Capitolo 10: UN DEMONE IN CORPO
Ashley si alza da letto, barcolla fino alla scrivania e si guarda intorno con gli occhi sgranati di chi ci è rimasto completamente sotto.
"Perché sei qui? Dov'è Daren?" si rivolge a me con voce gracchiante.
"Daren è nel suo dormitorio. Ieri sera ti ho portata nella tua stanza, avevi bisogno di riposare"
Ashley passa in rassegna la camera, la sua faccia è quasi priva di espressione, poi i suoi occhi si soffermano sulla pochette ai piedi del letto e paiono rianimarsi. "Cosa hai fatto? Hai frugato tra le mie cose?" si fionda sulla borsa, stringendola al petto. "Come ti sei permessa? Come hai potuto farlo? Tu non ne hai nessun diritto!"
La sua voce mi entra dentro la testa, dritta, fino al cuore.
"Ashley, credo che sia arrivato il momento di parlare, io e te"
Lei ride, isterica o quasi. "Noi non abbiamo niente da dirci!"
"E invece sì che ce l'abbiamo!" la riprendo. Non lascerò che mi sfugga. Non questa volta. "Mi hai fatto prendere uno spavento, credevo che stessi male, che non ti risvegliassi più!"
"Quindi adesso vuoi farmi credere che ti importa qualcosa di me?" stringe lo sguardo nel mio.
"Io ci tengo a te, lo sai bene. Ci ho sempre tenuto"
"Anche quando mi hai mentito sulla vera identità del cavaliere mascherato?" sbotta.
"Non puoi essere arrabbiata così per qualcosa che è solo una sciocchezza. E' stata una bugia a fin di bene, dovresti buttarti alle spalle tutta questa storia. Non sei una bambina, questi sono giochetti da scolarette!"
Ashley sbuffa sonoramente e ficca la testa dentro la sua borsa. Le sue lunghe dita affusolate cercano qualcosa che sembrano non trovare. "Dove sono? Dove...." Farfuglia, poi, con una lentezza assurda alza lo sguardo nel mio. "Le hai prese tu, non è vero?"
"Se ti riferisci alla scatola di benzodiazepine, sì, le ho prese io" ostento sicurezza, anche se non credo di essere la persona più adatta per questo genere di ramanzine.
"Ridammele!" si scaglia contro di me con una rabbia che non ho mai visto prima; una foga sconosciuta, inspiegabile.
La afferro per le braccia, cercando di tenerla a distanza. Quella che ho dinnanzi è una ragazza che non conosco. Una Ashley che nasconde un mostro dentro l'anima. Una donna che mi spaventa. Terribilmente.
"Piantala!" La scuoto. "Non le ho più quelle pasticche, le ho buttate nel cesso, ad una ad una!"
Ashley si allontana da me. Si prende i capelli tra le mani, li tira e inizia a gridare. Sembra che abbia un demone in corpo. Una forza malvagia che la fa precipitare a terra, in ginocchio sul pavimento, in uno stato di inverosimile trasformazione. Dalla bella cheerleader truccata e posata, alla ragazza ribelle carica di odio.
"Ashley, tirati su, coraggio" mi piego, sostenendola per un braccio. "Smettila di strepitare e ragioniamo. Per favore..."
Lei mi respinge e lancia via la borsa, tutti gli oggetti che vi sono all'interno si sparpagliano qua e là. "Ho venduto il mio cellulare per quelle pasticche, ho pagato per quella roba e tu hai buttato tutto nel cesso!"
"Quella roba non fa per te, sono psicofarmaci. Tu non ne hai bisogno, lo capisci?"
"E invece sì! Lo vedi? Dici di conoscermi e invece non sai niente di me. Io ne ho bisogno. Ne ho un disperato bisogno, Santo Cielo!"
Mi avvicino di nuovo e cerco di abbracciarla. Voglio placare la sua furia, ma non so davvero da che parte rifarmi. Non ho mai pensato che fosse semplice, ma così è molto più complicato del previsto. I nervi di Ashley sono tesi, i suoi movimenti spropositati e il suo cervello completamente in tilt.
"Tu non hai bisogno di farmaci e nemmeno dello schifo che ti fa sniffare Daren"
Ashley mi rivolge uno dei suoi sguardi fulminanti. I suoi occhi sono un mare in piena tempesta. "Che ne sai?"
"Me lo hai detto tu ieri sera" cerco di mantenere la conversazione su un tono neutro. "Mi hai detto di far uso di benzodiazepine dopo le strisce..."
Lei si chiude a riccio. Il suo mondo è improvvisamente impenetrabile. Le braccia allacciate alle gambe e il corpo ricurvo. Il mento dentro le ginocchia e i capelli totalmente arruffati.
"Ci sono passata anche io, Ashley, so cosa significa vedere tutto nero, ma tu stai superando il limite di non ritorno. Ti prego, ti scongiuro, lascia che io ti aiuti..."
Lei non si muove di un centimetro. "Vattene via, voglio stare da sola!"
Ed è ciò che faccio, seppur a malincuore, mi allontano, lasciandola nel suo bozzolo, a fare i conti con la sua testardaggine, con il suo orgoglio e con il suo mondo fatto di sogni dalle ali spezzate.
***
Nel pomeriggio Daren si presenta alla porta della stanza. Ashley è stesa sul letto e sta ascoltando non so quale musica con il suo mp3.
"Salve, sono venuto a prendere Ashley" dice la guardia tiratrice con un bel sorriso smagliante.
Non faccio in tempo a replicare una banale scusa, che la bionda si presenta alle mie spalle, il giacchetto indosso e le cuffie che le pendono dalle orecchie.
"Daren, ti stavo aspettando!" si fionda contro il corpo muscoloso del ragazzo.
Inutile dire che nessuno dei due si degna della mia presenza mentre si scambiano un bacio appassionato con tanto di lingua, denti, saliva e chi più ne ha più ne metta.
"Cena in spiaggia e disco fino al mattino, ti piace il programma della serata?" Le mani di Daren tengono i fianchi di Ashley così stretti che sembrano aver paura di perdere la ragazza da un momento all'altro.
"Uno sballo!" ride lei, tra le labbra di lui.
"Tu non la porterai da nessuna parte!" mi metto in mezzo.
Daren mi squadra da capo a piedi. Non so se definirlo più stupito o perplesso. "Chi sei tu, la sua tata?"
"Sono la sua migliore amica" lo affronto. Mi sento piccola in confronto a lui, così alto e grosso e ben piazzato.
"Fatti una scopata, migliore amica, per l'acidità è il rimedio migliore, fidati!"
Ashley sghignazza e si lascia trascinare via, lontano da me, lontano dalla sua stanza, lontano da ogni possibilità di recupero.
Li vedo svanire nel corridoio, mescolandosi con gli studenti che tornano ai propri dormitori. Chiudo la porta, vi appoggio le spalle e scivolo a terra.
Un ragazzo qualunque si è appena preso gioco di me. La sua strafottenza ha avuto la meglio sulla mia buona fede. Prego che il signor Agee intervenga al più presto. Ho paura.
Ho improvvisamente tanta, troppa paura.
Un tempo, l'alcol si è portato via una parte dei miei anni migliori. Oggi, la droga mi sta portando via un'amica. Caccio indietro le lacrime, accovacciandomi sul pavimento.
Non ho nessuna intenzione di muovermi o spostarmi. Non voglio smettere di lottare ma neanche di pensare. Il mio stomaco si contrae, ricordandomi che in tutto il giorno ho messo in bocca più o meno mezzo biscotto. E, proprio quando mi decido ad andare alla ricerca di qualcosa di commestibile, qualcuno bussa alla porta con violenza. Forse Ashley ci ha ripensato. Forse è tornata indietro.
"Holland, apri, sono io!"
La voce di Ian mi fa schizzare in piedi.
Tolgo la sicura e lo lascio passare. Lui entra dentro come una furia. Il suo volto è piuttosto scosso, due cerchi viola gli incorniciano le palpebre.
"Che è successo?" La mia è quasi una domanda retorica.
Ian si porta le mani alla testa."Il pendolo è scomparso!"
Un brivido mi sale lungo la schiena, fino alla nuca. Cerco di capire cosa e come sia successo, indagando negli occhi afflitti del ragazzo che mi sta di fronte.
"Ieri sera l'ho lasciato incustodito sul tavolino, invece avrei dovuto rimettere le viti al loro posto e indossarlo. Mi sono fatto prendere dalla fretta per Ashley e ho commesso un maledetto errore!" Il suo respiro fa rumore. Il suo torace sale e scende più e più volte. "Non avrei mai dovuto aprirlo, non avrei mai dovuto togliermelo...cosa pensavo di fare? Sono stato uno stupido! Solo uno stupido!" si batte il palmo ritmicamente contro la fronte.
"Ehi, Ian, smettila di torturarti" gli blocco il polso.
Lui mi guarda con quei suoi occhi magnetici, così penetranti da far sciogliere il cuore ogni volta.
"Qualcuno lo ha preso" contrae la mandibola, "qualcuno è entrato nella mia stanza e lo ha preso!" Sembra non darsene pace. Sembra non farsene una ragione. E in effetti, di ragioni non ce ne sono. Il pendolo delle anime gemelle è l'unico appiglio che lui possiede per tornare alla sua vecchia vita. E' l'unica ancora che lo lega al passato. Ma è anche il filo rosso che lo lega a me, al mio cuore, alla mia esistenza.
"Hai trovato qualcosa in disordine? La porta aperta oppure..."
"Niente di niente. Tutto come abbiamo lasciato, ad eccezione dell'orologio, è come se fosse svanito nel nulla!" esclama.
"Chi può essere entrato nella tua stanza?" rimugino dentro la testa possibili opzioni.
Ian arriccia il naso, dilatando le narici. "Felton, ne sono sicuro! Quel ragazzino è capace di tutto!"
Una sensazione strana mi dice che Tom Felton questa volta non sia implicato nella vicenda, ma è soltanto un qualcosa di inspiegabile e inconscio. In fondo quel tipo è davvero capace di tutto, una stanza d'hotel non è certo un ostacolo per i suoi scopi. Ci è già entrato una volta, può benissimo aver fatto il bis.
"Anche se lo avesse preso Felton non potrà mai utilizzarlo, non fino a quando io e te saremo in vita"
Ian serra le labbra, stringe così forte i denti da far contrarre le mascelle. "Dobbiamo ritrovare quel pendolo!"
"Lo ritroveremo" lo rassicuro, posandogli una mano sul petto.
Le braccia di Ian si contraggono contro il mio corpo, avvolgendomi in un abbraccio degno di essere chiamato come tale. Lo annuso, lo inalo, lo respiro a pieno. Il mio naso e il suo collo.
La mia fiducia e la sua paura.
La mia voglia e la sua eterna indecisione.
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