a lisciarmi i capelli e si sbilancia anche a posarmi un bacio sulla fronte.
"Se ti fosse successo qualcosa di più brutto non me lo sarei mai perdonato" soffia sulla mia pelle.
La porta della stanza si apre con un debole crepitio, lasciando entrare la mia compagna di stanza. Ashley fa un paio di passi avanti cauta, quasi timorosa. Evan si volta verso la cugina, salutandola con un semplice sorriso.
"Holly..." dice, soffermandosi al mio capezzale. "Cosa hai combinato?"
I nostri occhi si incontrano e restano connessi a lungo, molto a lungo. So che lei non si riferisce soltanto all'incidente, ma al nostro litigio, alla nostra amicizia spezzata.
Le sue labbra si muovono in un debole sorriso. Improvvisamente non sembra più adirata, ma la solita amica di sempre.
"Mi dispiace" confesso.
Le iridi della mia compagna di stanza scintillano, abbassandosi sulle mie mani avvolte nella fasciatura.
"Mi dispiace per tutto quanto" continuo. "Ti ho mentito su tutta la mia vita, hai ragione ad essere arrabbiata con me"
Ashley sposta di nuovo l'attenzione sul mio volto. "Non fa niente" dice. La sua espressione si fa cupa, indecifrabile. Le sue labbra tremano mentre le sue spalle sono scosse da piccoli e ripetuti singhiozzi. "Mi hai fatto prendere uno spavento, diamine!"
In un lampo viene al mio fianco e mi butta le braccia al collo. Posso sentire le sue lacrime bagnarmi la maglietta, mentre il suo petto si muove a ritmo con un pianto incoercibile.
"Oh, Holly, ho avuto così paura!" singhiozza ancora.
"Va tutto bene, Ashley, sto bene"
"Non mi importa se sei del Bronx, non mi importa se non hai abbastanza soldi per un abito firmato e non mi importa neanche se Phoebe ha intenzione di farti la guerra. Io ti voglio bene ugualmente"
"Anche io ti voglio bene ugualmente" sussurro.
"Tornerai al dormitorio? La stanza è così vuota senza di te..."
Annuisco, lasciandomi sfuggire una lacrima. Il pianto di Ashley è piuttosto contagioso, così come il suo abbraccio e la sua voglia di tornare ad essere due amiche, questa volta sincere. Impossibilitata a stringerla a mia volta mi limito a posare il mento in cima alla sua testa. L'odore di shampoo e balsamo dei suoi capelli mi riempie i polmoni di buono.
Evan ci guarda in modo confuso. Sollevo le sopracciglia facendo spallucce.
"Credo di essermi perso alcuni passaggi" sistema la tesa del suo cappellino.
Un'infermiera accede alla stanza per accertarsi del mio stato di salute e rifare la medicazione. Ashley e Evan vengono fatti uscire. Non stento a credere che Evan nel frattempo venga opportunamente aggiornato da Ashley su ogni dettaglio del nostro litigio.
L'infermiera mi toglie le fasce. Vedere le ferite sulle mani mi scuote leggermente. I palmi sono intrisi di sangue rappreso. In alcune zone la carne è rosso vivo, in altre ha una strana consistenza giallastra. Quando le mani sono di nuovo avvolte dalle bende mi sento meglio. Poso la testa sul cuscino e chiudo gli occhi, aspettando che Ashley e Evan tornino nella stanza ma, invece dei due cugini, a fare ingresso in camera è Ian. Più che un ingresso è l'arrivo di un vero e proprio tornado.
Il giovane ha il fiato corto mentre si avvicina al mio letto, non parla, non muove un muscolo facciale, si limita a guardare me e le bende appena confezionate per poi mostrare le sue mani.
L'infermiera si blocca con il carrello in mezzo alla stanza e guarda il ragazzo con occhi sbarrati. Inutile dire che il mio cuore si mette a battere all'impazzata mentre il mio cervello cerca di realizzare quello che sta realmente vedendo.
I palmi di Ian sono feriti e coperti di sangue, completamente. Proprio come i miei.
Il mio respiro si ferma.
Oh mio Dio. Penso, ma non lo dico davvero, non ho affatto la forza per far uscire la voce.
***
L'infermiera medica le ferite di Ian borbottando: "I ragazzi di oggi! Voi e quei vostri skateboard, le moto, i pattini a rotelle! Trovate mille modi per farvi male. Pure con mio figlio è così! Dovreste prestare più attenzione, siete sempre distratti dai telefonini e dalle cuffie in testa"
Ogni volta che il disinfettante tocca la carne di Ian, lui stringe i denti. Il suo dolore è vivo, potente, lo percepisco esattamente come se fosse il mio. Sotto alle bende anche la mia pelle sfrigola e morde. Brucia. Brucia davvero molto.
"Si faccia vedere da un medico, le ci vorrà un antibiotico" dice la donna, riordinando tutto il materiale.
Ashley e Evan sono in piedi e osservano la scena con due occhi grandi quanto una casa. Sono allibiti esattamente come lo sono io.
"Grazie, signora" Ian fa un sorriso alla donna prima che lei se ne vada dalla camera. Le sue labbra si stendono in modo così bello che sono sufficienti per ripagare il lavoro fatto.
Non appena la porta si chiude, Ashley esplode: "Cosa significa tutto questo?"
"Come è possibile che lui abbia le tue stesse ferite alle mani?" chiede Evan, rivolgendomi i suoi impauriti occhi celesti.
Non ho risposte. Non ho assolutamente alcun tipo di risposta. Soltanto il buio completo. E a quanto pare anche Ian, che arriccia le labbra e contrae la mascella.
"Vorrei saperlo anche io " grugnisce.
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