NONO CAPITOLO
Ce l'avevo fatta.
Rimasi un attimo immobile, sconcertato dall'accaduto.
La creatura si agitava senza sosta, contorcendo il corpo e compiendo movimenti che avrebbero spezzato le ossa della schiena ad un normale essere umano.
Urlava con dolore.
Urla che mi fecero venire i brividi.
In un attimo capii che era comunque una creatura umana, in parte.
Il dolore era forte per lei tanto quanto per me.
Mi buttai in acqua, avvicinandomi quanto più potevo alla Sirena, che si aggrappava a uno scoglio invocando aiuto.
Un colorito bluastro colorava l'acqua, aleggiava l'odore metallico del sangue, mescolato a una qualche essenza marina e salata.
Non riuscivo a capire bene dove mettere le mani, il suo pianto mi toccava il cuore, volevo porre fine al suo dolore.
-Hey hey calma! Calmati!- cercavo di parlarle, ma probabilmente non mi sentiva, o non voleva sentirmi.
Ad un certo punto, facendo leva su uno scoglio, mi lancia su di lei, immobilizzandola con il mio corpo.
Lei smise subito di piangere e urlare, e mi guardò spaventata.
E io rimasi spaesato.
Non avevo mai visto qualcosa -qualcuno- di così bello. Capelli neri lunghi e bagnati le ricadevano sui seni nudi schiacciati dal mio corpo, gli occhi verdi accesi, come pietre preziose, ciglia lunghe ornate da gocce d'acqua marina, gote arrossate, bocca...
Mi destai da quell'attimo.
Nei suoi occhi c'era solo terrore.
In un primo momento avrei voluto lasciarla andare, curarla.
Ma poi, ricordai.
Quella notte.
I suoi simili, probabilmente quella creatura stessa, mi avevano portato via Sara.
Un'ira furente si scagliò sul mio cuore con tanta forza da farmi quasi provare dolore fisico.
Sicuramente il mio volto cambiò espressione, perché i suoi occhi velati da incertezza si riempirono di nuovo di terrore.
Mi aggrappai allo scoglio, uscendo dall'acqua. Lei mi guardava spaesata.
Mi piegai e afferrai le sue braccia biancastre e bagnate, e tirai.
Lei urlò, di dolore o di paura, ma io non mollai la presa.
La tirai quasi del tutto fuori dall'acqua, ma poi capii che non potevo portarla così a casa. Sarebbe morta per assenza di acqua.
E io dovevo averla viva per farla vedere a mio padre e alla popolazione del settore dei Pescatori.
Decisi di chiamare Josh. Una folle prova di fiducia, sapendo il suo carattere vulnerabile negli ultimi tempi.
-Josh.-
-Dove sei?- chiese lui preoccupato.
-Alla scogliera. Porta... non lo so, una vasca, qualcosa di grande che possa contenere dell'acqua.-
-Perché?- chise spaesato.
-Fidati di me.-
-C'è solo l'acquario.- disse annoiato.
-Prendi quello allora.- chiesi un po' arrabbiato.
-E i pesci?- chiese ancora. Ero sconvolto dalla sua calma, io stavo per scoppiare fra il dolore, l'eccitazione del momento, la paura e la stanchezza.
-Uccidili, se vuoi! Muoviti a portare qui quella vasca!- urlai, poi chiusi la telefonata. Abbassai lo sguardo sulla Sirena. Non aveva un bell'aspetto. Era molto più pallida di pochi istanti prima. Gli occhi chiusi, piangeva sommessamente, mentre con le braccia si copriva il petto.
Osservai affascinato la sua coda... lo strato spesso di squame violacee continuava col colore della pelle per un certo tratto sul basso ventre. Le innumerevoli sfumature create dalla luce del sole rendevano bellissima la sua coda di pesce. Le pinne erano afflosciate, tutta la sua pelle umana era coperta da una patina verdastra e gelatinosa, che la faceva in qualche modo brillare.
Il cuspide era ancora infilato alla sua coda, impregnato di quel sangue bluastro dall'odore metallico e salato, così come tutta la coda in prossimità di quella zona.
Afferrai la freccia e la tirai via.
La Sirena lanciò un urlo straziato.
Non era sicuramente il modo migliore per farlo, né il più igienico, ma non ero in vena di provare compassione per un'assassina.
Ritirai il rampone, così come il lanciarete, e li poggiai sulla pietra bagnata lontano dalla Predatrice.
Pochi minuti dopo il rumore di un'autovolo mi fece girare lo sguardo.
Josh era arrivato.
-Josh!- urlai sopraffatto dall'emozione -Josh qui!- urlai ancora.
Josh mi raggiunse con calma, le ombre sotto gli occhi, i capelli arruffati come se si fosse appena alzato dal letto, i vestiti appiccicati al corpo sudato e stropicciati.
Spalancò gli occhi appena mi vide.
-Nat!- urlò correndo nella mia posizione -che hai fatto?-
-Piano Josh...- cercai un modo per prepararlo prima che iniziasse ad urlare.
-E' una di loro.- sputò fuori le parole con un dolore, una repulsione e una rabbia tali da farmi venire la pelle d'oca.
-Uccidila, Nat.- mi disse, guardandola con odio.
-No.- dissi, risoluto.
-No?- chiese, stupito e arrabbiato.
-Dobbiamo tenerla. Finché non arriva mio padre.-
-Ti rendi conto di quello che dici? Ce l'ha portata via lei. Lei e i suoi simili. Ci hanno portato via Sara.- l'ultima parola venne detta in un singhiozzo.
-Per questo dobbiamo tenerla viva. Pensa quanta gente potremo aiutare! Sveleremo tutti i segreti di questa razza, creeremo delle difese contro questi... esseri, grazie a lei!-
-Una cavia da laboratorio?- chiese.
-In un certo senso.-
Evidentemente riuscii a convincerlo, perché aprì il retro dell'autovolo, rivelando una vasca vuota.
La tirò fuori, poi prese una pompa e cominciò a riempire la vasca di acqua salata.
In quel momento mi ricordai di nuovo di quell'essere alle mie spalle.
Mi girai e mi stupii di vederla sveglia, senza più lacrime da versare, che mi guardava.
Mi guardava con odio.
Mi stupì il fatto che anche loro potessero provare emozioni, come noi.
Josh si avvicinò e allungò le braccia per prenderla in braccio, ma la Sirena emise un sibilo, e spalancò la bocca, rivelando la sua vera natura. Denti aguzzi sbucarono dalle gengive, pronti a mordere, mentre gli occhi si socchiudevano in una smorfia provocatoria.
Josh si allontanò velocemente, spaventato.
In quell'istante mi lanciai su di lei e le afferrai le braccia dietro la schiena, poi presi il laccio dello stivale, lo slegai con una mano e lo usai per legarle i polsi.
La Sirena ricominciò a contorcersi, cercando di liberarsi, di scappare, invano.
Josh mi lanciò una benda, con la quale le oscurai gli occhi.
Poi, la presi in braccio. Non pesava molto, e mi stupì anche quello.
Si dimenava, mugugnava, lanciava gridolini sorpresi ad ogni mossa, ma non si contorceva più.
Non si ribellava più.
E la cosa mi stupì più di tutte.
La poggiai nella vasca piena d'acqua, dove lei subito cominciò a muoversi convulsamente.
Salii sull'autovolo, con Josh alla guida,e tornammo a casa.
Entrati, Josh mi aiutò a portare la vasca nel salotto.
Pesava davvero molto.
-Cosa facciamo adesso?- mi chiese.
-Io... beh, non saprei. La teniamo qui?-
-La vuoi allevare?!- chiese stupito Josh.
-No!- cercai di recuperare.
-Tu.- Josh si rivolse direttamente a lei -mi senti? Sei nostra prigioniera. Qualunque cosa farai, verrai punita. Potremmo farti molto più male di quanto immagini. Non tentare di scappare, non ci riuscirai.- parlò con voce accusatoria e graffiante, che mi fece venire i brividi. Se avevo io i brividi, lei tremava tutta, impaurita.
Sibilava, spalancava la bocca, ma, non vedendo il suo nemico, i denti aguzzi non uscivano.
Dopo pochi istanti, mi avvicinai e con cautela le slegai i polsi.
-Che fai?! Sei impazzito?!- chiese allarmato Josh.
-Sarebbe meglio farcela amica, di modo che non si ribelli troppo, non so se mi spiego...- gli dissi sottovoce accostandomi al suo orecchio. Lo vidi rifletttere, e poi annuire.
-Okay.- mi disse, poi sparì al piano di sopra.
Rimasi in silenzio, a guardare quella nuova estranea. Probabilmente credeva di essere sola, perché dopo pochi minuti allungò le mani delicate e si tolse la benda. Sbatté ripetutamente i suoi occhi verde smeraldo, guardandosi intorno.
Quando mi incontrò, sussultò per lo spavento.
-Non ti farò del male, a meno che non ti comporti bene.- le dissi, in tono rassicurante.
Mi parve di vederla annuire, ma fu solo un'istante, prima che si girasse dandomi la schiena, con la testa sott'acqua, le braccia strette al petto.
Dormiva.
Mi sedetti sul divano continuando ad osservarla.
Era straordinaria.
E pericolosa.
Mi appisolai senza volerlo.
Dopo un'ora o due mi svegliai di soprassalto.
Lei mi spiava da dietro il vetro. Quando vide che mi svegliai, sussultò di nuovo, mentre un velo rossastro le colorava le guance bagnate.
Arrossiva. Provava imbarazzo.
Non finivo di stupirmi.
Mi guardai intorno, e vidi con sorpresa che era notte inoltrata. La luce della cucina ci illuminava, io e la mia preda.
Mi alzai passandomi una mano sul volto, pungendomi con la barba non rasata. Afferrai la bottiglia d'acqua e bevvi un lungo sorso d'acqua.
Quando abbassai lo sguardo sul tavolo da cucina, notai qualcosa che prima non c'era.
Qualcosa che sapevo essere perso.
Qualcosa che non doveva assolutamente essere lì.
Il carillon di Claude.
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