DECIMO CAPITOLO

Osservai a lungo il carillon.
Com'era possibile che fosse apparso così, all'improvviso?!
Ricordavo bene di averlo buttato in mare, giusto quella mattina.
-Ahi.- sentii all'improvviso. Alzai di scatto lo sguardo alla Sirena nella vasca, nel mio salotto.
Si era punta il dito toccando una decorazione sul tavolino, un gladiatore di bronzo.
Ma la cosa importante era che aveva parlato.
-Tu parli?- le chiesi raggiungendola, e sedendomi di fronte a lei.
-Mi capisci? Riesci a capire ciò che dico?-
La vidi annuire. Pensai subito a qualcosa da chiederle.
-Raccontami com'è là sotto.- dico ammaliato all'idea di nuotare sott'acqua senza dover per forza respirare.
La vidi spalancare gli occhi, poi chiuderli, stringendosi le braccia al petto.
Capii subito che non avrebbe parlato.
Mi alzai, passandomi una mano fra i capelli.
Ripensai ancora all'apparizione dell'oggetto.
Doveva essere entrato qualcuno. Pensai di chiederlo alla Sirena, ma a quale scopo?
Non avrebbe certo parlato.
Guardai fuori: ancora buio. Sentivo un leggero borbottio, Josh che parlava nel sonno.
Afferrai un quadernino e cominciai a tirare giù uno schizzo del misero corpo dell' essere nel mio salotto.
Cominciai dalla coda, squamata, con pinne sottili e numerose. Salii ancora, disegnandole la vita sottile, poi il busto, i seni coperti dai capelli bagnati, le braccia sottili, le dita lunghe unite da uno strato di sottile pelle, il volto appuntito, la bocca larga con i denti aguzzi a confermare la sua natura da predatore, gli occhi grandi, il naso leggermente all'insù, i capelli aggrovigliati pieni di alghe.
Osservai un po' il disegno, ma mi sembrava sbagliato.
Così cancellai la bocca per rifarne una più umana, più piccola, più sottile.
Ora era decisamente meglio.
Sentii il lieve rumore dell'acqua muoversi, e capii che si stava assopendo di nuovo. Posai il quaderno, e mi voltai ad osservare l'ospite.
Mi guardava, la coda stretta fra le braccia, come a portare le ginocchia al petto. I capelli fuori dall'acqua avevano cominciato ad asciugarsi.
Aveva i capelli ricci, di un nero intenso.
Gli occhi verde smeraldo mi osservavano curiosi e inquieti.
Ci guardammo per quel che mi sembrò un attimo infinito.
La vedevo studiare il mio viso, il mio corpo, i miei capelli, la conformazione delle mani e del busto.
Mi sentivo leggermente sotto pressione.
-Hai fame? Vuoi che ti prepari qualcosa?- mi uscì di botto. Che domanda stupida! Ma cosa credevo? Le Sirene mangiavano le persone come me, come Sara. Non le avrei sicuramente servito un mio dito cotto in un piatto d'argento.
La vidi scuotere la testa, in cenno di dissenso.
Io invece mi alzai e afferrai la crema di nocciole dal mobile,poi mi sedetti davanti a lei, a guardarla.
A volte ne afferravo un cucchiaio e me lo portavo alla bocca.
La vedevo osservarmi rapita. Era interessata al modo di cibarsi di un umano?
Riempii un cucchiaio di crema e glielo porsi, consapevole dei rischi e volente di un esperimento.
Rimase interdetta ad osservare il cucchiaio come fosse uno strano animale in uno zoo, poi aprì lentamente la bocca. Mi sentii soddisfatto, glielo portai alla bocca e la imboccai, come se fosse un bambino fragile che viene svezzato.
Spalancò gli occhi, mentre la sua espressione mutava dal timore al piacere. Ingoiò lentamente, e poi arrossì coprendosi il viso con le mani e dandomi la schiena nuda.
Mi ritrovai a sorridere.
Era curioso osservare una razza così diversa dalla mia provare e apprezzare il nostro cibo.
Era curioso anche vederla provare i nostri sentimenti.
In poche parole, ero incuriosito da tutto ciò che faceva lei.
Mi attirava, dovevo ammetterlo. Il suo sguardo magnetico ancorava il mio, quando la guardavo mi era impossibile cambiare prospettiva.
Però il doloroso ricordo di Sara, aumentato dalla presenza improvvisa del carillon, era una fastidiosa spina nel fianco.
Mi ricordava costantemente il pericolo e lo spirito animale che si celava dietro quella creatura similmente umana.
Posai il barattolo di crema e il cucchiaio, e mi sdraiai sul divano, aspettando di addormentarmi.
Sentii un respiro rumoroso, e pensai che fosse Josh che si era svegliato e mi salutava.
Strano, considerato l'ora.
-Scendo lievemente nella bellezza primitiva dell'inesplorato mondo sottomarino.- spalanco gli occhi preso alla sprovvista. La voce di lei continua imbarazzata -Fluttuo in un silenzio, che rompo soltanto col suono del mio respiro. Sopra di me, c'è solo lo scintillio della luce, il luogo da cui provengo e a cui tornerò risalendo in superficie. Scendo, ancora, sempre più in fondo. Continuo a immergermi lungo banchi di corallo e alghe fluttuanti verso il blu profondo, dove c'è un banco di argentei pesci. E muovendomi nell'acqua emetto piccole bolle, che come meduse salgono sinuose.* La mia coda mi facilita il movimento, e come un'alga mi trascino seguendo la corrente marina. La luce dall'alto riscalda la mia casa, che mi accoglie come un anemone fa con i pesci. Ogni creatura marina mi è amica, e tutto ciò che mi circonda, è per me, casa. Non c'è caldo o freddo, il mare ci copre tutti come una madre farebbe con le sue uova.- concluse lei, rispondendo alla mia domanda.
La sua voce era musica per le mie orecchie. Una vocalità così dolce e aggraziata, così in armonia col suo aspetto fragile e fascinoso.
Rimasi a bocca aperta, portandomi a sedere, mentre la osservavo rapito.
La vidi arrossire ancora, e coprirsi il volto con le mani bagnate.
-Come ti chiami?- le chiesi in un sussurro. Ardivo dal sapere il nome di quella creatura che mi aveva rapito, che conquistava ogni secondo la mia attenzione, che ancorava il suo sguardo al mio, con i suoi occhi magnetici.
-Leah.- disse in un sorriso.
Wow, com'era bella.
E pericolosa.
Il ricordo di Sara si fece ancora più acuto, quando mi accorsi che cercavo con tutte le mie forze di allontanarlo dalla mente.
Come potevo cercare di dimenticare la mia migliore amica per via del bell'aspetto della sua assassina?
Il mio sguardo si fece più duro, ero decisamente combattuto. Mi alzai e camminai avanti e indietro qualche decina di volte, dopodiché, quando tornai a sedermi sul divano, mi accorsi che dormiva. O probabilmente faceva finta.
L'idea che fosse entrato qualcuno in casa mia mi terrorizzava, non tanto per il pericolo, ero ben addestrato, ma per il fatto Che avrebbe potuto rapire la mia ospite.
Perché, comunque, qualcuno era entrato, aveva riportato il carillon, e se n'era andato?
Dopo aver visto chiaramente la Sirena nella vasca?
Quale motivo aveva di spaventarmi a tal punto, se non per annunciare qualcosa, a questo punto?
Cosa aveva intenzione di dimostrare, riportando al mittente l'oggetto che avevo già dato per disperso?
E con domande come quelle mi addormentai.

****NOTA AUTRICE*****
*Citazione del film "un ponte per Terabithia"

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top