Capitolo 5: DIECIMILA DOLLARI
Ian mi accompagna a lezione. Durante il viaggio, il solo argomento di conversazione è la macchina fotografica ricevuta in dono da Melinda. A quanto pare un banalissimo regalo gli ha migliorato l'esistenza. Guardo il mondo che si muove nelle strade di Jacksonville, mentre ascolto Ian blaterare che ha intenzione di frequentare un corso di fotografia per diventare bravo come suo padre.
"Quando tornerai indietro di quella macchina non te ne farai più niente. Nei tuoi anni nessuno conosce una mirrorless"
Ian mi guarda serio ed io mi sento quasi bene per averlo ferito. Fino a questa notte avevamo problemi molto più grandi di un futile corso di fotografia, ma dopo il buongiorno di Melinda, sembra quasi che quei dilemmi esistenziali non sussistano più.
L'auto accosta davanti all'entrata del college, faccio per scendere ma lui mi trattiene, aggrappandosi alla tracolla che porto. "Ehi, piccola Holland, cosa c'è?"
Lo guardo, sollevando appena le spalle.
"Sei sfuggente e pungente, perché?"
"Anche tu sei sfuggente" lo riprendo.
"Ti ho chiesto soltanto un po' di tempo, per favore."
"Non è facile dare del tempo ad una persona che ti accompagna a lezione, ti viene a riprendere, si addormenta al tuo fianco ogni notte"
"Hai ragione. Non è facile, ma possiamo farcela. Tu puoi farcela" I suoi occhi brillano, esortandomi ad annuire. Non ho scelta.
Non ne ho mai avuta.
La sua mano lascia andare la cinghia della mia borsa. Chiudo la portiera e guardo l'auto andarsene. Questa giornata non è iniziata esattamente nel migliore dei modi.
Quando arrivo all'armadietto, trovo Penn in mia attesa.
"Nessun commento sulla mia faccia!" lo ammonisco, prima che mi chieda come mai abbia gli occhi cerchiati e la fronte contratta.
Penn alza le mani, evitando di fare domande. Sbadiglia, attende che recuperi il mio materiale di studio, poi mi prende sottobraccio e mi conduce verso l'aula della prima lezione. La stanza è piena di studenti, vago tra i banchi alla ricerca di un posto libero. In prima fila c'è America, al solito banco. Ha messo la borsa e una pila di volumi nel posto affianco, così che non possa sedersi nessuno. Penn guarda dove guardo io e la vede, girata di spalle, intenta a leggere chissà cosa. Lui scuote la testa e procede nella fila successiva. il mio cuore si stringe. Ho sempre pensato che Penn e America fossero qualcosa di indissolubile, evidentemente mi sbagliavo. Evidentemente, in questo mondo, l'unità è soltanto un'utopia.
Nel pomeriggio, dopo la lezione frontale, ci dirigiamo in laboratorio. America finge di non vederci, passandoci vicino come se fossimo invisibili. Penn sospira e si siede al tavolo di lavoro al mio fianco. Per tutta l'ora ci aiutiamo a vicenda. Lavoriamo entrambi con la stessa tecnica di precisione, ricontrolliamo spesso i dati e condividiamo i risultati. Interagire con Penn mi fa immancabilmente pensare ad Ashley. Ho sempre fatto coppia fissa con lei e adesso mi manca come non mai.
"Holland, mi passi la micropipetta?"
Dove sei finita, Ashley Benson? Dove sei andata con quell'irresponsabile di Kagasoff?
"Holland, ehi, Holland..."
Perché hai avuto una reazione così esagerata nei miei confronti? Esiste il perdono.
Esiste l'amicizia...
"Holland...la micropipetta!"
"Cosa?" rivolgo uno sguardo stanco a Penn, cadendo quasi dalle nuvole.
"Devo trasferire questo liquido, ho bisogno della micro..."
"...pipetta...ovviamente, eccola!" gli passo lo strumento.
Penn la prende con la mano coperta dal guanto in lattice, la immerge nella provetta contenente acido cloridrico e tira indietro lo stantuffo, aspirando la dovuta quantità di microlitri. Gli passo un'altra micropipetta e lui compie lo stesso trattamento con la provetta dell'idrossido di sodio.
"E adesso passami i vetrini"
Lo faccio. Penn si impegna a depositarvi poche gocce di ciascuna soluzione. Tiene la lingua tra i denti e le sopracciglia crucciate. La sua mano non è stabile, anzi sembra emettere leggere vibrazioni tanto è tesa nell'azione.
"Sai, stavo pensando ad Ashley. Anche a lei trema sempre la mano quando è troppo concentrata..."
"Accidenti!" Penn lascia andare la micropipetta, la quale rotola contaminando il piano di lavoro. I vetrini cadono a terra e dobbiamo riprendere l'esperimento daccapo.
"Scusami, è solo che parlare di Ashley mi rende nervoso" si giustifica Penn.
"Non fa niente" raccolgo il materiale.
Il professore ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto, ma lo rimandiamo indietro. E' un esperimento banale. Verificare il Ph di una soluzione è una pratica da dilettanti e, se solo fossimo abbastanza concentrati, lo avremo già fatto.
"Sono molto preoccupata, ieri ho saputo che lei e Daren hanno deciso di tornare dalla Virginia in autostop"
Penn spalanca i suoi occhioni scuri. Ha più o meno la mia stessa espressione sgomenta nell'apprendere la notizia. "Perché non provi a chiamarla?"
Osservo Penn per un istante, poi mi sfilo i guanti e faccio il suo numero. So che durante la lezione è vietato l'uso del telefonino, ma si tratta di un'emergenza.
Una voce femminile registrata ripete all'infinito che l'utenza è staccata. Rimetto il telefono nella tracolla e sospiro, delusa. Evan me lo aveva detto. Il suo telefonino risulta staccato.
"Oh, Holland, saperla così lontana, con quel tipo poi...non sai quanto mi faccia male" sospira Penn.
"Anche a me" annuisco. Fisso un punto impreciso del tavolino, indecisa sul da farsi poi, quasi come abbagliata da una luce rivelatrice, salto giù dalla sedia ed esclamo: "Allen Evangelista!"
Il gruppo di ragazzi seduti al tavolo di fronte a noi mi guarda malissimo, intravedendomi da sotto gli spessi occhiali di protezione.
"Chi diavolo è Allen?" Penn allarga le braccia, senza capire.
"Il compagno di stanza di Daren Kagasoff. E' stato lui a spiegarci la storia della cocaina, è un tipo apposto, potrebbe aiutarci. Potrebbe avere notizie di Daren e di conseguenza di Ashley!"
Non faccio in tempo a terminare la frase che ho già radunato le mie cose e abbandonato la mia postazione. Il professore mi richiama dall'altra parte della stanza.
"Scusi, è un'emergenza!" lascio l'aula in tutta fretta.
Penn mi segue, mentre cerca di trovare la giustificazione migliore al mio comportamento. "Ma che ti salta in testa?" grida, rincorrendomi.
Il corridoio è vuoto. Solo un bidello e un paio di studenti abbracciati ai loro libri.
"Devo andare subito a cercare Allen! Ho bisogno di parlare con lui!"
Penn mi raggiunge. "Anche a me interessa Ashley, ma non si abbandona una lezione in questo modo, è da maleducati! Ho dovuto dire che ti sei sentita male e che ti avrei accompagnato in medicheria"
"Non andremo in medicheria, Penn. Io non sto male. Devo solo trovare Allen"
Penn mi sta alle calcagna, tenendo il mio passo più che sostenuto. "Dove pensi di cercarlo? A quest'ora non sarà certo in stanza e non sappiamo in quale aula sta facendo lezione..."
Raggiungo la segreteria e chiedo notizie alla ragazza di turno. Lei storcina un po' il naso, dicendo che il programma di ciascun ragazzo è personale e privato ma, alla fine, vedendo la mia disperazione e convinta dai grandi occhi scuri di Penn, decide di passarci sottobanco l'orario.
"In aula di fisica" dico ad alta voce. "Andiamo!"
Penn di nuovo mi corre dietro. Ringrazia la segretaria, sbilanciandosi in un bacio lanciato con il palmo della mano.
Tre rampe di scale dopo e tre piani più in alto, siamo di fronte all'aula desiderata. Mi appoggio alla porta, cercando di riprendere respiro. Penn preme le mani contro le ginocchia, riposandosi. Lui, a differenza mia, non ha il fiatone. Si vede che è un atleta.
Non appena ho ripreso abbastanza forze, busso alla porta dell'aula. Il silenzio con il quale la classe sta lavorando è davvero sconcertante. Mi faccio coraggio e chiedo di poter parlare con Allen Evangelista. Lui salta giù dalle gradinate, sotto lo sguardo curioso dei compagni e quello autoritario del professore.
"E voi chi siete?" chiede il giovane, strizzando i suoi piccoli occhi neri.
Lo trascino nel corridoio, stringendolo al muro. "Holland Roden, ti ricordi me? Ci siamo conosciuti la sera di Halloween, ho riportato il tuo compagno di stanza al dormitorio, era strafatto"
Allen mi squadra meglio, dall'alto in basso e poi ancora dal basso verso l'alto. "La ragazza pin-up!" esclama, quasi avesse fatto la scoperta del secolo.
"Esatto, la ragazza pin-up. E si da il caso che questa ragazza pin-up abbia bisogno del tuo aiuto..."
Penn si affianca a me, gli rivolgo una veloce occhiata di incoraggiamento. Siamo sulla strada buona. Almeno spero.
"Devo rintracciare una persona. Ho bisogno di sapere se sta bene, se è tutto okay...Ecco, questa persona è con Daren, è rimasta con lui in Virginia dopo la trasferta natalizia dei Dolphins. Sto cercando la mia amica Ashley, la bionda vestita da principessa, hai presente?"
Allen aggrotta la fronte ed io salto la parte dei ricordi, che a quanto pare non sono il suo forte, e vado al sodo: "Ti prego dimmi che hai notizie di Daren!"
Allen solleva le sopracciglia, visibilmente dispiaciuto. "Io non ho notizie di Daren. Noi siamo compagni di stanza ma non siamo amici. Lui parte, torna, parte di nuovo e poi ritorna, ma io non monitorizzo i suoi spostamenti"
Penn sbatte un pugno contro il muro, imprecando.
"Puoi chiamarlo? Puoi chiamare Daren al cellulare?"
Allen si gratta la testa, più dispiaciuto di prima. "Non ho il suo numero"
"Non è possibile!" esplode Penn. "Sei il suo cazzo di compagno di stanza, dovrai avere il suo cazzo di numero del cazzo!"
Le pupille di Allen si dilatano fuori misura. Non ho mai sentito qualcuno utilizzare una singola parola così tante volte in una sola frase.
"Daren cambia numero di cellulare ogni mese. Sono rimasto a quello di settembre...o forse di agosto..."
"Ma ci dovrà pur essere un modo per contattarlo, io devo, io voglio rintracciarli..." tento di mantenere la calma.
Penn però si spazientisce, mi afferra la mano e mi trascina via. "Questo invertebrato non sa niente, non lo vedi? Stiamo soltanto perdendo tempo!"
"Aspetta, Penn" lo freno. Cerco una penna e strappo un foglio dal quaderno degli appunti. "Questo è il mio telefono, se Daren dovesse farsi vivo, chiamami!"
Allen prende il foglietto e mi saluta educatamente, muovendo in sincronia le dita della mano. Il mio morale è a terra. Tutto sta andando storto e niente sembra prendere la giusta piega.
"Forse c'è un'altra persona che potrebbe sapere di Kagasoff, anzi a dire la verità è l'unica che potrebbe avere notizie ufficiali" ci penso su.
Penn si sofferma al distributore automatico, recupera un paio di lattine e me ne porge una. La sua espressione è interrogativa e carica di aspettative.
"Il signor Agee, l'allenatore" bevo alcuni sorsi.
"Hai ragione! Come abbiamo fatto a non pensarci prima?"
Lanciamo le lattine vuote nel cesto dell'immondizia e riprendiamo a correre. Di nuovo una fuga, di nuovo la speranza di trovare buone notizie, o almeno semplicemente notizie. Raggiungiamo il seminterrato e la palestra. L'ultima volta che sono stata fin quaggiù ho subito la violenza di Felton. Mi ha rapita. Mi ha rinchiusa e ha cercato di uccidermi. Ho paura, così stringo forte la mano a Penn.
"Ho avuto problemi con Felton in questi sotterranei, non fare domande, stammi soltanto vicino"
E lui, come un animale addomesticato, non chiede niente. Stringe le sue dita alle mie e va avanti. La segretaria ci comunica che l'allenatore è fuori e rientrerà a breve. Se vogliamo possiamo attenderlo nel suo ufficio. Mi siedo vicino a Penn in una poltroncina. Gli sto così addosso che sembro la sua gemella siamese. Dopo una buona ora di attesa, nella quale abbiamo fissato la parete spoglia di fronte, l'armadio con i registri, abbiamo letto tutti i nomi dei giocatori nei fascicoli e, soprattutto, abbiamo radunato pensieri ed energie per l'arrivo del coatch, la segretaria torna da noi.
"Mi dispiace, ho appena ricevuto una telefonata del signor Agee, non verrà in ufficio questo pomeriggio"
Penn salta in piedi, trafelato. "Noi dobbiamo vederlo, assolutamente!" si scalda.
La donna allarga le braccia e fa una smorfia di falsa desolazione. "Ripassate domani mattina"
Penn calcia contro il cesto dell'immondizia, facendolo rotolare a terra. La tizia lo prega di mantenere la calma, ma il mio compagno di avventure sembra non volerne sapere. L'agitazione dei nostri animi si riversa sulle nostre azioni. Aggrediamo a parole la povera donna, che si stringe dentro la sua pelliccia di pelo e si chiude a chiave nella sua stanza. Penn se la prende ancora con il cesto dei rifiuti ed io mi getto sul divanetto, prendendomi la testa tra le mani. Quando alzo gli occhi, mi ritrovo a fissare la scrivania del coatch. Ho la mente letteralmente svuotata. Penne, fogli, tastiera del computer, foto di famiglia. Coppe.
Un assegno bancario.
Mi sollevo, come spinta da qualcosa che mi suscita curiosità.
"Andiamocene da qui, Holland, coraggio!" Le dita di Penn si incastrano nelle mie, ma prima che mi trascinino fuori dalla stanza, riesco a leggere il mittente: Sig. Kagasoff.
"Aspetta!" blocco Penn, sfuggendo dalla sua presa.
"Un assegno del signor Kagasoff" Lo prendo in mano, focalizzando l'attenzione sull'importo. "Diecimila dollari!" esclamo, sgomenta.
Penn ciondola le braccia lungo il corpo e mi guarda come se avessi appena trovato un fungo allucinogeno o individuato un orso polare nel deserto.
"Diecimila dollari destinati alla Jacksonville University" ripeto, strofinandomi gli occhi per essere certa di aver letto bene.
"Perché il signor Kagasoff ha firmato un assegno di diecimila dollari?"
Apro e chiudo la bocca, incapace di parlare. Improvvisamente capisco di avere tra le mani qualcosa di importante.
"Questo lo prendiamo noi" infilo in tasca l'assegno e afferro saldamente la mano di Penn. "Andiamo!"
Lui protesta, impuntandosi come fanno i muli. "Holland, perché ti sei messa in tasca quell'assegno? Non è roba tua! Perché lo hai preso? E perché è così importante?"
Trascino Penn fuori dagli uffici, di nuovo nel seminterrato e poi su in cortile. Arresto le mie gambe soltanto quando siamo davvero al sicuro. "Possibile che non riesci a capirlo?"
Penn mi guarda dritto negli occhi. "No, non riesco a capirlo, o meglio, riesco a capirlo fin troppo bene. Hai appena rubato un assegno di diecimila dollari!"
"Shh" lo ammonisco, "vuoi parlare piano?"
"Perché lo hai fatto?"
Spingo Penn indietro, il tronco di un albero da un lato e la recinsione del cortile dall'altro ci isolano dal resto del mondo.
"Non ho rubato niente, l'ho soltanto preso in prestito" ci tengo a specificare. "Questi soldi sono del padre di Kagasoff, intendi?"
Penn scuote la testa, guardandomi sempre più smarrito.
"Il padre di Kagasoff istanzia cifre del genere per far si che il figlio resti alla Jacksonville. Questo spiega il motivo per cui l'allenatore difende Daren e perché le analisi del ragazzo risultano pulite nonostante l'uso costante di cocaina"
"Kagasoff è un raccomandato del cazzo!" esclama Penn, quasi cadendo dalle nuvole.
Alzo gli occhi al cielo emettendo una lunga espirazione.
"E adesso cosa hai intenzione di fare con quell'assegno?"
Infilo una mano in tasca, accertandomi della sua presenza. Lo liscio con la punta delle dita, assaporando già il gusto della vittoria.
"Qualcosa che riporterà Ashley da noi, per sempre"
NOTE AUTRICE:
Ciao, lettori!
Questa sera la Befana si porterà via la magia del Natale e domani molti di voi torneranno a scuola, altri a lavoro (io sono un caso a parte perchè ho lavorato quasi tutti le feste ahaha), presepe, albero, tutto da disfare...
Vi ho messo abbastanza malinconia?
Scusate non volevo! Spero almeno di avervi allietato la giornata con questo capitolo.
Alla prossima!
Un abbraccio
Serena
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top