Capitolo 13: LA GUERRA CAMBIA LE PERSONE
A mezzanotte in punto, come Cenerentola che scappa dal castello, io me ne vado dalla festa, soltanto che non abbandono il mio principe con una scarpetta di cristallo tra le mani, io me ne vado con lui. Mano nella mano.
Ci lasciamo la Techno Music alle spalle, la confusione creata da un triangolo amoroso smembrato e le olive denocciolate.
Ci lasciamo una serata diversa, che però sembra non dover ancora finire; prima di salire in macchina, infatti, Ian si sofferma, guardando nel parcheggio con occhi sospettosi.
"Cosa succede?" gli chiedo, non appena entra nell'abitacolo.
Lui scrolla le spalle e non risponde, chiude le portiere dall'interno e gira la chiave, facendo partire il rombo del motore. "Allora?"
Ma Ian mantiene le mani fisse sul volante e lo sguardo diretto allo specchietto retrovisore.
"Ehi?" gli scuoto un braccio.
"Mi è sembrato di vedere qualcosa..." aggrotta la fronte, pensieroso.
"Qualcosa?" cerco di capire, "in che senso?"
"Nel senso di qualcosa" mi liquida.
L'auto si immette pian piano in carreggiata. L'hotel Clarke non è distante, ma Ian guida così piano che credo non arriveremo più. Ogni tanto volge uno sguardo allo specchietto. Ho come l'impressione che quel qualcosa non sia semplicemente qualcosa, ma qualcuno. Qualcuno che ci sta seguendo.
"Ian, vuoi dirmi la verità, cosa ti prende? Da quando sei salito in auto ti comporti in modo strano, come se avessi visto un fantasma!"
"Ho visto Felton" dice.
Il silenzio cala nell'abitacolo.
Un silenzio agghiacciante.
"Dove? Cosa hai visto? Come...?"
"Ho visto Felton" ripete, meccanicamente.
Mi sporgo indietro, per cercare di vedere anche io qualcosa, qualsiasi cosa. Una strana sensazione mi invade tutta, dalla testa ai piedi. Il solo sentir parlare di quel ragazzo mi mette i brividi. La sua presenza è inquietante, ogni volta, sempre di più. Va, viene, torna.
Quando arriviamo sulla statale, un paio di fari ci stanno alle calcagna. "Pensi che sia lui?" chiedo, con voce strozzata.
Ian si inumidisce le labbra e mi lancia un'occhiata preoccupata. "Non lo so" dice, "sono quasi sicuro di averlo visto salire su una delle macchine parcheggiate"
I fari sono ancora vicini.
"Quasi?" schizzo come un'isterica. Improvvisamente ho i nervi a fior di pelle. Non mi piace comportarmi come una pazza, ma ogni volta che si ripresenta il biondino, l'adrenalina mi sale a mille. "Cosa vuol dire... quasi?"
"Non vuol dire niente, ne sono sicuro, okay?" Ian stringe forte il volante e gira a destra.
"E adesso che facciamo?" mi agito sul sedile.
"Non possiamo scendere, è troppo pericoloso. Facciamo un altro giro dell'isolato..."
L'auto alle nostre spalle non smette di starci addosso.
"Non possiamo mica girare per tutta la notte!" esclamo, "prima o poi arriveremo a destinazione, Felton sarà lì e ci farà del male" inizio a tremare. La giacca che indosso sopra al tubino in brillantini è troppo calda, troppo ingombrante, troppo accogliente.
Non mi fa respirare.
Ian è serio e cerca di mantenere la concentrazione. La sua palpebra destra si muove ritmicamente, come colpita da un tic nervoso. Sta soffocando la paura, sta tentando di mantenere i nervi saldi. Ci sta riuscendo, a differenza di me, che vorrei solo mettermi a gridare. Poi, improvvisamente, i fari non ci sono più. L'auto ha svoltato da qualche parte ed io sento che torno a vivere di nuovo.
"Non ci sta più seguendo!" esclamo.
"Forse non era lui, forse mi sono sbagliato" Ian lancia l'ennesimo sguardo allo specchietto.
"Andiamo all'hotel. Voglio rifugiarmi dentro. Ho paura"
Il mio corpo sembra un termostato impazzito. Prima caldo, adesso freddo. Le mie guance scottano ancora, mentre le mie mani sono due pezzi di marmo.
"Ehi, piccola Holland, stai tranquilla, ci sono io. Okay?"
Annuisco, sforzandomi di non tremare, ma la mia calma apparente è solo il tempo di un respiro, poi tutto torna a vorticare in un circolo di colori e suoni. Un'auto, la stessa di poco fa, sbuca da una delle strade secondarie, immettendosi nella nostra carreggiata ad una velocità non concessa dalla legge in questo tratto. Ian, colto di sorpresa, sterza bruscamente. L'auto si affianca a noi, ponendosi nella carreggiata opposta.
"Oh, Santo Cielo!" mi tappo la bocca con una mano, mentre osservo la vettura avvicinarsi alla fiancata dalla parte del guidatore.
Ian pigia sull'acceleratore.
"Ci sta venendo addosso! Ci sta venendo addosso!" grido, tenendomi stretta al sedile.
Non avrei mai pensato che una serata come quella che abbiamo appena trascorso potesse evolvere in una simile evoluzione stradale.
La portiera della Mercedes viene attaccata da quella dell'auto impazzita. Scintille di fuoco si irradiano dalle carrozzerie che si sfregano. Auto parallele. Auto che sfrecciano in una strada del centro; stop, semafori, precedenze ignorati. Ho lo stomaco sotto sopra, il terrore dentro le ossa e la morte davanti agli occhi.
Ripeto continuamente dentro la testa che devo fidarmi di Ian. Non ci succederà niente. Niente di niente. Un colpo ancora e la nostra auto sbanda pesantemente.
"Stai bene?" Ian cerca la mia mano, ma io non afferro la sua. Ho troppa paura di lasciare la presa sul sedile. Ho così paura che non riesco neanche più a muovermi. E poi voglio che lui tenga le mani sul volante. Salde. Fisse. Stabili.
Un paio di auto che, sfortunatamente, si trovano sul nostro percorso, inchiodano, ruotando su sé stesse e compiendo un miracoloso testa coda. Suonano. I clacson mi penetrano dentro alle orecchie, dentro ai timpani, dentro all'anima.
Ian continua a guidare, imperterrito, girando a destra e a sinistra, senza però riuscire a seminare la vettura che ci insegue, la quale finisce per affiancarsi di nuovo.
Questa volta i nostri sguardi impauriti si scontrano con quello del guidatore vicino. Occhi di ghiaccio.
Occhi di Tom Felton.
"È lui" grugnisce Ian. "Lo sapevo!"
Ci immettiamo di nuovo nella statale, allontanandoci dal centro. Le abitazioni sono più rade, l'oceano si intravede oltre la carreggiata. Un paio di tornanti ci aspettano pericolosi e subdoli. Poco lontano un cartello stradale indica la presenza di lavori in corso. Ian pigia sull'acceleratore. Si volta appena verso di me e ordina: "Tieniti forte, piccola Holland, tieniti forte!" La sua voce è decisa ed io seguo il suo volere. Mi aggrappo ancora di più al sedile, quasi lo volessi sbarbare.
Ian frena bruscamente, mentre Felton non si accorge del cambiamento di velocità. Continua a fissarci con gli occhi e a spingere sull'acceleratore con il piede. La nostra Mercedes inchioda, senza preavviso, senza mezzi termini, mentre la macchina di Felton prosegue avanti e lo fa non rendendosi conto che sta andando a sbattere contro una delle impalcature.
Ruota, rigira, ruota ancora e alla fine si ribalta, fermandosi contro un muro. Un fumo nero si leva nell'aria. Le ruote girano per alcuni secondi interminabili, poi tutto si ferma.
Osserviamo la scena restando dentro la nostra vettura, a pochi metri dal disastro, a pochi metri dal pericolo. Tutto è immobile, tutto è silenzioso. Ian respira appena ed io impiego alcuni istanti per capire quello che è successo.
L'auto di Felton non è più un'auto. Il tetto è schiacciato a terra e le portiere completamente sgangherate. Ian si slaccia la cintura, apre lo
sportello ed esce.
"Che fai? Dove stai andando?"
Lui non risponde, continua a camminare.
"Dove vai?" grido, precipitandomi anche io sulla strada. Gli corro appresso. Ho paura possa succedergli qualcosa. Mi tremano le gambe e mi si stringe lo stomaco.
Ian mi rivolge uno sguardo deciso e mi ordina di tornare in macchina. Non lo ascolto e continuo a seguirlo.
"Chiamiamo il 911, andiamocene!" gli afferro la manica della giacca.
"Non possiamo! Da un momento all'altro potrebbe esplodere tutto, dobbiamo tirare fuori Felton"
"Ma sei pazzo?" grido. La mia voce si perde nell'aria secca della notte.
Ian non mi ascolta né si lascia convincere dalla mia presa, arriva a un passo dalla vettura incidentata e si piega per vedere all'interno.
Da dentro non si sente niente, nemmeno il più piccolo rumore o lamento o respiro.
Un paio di auto si fermano poco lontano da noi. Vedo due uomini scendere e venirci in soccorso. Non trovo più la mia borsa, non ho idea di dove sia il mio cellulare, così mi metto a urlare di chiamare i soccorsi.
"Ian, arriveranno i sanitari, ci penseranno loro, vieni via da lì. Per favore! Ti prego"
La sua schiena però è curva sul terribile disastro, le sue ginocchia leggermente piegate, mentre le sue braccia tirano fuori il corpo floscio di Felton. Vederlo così mi fa compassione, sembra quasi innocuo.
Ian adagia il nostro persecutore a terra, a un metro di distanza dall'auto. Si inginocchia accanto a lui, gli allenta i bottoni della camicia e constata che è ancora vivo. Sta respirando, o almeno pare. Il torace di Felton si alza e si abbassa compiendo un movimento sincrono e quasi impercettibile. Gli occhi di Ian sembrano non volersi staccare dal corpo del biondino spietato. So cosa stanno guardando.
Il suo collo. Il suo collo vuoto.
"Non è stato lui a rubare il pendente" dice Ian.
"Potrebbe averlo nascosto da qualche parte..." biascico, senza distaccare gli occhi dalle palpebre socchiuse di Felton.
"Ci tiene troppo per non tenerlo con sé. Non è stato lui"
Ian è davvero deciso ed io più confusa che mai.
Poi è un istante, forse anche meno di un istante. Un battito, un'ispirazione in più e un boato enorme, uno spostamento d'aria fuori dal comune ci fa balzare il cuore in gola.
Non pensiamo più al pendente né alla nostra sorte, tutto diviene incredibilmente irreale e spaventoso. I finestrini della vettura scoppiano e gigantesche lingue di fuoco incandescente escono dai finestrini. Guardo la scena allucinata e sconvolta. Sembra un rogo gigante, un incendio senza precedenti. I due uomini che si sono fermati a distanza ci raggiungono, pochi secondi dopo arriva anche un'ambulanza. Felton viene posizionato su una barella rigida, gli viene messa una maschera d'ossigeno davanti al viso e attaccata una flebo al braccio. Le ruote del lettino che lo portano via riempiono il silenzio. Intanto una camionetta dei pompieri fa si che l'incendio pian piano si esaurisca, lasciando soltanto i resti di quella che un tempo era un'automobile.
Ian mi viene vicino, prendendomi per mano. Guardiamo lo scheletro annerito, le ultime fiammelle, il fumo, gli uomini al lavoro e l'ambulanza che se ne va a sirene spiegate.
"Ma come è successo?" ci chiede uno dei due tizi che si sono fermati a prestare soccorso.
"Non ne abbiamo idea, quel ragazzo stava andando come un pazzo. Ci ha sorpassato e si è schiantato, ha fatto tutto da solo, credo che non si sia accorto dei lavori in corso"
Le nostre mani si stringono più forte. I due tornano alle loro macchine, credendo con facilità alla versione di Ian. Noi restiamo un secondo in più a riflettere davanti allo scheletro annerito e il puzzo di benzina. La carrozzeria non ha più un colore, se non quello nero del rogo appena estinto.
"Gli hai salvato la vita" constato.
"Non potevo non farlo" dice Ian, "non potevo portare anche questo peso sulla coscienza. Ho visto troppa gente morire senza che potessi fare niente per aiutarla"
Intreccio le mie dita alle sue con più vigore.
Un buco nero mi riempie il cuore. Se fosse stato per me, Felton sarebbe esploso insieme all'auto. Ian gli ha salvato la vita. Io invece lo stavo per uccidere. Sentimenti contrastanti si insediano sotto alla mia pelle. Avrei potuto liberarmi di Felton, avrei potuto essere felice insieme a Ian, ma sarei stata un'assassina.
O forse non lo sarei stata. La mia è semplice e pura difesa personale. Una lacrima mi riga il volto e mi scende sul collo. Questa situazione mi sta facendo perdere la testa. Ha messo a soqquadro la mia esistenza, i miei principi, li ha stravolti. Letteralmente.
Chiudo gli occhi, cercando di ritrovare la pace interiore, o almeno una sorta di equilibrio precario.
"Hai fatto bene a farlo" ammetto, "hai fatto bene a tirarlo fuori da li"
Ian mi tira verso di sé, abbracciandomi. "Sai, piccola Holland, qualcuno mi ha detto che la guerra cambia le persone. Io sono stato un soldato, lo sono ancora e lo sarò per sempre, credo"
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