Capitolo 4: INCUBO
La sera mi corico abbracciata a Ian. Dopo il bacio in spiaggia ce n'è stato un altro in auto e un altro ancora dentro l'ascensore. Baci lenti. Baci che galleggiano nel mare di indecisione e dolore che ci affligge.
Guardo Ian addormentarsi. Il suo respiro si trasforma da leggero a pesante, fino ad accompagnare corpo e mente nel mondo dei sogni. Resterei una vita a seguire i movimenti del suo petto, quelli delle sue narici e della sua bocca schiusa mentre l'inconscio prevarica sulla ragione. So quanto lui sia combattuto. Deve scegliere se tradire la sua famiglia o innamorarsi del futuro che lo attende.
Oggi si è lasciato guidare dal desiderio umano, rimpinguando però quel senso di colpa che, silente, si ingrandisce sempre di più dentro al suo cuore. Quel senso di colpa che, alle tre e mezza della notte, lo fa balzare sul letto in una pozza di sudore, gridando come un pazzo.
"Nikki, non è vero, non è vero! Io sono qui, sono qui!!!"
Lo guardo confusa, con gli occhi appiccicati. Ian respira a fatica e mi cerca con le pupille dilatate.
"Ehi, che succede?" Gli poso una mano sul braccio, avvicinandomi.
"Nikki e Paul" biascica, sfregandosi la fronte con la mano. "Erano ad un funerale. Il mio. Ero morto. Ero in una cassa di legno e loro piangevano, si baciavano e piangevano. Si baciavano e si abbracciavano. E piangevano"
"Oh...Ian..." mi sporgo ad abbracciarlo. Lo accolgo contro la mia persona, trascinandolo di nuovo disteso sul materasso.
L'odore della sua pelle è forte. Deciso.
Il suo profumo si confonde con quello dell'incubo appena sognato. Sistemo la testa contro l'incavo del suo collo e respiro a fondo tutto il suo profumo, cercando di portar via i brutti ricordi di quell'immagine infernale.
"Era soltanto un sogno, Ian...soltanto un sogno" lo cullo come si fa con i bambini.
Lui posa una mano sulla mia schiena. Sento la pressione esercitata dalle sue dita contro le mie spalle e la velocità del suo respiro che incrementa fin quasi a fare rumore.
"Non tornerò più, lo so" dice. "Nikki crederà che io sia morto e anche Paul lo crederà"
"Forse Nikki e Paul sono stati felici insieme. Se solo tu accettassi quello che ha deciso il destino per te, vivresti molto più sereno e saresti felice, io e te, potremo essere felici...insieme..."
Ian si irrigidisce. Il suo corpo si muove, spostandomi di lato. Balza di nuovo seduto.
Lo imito. Gli sfioro le labbra con le dita.
Voglio consolarlo, voglio fargli capire quanto io ci tenga a lui e quanta sia la mia volontà di aiutarlo a superare la perdita del suo mondo, dei suoi affetti.
"Non avremo dovuto baciarci" ferma la mia mano. "E neanche ribaciarci, e ribaciarci ancora" Ma le sue labbra, sfiorano i miei polpastrelli con un soffio, in disaccordo con la sua voce.
"So che è difficile accettarlo. So che il tuo amore per Nikki è grande e profondo, ma la tua strada non è vicino a lei. Non è colpa tua se il destino ha voluto questo per te, non è colpa mia né di nessun altro. Smettila di tormentarti, smettila di affliggerti perché non esiste una soluzione"
Ian abbassa lo sguardo sulle coperte spiegazzate. Le lenzuola sotto e intorno a noi sembrano reduci da una battaglia.
"Posso tornare indietro" La sua voce è appena un sussurro. Un tremito dolce e malinconico.
"Se tornerai da Nikki dovrai lasciare me" Lo dico seria, decisa. Lo dico senza alcuna esitazione.
Ian non risponde. Si alza e vaga per la stanza. La moquette attutisce il rumore dei suoi passi scalzi. La fioca luce della luna e le ombre della mobilia incorniciano gli spostamenti del ragazzo e del suo pesante fardello.
La sua figura sembra un'anima in pena nel buio. Quando si ferma, di spalle, con i pugni chiusi, il mio cuore ha un fremito inatteso.
"Non posso vivere senza rivedere Nikki e mia figlia, non posso vivere senza rivedere te mai più" si sfila la maglietta impregnata di sudore. La getta in un angolo della stanza e, a torso nudo, si chiude in bagno.
Mi rigetto sul letto. Guardo il soffitto e penso che a questo dilemma non verremo mai a capo. Io o Nikki. Io o sua figlia. Loro sono in due mentre io combatto da sola.
Al mattino, la sveglia delle otto suona con un trillo forte e carico. Spingo sotto al comodino il cellulare, ponendo fine al suono fastidioso e assordante. Il materasso al mio fianco è vuoto. Sento il rumore della doccia. A quanto pare Ian si è già alzato. Il ricordo dell'incubo notturno aleggia nella stanza come un inquietante fantasma.
Mi trascino sotto al letto, impiegando tutte le energie che possiedo. Ian esce dal bagno con indosso un asciugamano legato in vita. Il mio respiro si ferma a metà. Improvvisamente mi sento più sveglia che mai.
"Buongiorno" balbetto, ipnotizzata dai suoi muscoli sodi e dalla sua pelle chiara e liscia.
Lui mi fissa senza parlare, limitandosi a smorzare un sorriso. Nessuno dei due pare avete il coraggio di accennare a ciò che è successo questa notte. Il sogno di Ian e i dubbi esistenziali a seguire.
"Senti, mi dispiace per questa notte. Ti ho svegliata a causa dei miei maledetti sensi di colpa..." Finalmente parla.
Mi avvicino a lui, sfiorandogli il petto con le dita. Ian si ritrae appena. I nostri occhi restano in contatto. Una dolce, potente, infinita connessione.
"Dammi un po' di tempo per pensare. Ho la mente, il cuore, l'anima in totale subbuglio"
Annuisco, incrociando le braccia al petto. Guardo a terra, incapace di mantenere gli occhi su di lui.
"Ehi, piccola Holland" torna di nuovo vicino, mi solleva il mento con l'indice e mi fissa per un istante lunghissimo. "Si tratta soltanto di avere un po' di spazio per capire quello che è meglio"
"Devi scegliere tra me e Nikki" Sono dura, ma non conosco alternative.
"Devo scegliere se vale la pena di continuare a lottare" replica, vago.
"Per me o per lei?"
"Per me stesso. Soltanto per me stesso"
Vado in bagno, lasciando a Ian la privacy per cambiarsi e per riflettere. I suoi dilemmi sono i miei. Le sue paure anche. Apro il rubinetto della vasca. Dispongo i sali da bagno sul fondo e consento al vapore di inondare la stanza. Attendo che lo specchio appeso alla parete si offuschi. Poso un indice sulla condensa e lo scorro fino a formare una sola parola. Tre semplici, bellissime, significative lettere.
Ian.
La vasca si riempie velocemente, mi sfilo il pigiama e la biancheria ma, prima che mi immerga, qualcuno bussa alla porta della stanza da letto. Sento i passi di Ian recarsi ad aprire, poi la voce di una donna.
"Il mio dipendente preferito!"
Melinda. Melinda Clarke.
Nuda, ignorando l'acqua bollente che continua a scorrere, mi avvicino alla serratura e spio all'interno. La donna tiene tra le mani una scatola con un grande fiocco rosso. Ha la pelle tirata, gli occhi tirati, il volto tirato. Non so quale chirurgo plastico abbia operato su di lei, ma di sicuro deve essersi dimenticato di togliere la colla. Come possono due sopracciglia rimanere così sollevate?
"Per me?" Ian si avvicina alla evidente benefattrice. Ha messo un paio di jeans, ma è ancora a torso nudo e la cosa mi fa brontolare lo stomaco.
"Il mio regalo di Natale, scusami del ritardo" ammicca la donna, sbattendo le lunghe ciglia finte.
Ian scarta il pacco, tirando fuori una macchina fotografica ultimo modello.
"E' una mirrorless" dice entusiasta la padrona dell'hotel.
Lui la gira e la rigira più volte. La guarda come se avesse tra le mani un oggetto misterioso, mai visto prima.
"Una volta mi hai detto che tuo padre è un fotografo, ho pensato che anche tu avessi la sua stessa passione e così..."
"E' stupenda" posa la macchina con delicatezza sul tavolino.
Melinda gongola e Ian si sporge ad abbracciarla. Vedere il suo petto nudo a contatto con il vestito attillato di Melinda mi manda fuori di testa. Il mio stomaco si stringe così forte da fare male. Vorrei aprire la porta e fiondarmi nella stanza, separare i loro corpi e dire alla signora di riprendersi il suo regalo e sparire dalla mia vista per sempre, ma non lo faccio. Lascio che Ian la ringrazi, la baci sulle guance e la accompagni fuori. Lascio che lei rincari moine e salamelecchi e infine si decida ad andarsene.
Soltanto quando chiude la porta, io torno finalmente a respirare. Il rumore dello scroscio d'acqua mi riporta alla realtà. Guardo a terra. I miei piedi sono immersi in una pozza crescente. "Oh! Merda!"
Dalla vasca l'acqua sembra uscire a cascata. Chiudo subito il rubinetto, mentre sento Ian bussare alla porta.
"Holland, che sta succedendo? Esce dell'acqua da sotto la porta! ehi!"
"Non è niente" cerco di tamponare il disastro con un paio di asciugamani.
Ian bussa ancora.
"Ho detto che non è niente!" grido.
Il vapore offusca la stanza. Il calore è così denso da depositarsi sulla pelle, facendola sudare.
"Stai bene?"
Mi sollevo e mi avvicino alla porta. L'acqua fuoriesce appena dal bordo, schizzando qua e là le mattonelle. Non rispondo. Non dico niente. Mi limito a cercare di individuare il suo respiro attraverso il legno che ci separa. Poso una mano contro la porta. So che Ian è ancora lì. Lo sento. Chiudo gli occhi e accosto la fronte contro il legno.
"Holland, stai bene? Io entro!" Sembra preoccupato. Il suo tono è concitato e la sua mano si posa sulla maniglia.
Sento i battiti accelerare, decisamente impazziti. Le mie corde vocali sono incapaci di mettersi in moto e il mio corpo di muoversi alla ricerca di qualcosa per coprirsi.
La maniglia si abbassa. Ed io, prima che lui apra, mi scosto e butto fuori: "Sto bene" La mia voce è solo un respiro. Un sussurro che si perde nell'aria ovattata. "Sto bene" ripeto ancora.
Ian lascia andare la presa e il mio cuore torna a battere regolare. Sto bene. Anzi. Non sto bene affatto. Non dopo aver visto Melinda Clarke abbracciarti, non dopo averla vista farti la corte. Non dopo aver assistito a qualcosa che vorrei soltanto depennare dalla mente.
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