OTTAVO CAPITOLO
Decisi subito di nascondere la foto, nel caso Josh la trovasse non me lo sarei mai perdonato. Ma come aveva fatto il volto di Sara a comparire così, all'improvviso? Ricordavo bene ogni singolo particolare di quella foto, ma quel volto... riosservando meglio, però, Sara sembrava diversa. Aveva una sfumatura grigiastra sulla pelle, gli occhi non erano più di un semplice marrone scuro ma sembravano pietre preziose color terriccio.
Presi la foto e feci per strapparla, ma qualcosa me lo impediva. La posai sul comodino, poi spostai lo sguardo sul carillon accanto.
Troppi oggetti che nascondevano troppi ricordi di Sara.
Dovevo sbarazzarmene.
Presi una scatola e infilai dentro tutto ciò che riguardava quella folle, stupida, corta e dolorosa avventura.
Il carillon. La foto. Un nastro per capelli di Sara.
Ogni oggetto che riponevo nella scatola era una fitta al cuore.
Indossai l'uniforme, e presi tutte le armi necessarie alla Pesca, ribadendo che le avrei buttate tutte.
Chiusi tutto con un profondo respiro di dolore, poi pensai dove buttare tutto.
E lo sguardo mi cadde fuori dalla finestra.
Il mare.
Il mare era colui che mi aveva portato via Sara, e il mare ne avrebbe portato via anche il ricordo.
Era un gesto sciocco ed egoistico, ma in quel momento non riuscivo a sopportare il dolore e la perdita.
Dovevo rimuovere Sara dalla mia mente.
Non potevo più sopportare il macigno all'altezza del petto.
Uscii di casa, e percorsi la strada verso la scogliera.
Non pensavo veramente a ciò che facevo, sapendo che poi me ne sarei pentito.
In quei minuti che mi separavano dalla rimozione forzata definitiva di Sara e del tentativo di catturare una Sirena, pensavo a tutto ciò che avevo passato.
A Claude, il suo debole per Sara, il suo passato misterioso, il cedimento improvviso nel cercare di aiutarci.
A Sara, la sua canzone, le sue informazioni, il suo debole per la lettura, le sue trecce lunghe e disordinate, i suoi occhi marroni sempre pieni di felicità.
A Deghan, e qui un'ira improvvisa m'ivase, che malgrado tutto ci era stato vicino, ci aveva aiutato, per quei corti e difficoltosi tre giorni di allenamento.
Percorsi il breve tratto di spiaggia, e mi imbattéi in una stradina ripida e scivolosa di rocce.
Mi piegai e posai con delicatezza la scatola sulla superfice salata dell'acqua, poi la guardai lentamente assorbire l'acqua, e, piano piano, affondare. La osservai fino a quando non riuscii più a scorgerne la sagoma sfocata sott'acqua.
Le onde m'impregnavano l'uniforme, ma in quel momento non potevo distrarmi.
Mi rialzai, ed afferrai il lanciarete, pronto a buttarlo in acqua, come precedentemente avevo fatto con la scatola.
Ma in quel momento l'occhio mi cadde in un punto, e un cieco terrore divorò la mia persona, immobilizzandomi per un istante.
Poi, reagii seguendo l'istinto, senza pensare alle conseguenze.
Corsi veloce, le suole che tentavano di rimanere a contatto con il suolo liscio e scivoloso degli scogli. L'odore salmastro mi pungeva le narici, regalandomi un'adrenalina dritta nelle vene.
In quel momento molti pensieri vorticavano nella mia mente, ma cercai di rimanere lucido: se fossi riuscito a commettere quest'azione, sarei ufficialmente diventato un Pescatore modello. In più, ero solo.
Il muschio mi era di sollievo, per certi tratti, durante la corsa.
L'uniforme bagnata era incollata al mio corpo, quasi fosse una seconda pelle.
Le onde sbattevano violentemente sulle rocce, creando giochi d'acqua. Il cielo tetro annunciava una tempesta.
Nell'acqua, un riflesso azzurro-violaceo mi precedeva.
Non staccai gli occhi dalla superficie del mare.
Non avrei potuto.
La creatura più temibile era a pochi metri di distanza da me. Uno dei predatori più pericolosi del mondo e anche la mia preda.
Il lanciarete mi pesava sulla spalla, ma dovetti continuare a correre. Impugnai con più forza l'arma tipica per questa caccia, un rampone di medie dimensioni.
La flora e la fauna in questa zona erano molto sviluppate, comunque non avrei mai scommesso di trovarla qui: una Sirena.
Vedevo la sua sagoma muoversi velocemente, evitando scogli, mucchi di alghe, pesci morti.
Una decima di metri più avanti, gli scogli finivano, lasciando spazio solo al mare.
Dovevo prenderla qui, ora, subito.
Mi pareva avesse i capelli neri, molto lunghi.
Posizionai il dito sul grilletto del rampone, pur non avendo esperienza, sapevo come fare.
Non la volevo morta, però.
Mirai alla coda, sperando di non prendere la colonna vertebrale.
E sparai.
Un sibilo forte si scagliò, superando in volume il rumore delle onde che s'infrangevano sulle rocce.
Mi sembrava di assistere alla scena a rallentatore.
Vidi il rampone scattare, il cuspide sferzare l'aria con sibili acuti, rincorso dalla corda di ferro.
E il cuspide s'infilò sottopelle, all'interno della pinna più grande della coda.
Un'urlo acuto di dolore squarciò l'aria.
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