SETTIMO CAPITOLO

Josh dormiva.
Finalmente, dopo quasi due settimane, riusciva a tenere un sonno tranquillo e senza sogni.
Il silenzio di quella notte, però, era assordante.
Qualcosa in me era spezzato, ma non me n'ero ancora abituato.
Sentivo fischiare le orecchie.
-Troppo silenzio.- mormorai, dando voce ai miei pensieri. Mi alzai e uscii fuori balcone della mia camera.
L'aria fredda mi investì, nuvolette bianche uscivano dalla mia bocca ad ogni respiro. La luna brillava intensa sopra il settore dei Pescatori, rendendo la contrada vip di un'inquietante tonalità azzurrognola.
Il rumore del mare che si abbatteva sugli scogli era l'unica testimonianza che ero ancora sveglio, e che quello non era un sogno.
Evitavo di dormire per più di tre ore di fila, altrimenti il volto di Sara appariva nei miei sogni.
E di nuovo quel magone all'altezza del cuore.
Mio padre sarebbe tornato di lì a una settimana.
E io cosa avevo ottenuto? Un bel niente.
Anzi sì: avevo perso una delle persone più importanti della mia vita.
Erano le cinque di mattina. E io non avevo nient'altro da fare.
Decisi di andare da Claude.
Mi vestii e infilai il giubotto pesante, presi le chiavi e scrissi un biglietto veloce a Josh, anche se era improbabile che si svegliasse.
Uscii di casa e mi diressi alla villetta dietro casa mia.
Le luci erano tutte accese.
Seguii il vialetto e, alla porta, nussai.
Nessuna risposta.
Bussai di nuovo, più forte.
Ancora, nessuno rispose.
Provai a spingere la porta, che si aprì.
Entrai con cautela, guardandomi intorno.
Il salotto era come al solito in ordine, il solito odore di chiuso, il solito centimetro di polvere su tutte le superfici.
Il solito divano, il solito tappeto spesso a terra, il solito pesce spada imbalsamato.
- Claude? - Chiamai.
- Claude sei in casa? Ti disturbo? - Chiesi con voce forte, cominciando a girovagare per la casa.
- Senti, io e Josh ci abbiamo pensato, ma non vogliamo più fare questa cosa, intendo, sai... - dissi, afferrando un vaso strano e avvicinandolo al viso per leggervici sopra la dedica - La cosa di catturare una Sirena. Non vogliamo più farlo - conclusi, aggirando il tavolo in cucina e ritornando in salotto.
Poi l'occhio mi cadde su una fotografia incorniciata sul tavolino davanti al divano.
I colori erano sgargianti, estremamente luminosi, innaturali.
Una grande radura, probabilmente vicino la foce di un fiume, verde e rigogliosa. Una immensa e imponente cascata dai colori dell'oro. Probabilmente una zona a nord del nostro settore. E nella porzione di lago fotografata tante ragazze, ognuna con un particolare diverso.
Ogni dettaglio di quella fotografia irradiava bellezza: dalla farfalla vicino una pianta, allo scoglio ricoperto di muschio, le alghe tra i capelli delle ragazze, il ritaglio di cielo nuvoloso, le chiazze indefinite dello specchio d'acqua.
Le ragazze anche.
Erano bellissime.
Osservai il viso di ognuna, con grande attenzione.
Com'era possibile che si assomigliassro tutte, eppure fossero tutte diverse?
Ero rapito da quella fotografia, ipnotizzato da ciò che rappresentava, come per richiamo mi ero avvicinato, e ora sentivo che mi apparteneva.
La infilai in tasca, preso dalla brama di farla mia. Mi guardai intorno, inpaurito di essere colto sul fatto.
La casa era deserta.
Claude dov'era finito?
Mi avvicinai alla camera da letto, esplorando la casa con cautela.
Sentivo la fotografia in tasca, la voglia di vederla di nuovo mi bruciava le viscere. Sentivo come un macigno lì dove l'avevo riposta, come una specie di battito irradiarsi da quella fragile carta incorniciata.
Un odore forte, pungente si instaurò nelle mie narici. Un tanfo micidiale, talmente forte da farmi provare un gusto metallico.
Un rumore sordo, lontano: un ronzio.
Aprii la porta lentamente, combattendo contro la voglia di scappare via da quel posto terrificante.
Allungai la mano sulla parete.
Trovai l'interruttore.
Accesi la luce.
Un lampo accecante della forte lampadina a led sul soffitto, poi la stanza venne a fuoco nei miei occhi.
Le gambe cedettero, ma trovai la forza di rimanere in piedi.
Ero pietrificato, immobilizzato, incapace di muovermi e andare da qualche parte.
Un magone cresceva lentamente, a mano a mano diventava più forte nel mio cuore.
Avevo trovato Claude.
Ma lui era morto.

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Quattro ore più tardi ero in camera mia.
La polizia era arrivata un'oretta dopo la mia chiamata, e aveva trasportato il corpo in ambulanza.
La scientifica mi aveva detto che era morto di vecchiaia.
Ero spaventato alla vista di ciò che avevo visto.
Un cadavere non è poi una cosa che si vede tutti i giorni.
Josh, svegliatosi, era andato in giardino.
Non sapevo se stesse piangendo o semplicemente pensando.
Non sapevo cosa provava, se si era affezionato a quell'uomo, o se la notizia della sua morte gli suscitava un qualche ricordo di Sara, e delle brevi lezioni seguite con lui.
Qualcosa pulsava, bruciava nella mia tasca.
La fotografia.
La tirai fuori con cautela.
I colori erano ancora sgargianti e ipnotizzanti.
Ogni dettaglio era ancora bellissimo.
Era tutta come l'avevo analizzata, come la ricordavo.
A parte un piccolo dettaglio.
Un volto, bellissimo, familiare.
- Ma... com'è possibile? - Sussurrai a me stesso.
Quel volto lo conoscevo bene.
Il volto di Sara.

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