Capitolo 31: VERDE SPERANZA
La regina delle cheerleaders non ha detto niente al preside di me e Ian. Ma io non sono tranquilla. Quando si tratta di Phoebe Tonkin è tutto una grande incognita. Potrebbe utilizzare questo espediente per tenermi sulle spine, per costringermi a reggerle il gioco in qualche frangente o chissà quale altro scopo assurdo. Ian deve trovarsi un lavoro e un nuovo posto dove dormire, questo è sicuro.
Quando rientro dal pranzo fuori con Penn e Ashley, trovo Ian seduto sul mio letto con lo sguardo perso dentro al diario di Paul. Lo sta leggendo ancora, sembra quasi che passare in rassegna i pensieri e le poesie dell'amico lo aiutino a capirci qualcosa in più sulle scelte di Nikki e su come siamo andate davvero le cose, ma secondo me è soltanto un modo per infliggersi più dolore; una sorta di flagellazione lenta e sanguinosa che non fa altro che aumentare le sue sofferenze. Quelle poesie non hanno un destinatario, non hanno particolari accurati, sono soltanto belle parole, belle frasi, rivolte ad una donna che, agli occhi di Paul, doveva essere irraggiungibilmente fantastica. Nessuno saprà mai se fosse o meno Nikki.
Nè io né Ian. Nessuno.
"Ciao" lo saluto, sedendomi vicino.
Ian chiude il diario, posandolo al suo fianco. "Ehi, piccola Holland, come è andata la scuola?".
Gli mostro la lingua, esorcizzando il momento. "Non vado a scuola, non sono mica una bambina!".
Lui prende tra le dita una ciocca dei miei capelli e la attorciglia, seguendone le onde naturali.
"Vado all'Università" preciso, facendolo sorridere, poi gli racconto di Phoebe e di quanto sia ancora piena di collera nei confronti di Ashley, Penn e di tutti noi. "Mi ha minacciata, tirando in ballo la mia borsa di studio. Quando ci ha visti, l'altra sera, ha capito che tu vivi qui, nella mia stanza, e io ho una paura immane che possa andare fare la spia. Perderei la possibilità di studiare, capisci?".
Ian si incupisce, lascia andare i miei capelli e si butta all'indietro sul letto. La sua maglietta sale, scoprendo parte della pancia, addominali compresi. E io non posso fare a meno di ammirare la bellezza del suo corpo.
"Non possiamo rischiare che tu perda la tua borsa di studio" conviene, fissando il soffitto. "E non possiamo neanche vivere così, i giorni passano e i miei risparmi scarseggiano. Domani andrò a informarmi per il lavoro al locale sul molo e poi sentirò anche per un posto letto da qualche parte...".
"Non voglio cacciarti, non lo vorrei mai" mi stendo, posando una mano sulla stoffa della sua maglietta. "Oh, Ian, se potessi starei con te ogni giorno e ogni notte... perché ci devono essere sempre così tanti ostacoli tra noi?".
"Perché la vita è un percorso a ostacoli, sempre nuovi, sempre diversi, ma ogni scalino che salti è un passo più vicino alla felicità" mi sfiora dolcemente la guancia.
"Stare con te mi rende felice" gli dico.
"Anche a me..."
"Ma?" dubito.
"Ma è complicato, molto complicato. E, forse, è proprio questa complicazione che rende il tutto ancora più bello".
Mi perdo nei suoi occhi, nei suoi pensieri, nel suo essere così esageratamente divino e saggio.
"Verrò con te domani" dico.
"Okay, ma solo per accompagnarmi" fa lui, continuando a passarmi le dita ai lati del viso.
"Perchè non vuoi che contribuisca anche io in qualche modo alle spese? Per un periodo di tempo, fin quando non avremo messo insieme i soldi per New York, è mia sorella quella che si sposa, spetta a me provvedere ai biglietti, almeno a quelli..."
Ian sbuffa, contrariato. "Non se ne parla, abbiamo già affrontato questo discorso, tu studi e io lavoro!".
"Non sono una dama dell'ottocento!" brontolo, scostandomi dalle sue carezze.
Lui mi riavvicina a sé, scivola le mani sui miei fianchi e poi ancora più giù, lungo le mie cosce. "Ovvio che non lo sei! Le dame dell'ottocento non portavano magliette così fini, uno scollo del genere le avrebbe condotte dritte alla ghigliottina, e non indossavano nemmeno gonne così corte..." ammicca.
"Perché alla fine ce l'hai sempre vinta tu?" protesto.
"Semplice, perché non sai resistermi" mi bacia sulle labbra.
Quando ci separiamo l'atmosfera ha assunto di nuovo un senso di quiete. Ian passa le dita sulla mia bocca, disegnandone i contorni, studiandone le fattezze e perdendosi nelle sue sfumature di colore naturale. Il suo tocco mi disorienta, la sua umanità mi fa sciogliere il cuore e la sua autorità di possesso sfuma come sfuma la notte al nascere del sole. All'improvviso, la paura prende campo in me, risalendo dallo stomaco fino alla gola, avvolgendomi in una atroce tenaglia.
Quello strano timore di perdere tutto questo, di viverlo e poi doverlo dimenticare per sempre. Quella fobia di non essere all'altezza della situazione, di non reggere il confronto con i ricordi. La paura del presente, di quello che si possa ancora scoprire e di ciò che ci tiene uniti e divisi allo stesso tempo; figli o non figli, matrimoni o separazioni. Il passato o il futuro.
Un pendolo o una leggenda.
"Dove sei stato ieri e l'altro ieri ancora? Dove vai per rientrare sempre tardi? Io... io ogni volta sto in pena per te..." lo supplico di trovare una risposta alle mie umane insicurezze.
"Vado al cimitero, mi serve per raccogliere i pensieri e razionalizzare ciò che abbiamo scoperto e ciò che, a quanto pare, non scopriremo mai...".
"Io penso che potremo ancora scoprire dove si trova tua figlia, okay, non abbiamo trovato informazioni all'ufficio di Stato Civile e nemmeno in ospedale, ma ci verrà sicuramente in mente un altro modo...".
Ian annuisce. E io mi accuccio vicino a lui, annusando il profumo della sua pelle all'altezza del collo. Ispiro forte tutto il suo calore e tutto il suo odore.
"Sai, a volte vedo tutto nero intorno a me. Penso a Nikki e a Paul e ai loro giorni insieme, mi sembrano circondati da un arcobaleno pieno di colori, ma poi penso che hanno perso un figlio e quei colori sbiadiscono, forse anche loro non sono stati poi così felici, forse hanno semplicemente tirato avanti con le loro esistenze, pensando che la mia fosse finita troppo presto. La guerra cambia le persone, le rende più ciniche, più spietate, tira fuori quello che c'è di buono e di malvagio in loro. Mia moglie e il mio migliore amico sono soltanto lo specchio di un mondo che non esiste più, una battaglia che ha ucciso molti uomini e distrutto la vita di donne che non hanno rivisto più i loro cari. Nikki e Paul in fondo non hanno colpa di niente, è la vita. E' soltanto la vita, e loro hanno saltato quell'ostacolo che era il dolore, il dolore per chi non c'è più. Dovrei essere fiero del coraggio che hanno avuto, non rammaricarmi così. Dovrei gioire per la loro unione e soffrire per la morte del loro bambino, invece mi sento vuoto e perso. E intorno a me c'è soltanto l'oscurità..."
"Tu non devi vedere tutto nero, ci sono io con te" gli sussurro piano.
"Dove sei tu c'è il verde della speranza, altrimenti è tutto buio".
Chiudo gli occhi e mi accuccio ancora più vicino al suo corpo. Ci addormentiamo così, un po' persi, un po' ritrovati. Il mare è ancora in tempesta, ma la nostra zattera, se pur piccola e sgangherata, sento che è ben salda.
Resisterà.
Sono sicura che lo farà.
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