Capitolo 36: DIETRO LE SBARRE

Ian ci raggiunge in centrale. E' quasi sera e siamo da più di tre ore in attesa di notizie di Ashley. Il preside ha chiamato la polizia, che ha preso la nostra amica e l'ha sbattuta dentro a una stanza per interrogarla. Nemmeno fosse la peggior criminale della storia! Mi sembra di stare in uno di quei film polizieschi che passano sul digitale, quello dove l'assassino è ancora a piede libero, mentre un povero innocente sta per finire sulla sedia elettrica.

"Ma come è possibile? Non aveva smesso di usare quella roba?" chiede Ian, in totale confusione.

Io e Penn ci guardiamo negli occhi e annuiamo. Poco fa è arrivato anche Evan; adesso è seduto in disparte, al fianco di Karidja, che gli sta attaccata come una cozza allo scoglio.

"Sono sicura che Ashley non c'entra niente con tutta questa storia, è stata Phoebe a incastrarla, quella del borsellino era soltanto una scusa..." faccio presente a Ian. La mia è una vera e propria accusa, ma è anche l'ipotesi più reale. Ashley ha smesso con la droga, lo dimostrano le sue analisi del sangue fatte di recente.
Sono preoccupata, non solo per la punizione, ma anche perché questo episodio la farà sicuramente precipitare di nuovo a fondo, proprio adesso che era riuscita a risalire in superficie. Ian si siede al mio fianco, accogliendo la mia testa sulla sua spalla. Mi stringo forte a lui e cerco di immagazzinare tutto il calore di cui ho bisogno.

"Ma quanto tempo ci mettono?". Penn cammina avanti e indietro lungo la stanza.

L'attesa del responso è fatta di silenzio e sguardi fugaci, che ci scambiamo l'un l'altro con compassione e coinvolgimento. Nonostante gli attriti, presenti, passati, nonostante vecchi amori e nuove amicizie, siamo tutti quanti in ansia per il futuro di una persona alla quale teniamo particolarmente.

Quando stiamo per perdere le speranze e anche la pazienza, ecco che si apre la porta di uno degli uffici ed esce un tizio con la sigaretta in bocca. Indossa un paio di pantaloni perfettamente stirati, una camicia bianca che gli tira un po' sulla pancia e mocassini ai piedi.

"Siete voi gli amici della signorina Benson?" ci chiede, restando sulla soglia.

"Sì!". Lo diciamo in coro, quasi come una liberazione.

"Potete pure andare a casa, la signorina resterà qua per la notte" ci invita l'uomo, buttando fuori una nuvola di fumo.

"Che cosa?". Il grido di Penn risuona nella stanza, sbattendo violentemente contro le pareti.

Il tizio porta la sigaretta alla bocca, lasciandola ciondolare dalle labbra. "Abbiamo bisogno di trattenerla, avrà una brandina e un posto dove dormire, state tranquilli".

"No, no, non esiste! Non potete!" urla ancora Penn.

Ian lo trattiene per un braccio. Ci manca solo che si scagli contro un ufficiale e siamo apposto.

"Facciamo così, consento ad un paio di voi di entrare per parlarle, ma solo cinque minuti e in mia presenza, dopodiché non vi voglio vedere più su queste sedie".

Penn stringe i suoi occhi scuri contro quelli severi dell'ufficiale, caccia indietro lacrime e rabbia e, dopo avermi presa per mano, lo segue dentro. Il tizio ci conduce fino a una stanza semibuia, delimitata da sbarre di ferro.
Ashley è seduta su una sedia, davanti a un tavolino scortecciato. Non appena ci vede, si fionda contro le sbarre.

"Penn! Holly!". La sua voce è rotta dall'emozione.

"Come stai?" chiede Penn.

Lei si asciuga gli occhi rigati dalle lacrime, e butta fuori tutto d'un fiato: "quella roba non era mia, io non c'entro niente in tutto questo. Sono innocente!".

"Lo so, lo sappiamo" dice Penn, cercando fiducia nel mio sguardo.

"Sì" intervengo, "penso... pensiamo che sia stata Phoebe, anzi ne siamo sicuri, non è vero?".

Penn annuisce. "Quella sarebbe capace di tutto pur di fartela pagare, anche incastrarti in un guaio simile".

Ashley si sistema i capelli dietro le orecchie e fa sì che Penn le accarezzi dolcemente la guancia.

"Ma non abbiamo alcuna prova per dimostrarlo, finirò per scontare una pena ed essere espulsa dal college" dice sconsolata.

"No, non succederà" replica Penn.

"Hanno chiamato mia madre, domani mattina sarà qui. In fondo quella roba l'ho assunta davvero e, senza rendermene conto, ho deluso voi, i miei, i professori. Ho deluso tutti e questa è la punizione che merito".

"Non è vero!" mi avvicino un po' di più alle sbarre. "Quel periodo è passato e questa è pura cattiveria. Chi ti ha messo in un casino simile la pagherà!".

Ashley si sofferma sui miei occhi per un'ultima volta, poi si mette a piangere e non riesce a dire altro. E' stanca, impaurita e demoralizzata. Sembra un animale in gabbia.
L'ufficiale ci obbliga ad andarcene. Portare via Penn è dura, aggrappato com'è alle sbarre di metallo.

"Solo una notte, Ashley, poi tutto sarà finito. Te lo prometto".

Lei si stringe le braccia al petto, mentre io e Penn veniamo trascinati verso l'uscita. L'ultima cosa che vediamo sono i suoi occhi azzurri gonfi di pianto dietro le sbarre fredde di ferro.
***

La mattina seguente, la madre di Ashley viene in stanza a prendere alcune cose per la figlia. Ashley l'ha sempre descritta come una donna fredda e distaccata ma, parlandoci, non mi sembra poi così cinica.

"Ashley non mi ha mai dato questo genere di problemi, è la prima volta che mi trovo in una situazione simile" confessa.

"Sono sicura che sua figlia non c'entri niente in questa storia".

La donna mi guarda con due grandi occhi azzurri e io capisco da chi Ashley abbia ereditato quello sguardo così vivo e magnetico.

"E' vero, ha passato giorni un po' difficili, ma adesso è felice. Ha anche un ragazzo che le vuole molto bene" cerco di tranquillizzarla.

La signora Benson prende un fazzoletto dalla borsetta e si asciuga gli occhi umidi. È una donna di classe, su questo non ci sono dubbi.
È impeccabile anche mentre piange! Sento una strana sensazione, come un formicolio in fondo al cuore, che mi fa pensare a mia madre.
A quanto avrebbe pianto per me se avesse saputo quanto a fondo fossi caduta dopo la sua morte.

"Scusami, cara, avevo bisogno di sfogarmi. Non mi piace farlo davanti ad Ashley. Con lei devo mostrarmi forte e determinata... Adesso vado, la porterò via da lì, pagherò una cauzione, pagherò quello che c'è da pagare!". La donna esce dalla stanza lasciando dietro di sé una sottile scia di profumo. E io penso che i soldi non risolvano sempre tutto. Non questa volta, almeno. Pagare una cauzione significa ammettere di aver commesso uno sbaglio, ma Ashley non ha infranto nessuna legge. Non sarà lei ad essere condannata, non per qualcosa della quale ne è totalmente estranea. Esco in fretta e furia, attraverso il corridoio, senza badare alle ragazze che mi guardano sorprese di dove sia diretta. Giungo davanti alla porta di Phoebe e busso come una pazza.

"Si può sapere chi diavolo è?" squittisce la bruna, affacciandosi alla porta.

Il mio sguardo si assottiglia, i miei denti si stringono e le mie mani pizzicano per la voglia di prenderla a sberle.

"Devo parlarti" sibilo.

Phoebe mi guarda come se avesse di fronte una nullità fatta di carne e ossa, sbatte le ciglia un paio di volte e fa il gesto di richiudere la porta.

"Ho detto che devo parlarti!" blocco l''uscio con una mano.

Lei allora esce fuori, seguita dalle due compagne di stanza.

"Cosa vuoi dirmi di così urgente, sentiamo!" incrocia le braccia al petto.

"Devi confessare la verità, sei stata tu a incastrare Ashley, tu le hai messo la droga nella borsa. Quella del borsellino era soltanto una messinscena per farla trovare!" sputo fuori con tutto l'astio che ho in pancia.

Alcune ragazze si radunano intorno a noi.

"Sai che potrei denunciarti per calunnia? Vuoi per caso andare a far compagnia alla tua amichetta?".

"Sei una falsa bugiarda!". L'odio che provo nei suoi confronti mi sta addirittura annebbiando la vista.

"Stai attenta, Roden, questa è stata la volta di Ashley, ma la prossima sarai tu... non mi costa niente andare dal preside e aggiornarlo su chi ti porti in camera!" mi minaccia.

Deglutisco. Il mio sguardo è gelido. Ghiaccio allo stato puro. "Ian non dorme più da me" la metto al corrente.

Phoebe mi guarda e ride. Così. Semplicemente.
Ride in modo isterico, sguaiato, così antipatico da far saltare i nervi. E io, che ho fatto il pieno di tutte le sue cattiverie, non riesco a fare nient'altro se non fiondarmi su quella bocca malvagia e tapparla con entrambe le mani.

"Smettila!" grido, spingendo più forte i miei palmi contro le sue labbra. "Ho detto smettila!".

Phoebe mugugna, impossibilitata a parlare, poi reagisce, strappandosi via dalla faccia le mie dita.

"Non hai nessuna prova contro di me, Roden, e se continuerai a importunarmi o a mettere in giro voci simili, giuro che te la farò pagare davvero molto cara. La famiglia Benson ha un sacco di soldi e tirerà fuori Ashley da quella prigione, ma se ci finisci tu, sappi che ci rimarrai a vita, poveraccia!".

La mia gola emette un suono basso, rabbioso. Le mie mani si chiudono in due pugni serrati, che si scagliano contro il corpo della bruna. Phoebe tenta di reagire all'assalto, ma le due ragazze che condividono con lei la stanza la frenano in tempo, afferrandola per le bretelle che le circondano le spalle.

"Si può sapere che sta succedendo?". Nella mischia di ragazze che si sono radunate per assistere allo squallido spettacolino, riconosco la voce di Daren. E' a braccetto con la tipa dalle gambe chilometriche ed ha un sorriso esagerato, per niente in linea con l'intera situazione.

"Ashley è in prigione ed è anche colpa tua!" urlo. Le lacrime mi pungono gli occhi. "Non ti è bastato trascinarla nel tuo schifo, no, non ti è bastato quello! Le hai fatto credere di amarla e poi l'hai lasciata per questa... questa cavallona...". La ragazza mi guarda in cagnesco e io impiego un secondo per scusarmi dei miei brutti modi. "Non ce l'ho con te, ma con questo ragazzo privo di spina dorsale!"

"Ma che ho fatto?". Daren mi guarda confuso.

Mi avvicino a lui, fissandolo dritto negli occhi. "Tu sei d'accordo con Phoebe, avete organizzato tutto nei minimi dettagli. Bravi! Davvero molto bravi! Ma si può sapere almeno perché?".

"Ma perché cosa?". La voce di Daren adesso è preoccupata. La sua mano molla quella della sua ragazza per posarsi sulla mia spalla. Mi ritrovo accostata al muro con lui che mi guarda inebetito. Sembra davvero cadere dalle nuvole e io non capisco se sia così sciocco dalla nascita o sia colpa della droga che gli ha fottuto metà delle cellule cerebrali.

"Hai dato tu la droga a Phoebe, volevate incastrarla e ci siete riusciti alla grande! Adesso, è inutile che fingi di non saperne niente, siete due bugiardi e vi auguro di marcire all'inferno!". Non riesco più a reggere la situazione, sfuggo alla sua debole presa e scappo via.

"Holland! Aspetta!".

Non mi volto. Voglio soltanto tornarmene in camera e chiudermici dentro. Ipocrisia e minacce mi stanno distruggendo. Ma Daren mi blocca, prima che possa allontanarmi troppo.

"Holland, io non so niente di tutto questo" dice.

Lo fisso negli occhi senza captare alcun segno di cedimento. E se stesse dicendo la verità?

"Ashley è in prigione perché qualcuno le ha messo della droga dentro il borsone e, qui dentro, l'unico che maneggia questo tipo di sostanze sei tu, caro Daren!".

Lui si rabbuia, sposta l'attenzione a terra e poi di nuovo su di me. "Ma io non ho dato della roba ad Ashley, non ultimamente, e nemmeno le ho fatto questo brutto scherzo".

Phoebe è ancora tra le braccia delle sue due compagne di stanza, freme per sfuggire e venire da noi.

"Non dire una sola parola, Daren!" grida, sopra al vocio dei presenti.

"E' stata lei, non è vero? E' stata lei a chiederti della roba? E' stata lei a nasconderla nello zaino di Ashley? Ammettilo, Daren! Se hai un briciolo di coscienza... Ammettilo!".

Daren piega la testa, ignora le grida di Phoebe, che lo supplicano di stare in silenzio e annuisce.

"Ho venduto alcuni grammi di cocaina a Phoebe, ma pensavo che fossero per uso personale... non credevo che l'avesse usata per un gesto così orribile..."

La capo cheerleader grida come una pazza e io ho paura che possa liberarsi dalla presa delle due ragazze da un momento all'altro.
Daren mi guarda smarrito, per un attimo mi fa pena. L'ho detestato per giorni e giorni e adesso mi ritrovo a confrontarmi con lui e con l'assurdità di questa situazione.

"Vieni, Holland, dobbiamo andare" dice, mettendomi un braccio attorno al collo. Non protesto della sua vicinanza, sono troppo scossa nel pensare a quello che è venuto fuori che non mi dà neanche noia.

"Dove?" chiedo soltanto.

"Dalla polizia" dice, conducendomi verso l'uscita.

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