Sette

La fatidica settimana che ci separava dall'inizio della nostra carriera universitaria trascorse velocemente, forse anche troppo, e finalmente arrivò il grande giorno.

Dato che la facoltà di Fabrizio aveva sede in un altro punto di Roma, io e Veronica quella mattina ci recammo da sole nella Città Universitaria.

Chiedendo informazioni riuscimmo a trovare la sala presso la quale si sarebbe svolta la cerimonia di accoglienza per gli studenti del primo anno. I primi tempi era facile perdersi in un'università del genere!

Entrammo e prendemmo posto attendendo con impazienza l'inizio della cerimonia, la quale, in realtà, alla fine si rivelò per la maggior parte noiosa.

Al termine dell'accoglienza io e Veronica incontrammo alcuni studenti del CIAO (Centro Informazioni Accoglienza Orientamento) per informarci sull'orario delle lezioni e il calendario degli esami, scoprimmo così che avremmo dovuto spostarci in diversi edifici a seconda della lezione alla quale avremmo voluto assistere.

«Allora dovremo fare un bel po' di strada!» commentò Veronica mentre ci allontanavamo.

Annuii. «Già! Ci servirà la macchina.»

Fortunatamente Veronica possedeva già un'automobile. Io, invece, avevo preso la patente ma non avevo ancora un'automobile personale.

Quel pomeriggio Juan e Valerio avrebbero sostenuto un esame. Per loro era il secondo anno alla Sapienza, pertanto erano già abituati al clima universitario.

Non avevano specificato dove avrebbero tenuto l'esame, forse se ci fossimo trattenute li avremmo incontrati.

Come al solito Veronica mi chiese di accompagnarla in bagno. Impiegammo un po' di tempo per trovarne uno il più vicino possibile, e una volta arrivate attesi fuori dalla porta.

Mentre trafficavo con il cellulare tra i vari social network per ingannare il tempo, mi passò vicino qualcuno che canticchiava a bassa voce.

«Te c'hanno mai mannato a quer paese?
Sapessi quanta gente che ce sta...»

Quella voce mi sembrò familiare, così alzai lo sguardo per vedere chi fosse.

Come volevasi dimostrare era Valerio, con il suo solito repertorio tradizionale. Lo chiamai per attirare la sua attenzione.

«Er primo cittadino è am-... Sofia!» si girò lui tornando indietro per salutarmi. Nel frattempo Veronica stava uscendo dal bagno.

«Anvedi chi ce sta, le nuove universitarie!» esclamò allegramente Valerio.

«Eh sì» sospirò Veronica «Si può dire che adesso anche noi siamo dei vostri.»

«Come mai sei qui così presto?» gli domandai.

«Sono venuto a chiedere informazioni per le prossime lezioni, l'esame de oggi nun se fa qui» mi rispose.

«Ah, adesso si spiega» ribattei.

Decisi di approfittare per andare in bagno anch'io.

Visto che non c'era nessuno uscii dal gabinetto canticchiando La camisa negra, mi lavai le mani e mi diedi una risistemata veloce davanti allo specchio, dopodiché tornai da Veronica e Valerio.

«Ma te vai ar bagno pe cantà?» mi accolse quest'ultimo con aria divertita.

Accennai una risata. «Se non c'è nessuno mi capita.»

«Da che pulpito viene la predica, parla uno che non canta mai» ironizzò Veronica.

Valerio sospirò e si guardò intorno: ormai i corridoi erano praticamente vuoti. «Mo ce ne annamo ar bar, ce state?»

«Ma sì, non abbiamo fretta!» esclamò allegramente Veronica ottenendo anche la mia approvazione.

Facendoci strada, Valerio ci condusse nel bar più vicino. Non troppo grande, ma molto carino e rifornito. Dolci, panini, pizze, c'era un po' di tutto.

«Ormai questo è "Er bar de Valerio", sto sempre qua dopo le lezioni. I baristi so' tarmente abbituati che hanno cominciato a farme no sconto» ci spiegò, fiero della sua piccola "conquista".

Veronica rimase visibilmente sorpresa da questo fatto, dalla sua espressione già sapevo dove sarebbe andata a parare.

«Mi sa tanto che anche noi dovremmo farci un bar fisso... Vero, Sofia?»

Ah, lo sapevo!, pensai. Io e Veronica eravamo fin dal liceo delle grandi "compagne di merende". Anzi, a dire il vero anche di colazioni, di pranzi e di cene. In poche parole andavamo a mangiare qualcosa fuori spesso e volentieri.

«Eh, mi sa tanto!» risi.

Ci dirigemmo verso il bancone per ordinare. Valerio prese un vetrino, mentre io e Veronica una spremuta d'arancia.

«Oggi dieta?» ci canzonò Valerio mentre andavamo a sederci.

«Solo per il momento, dato che per stasera avevamo in mente una serata in casa come quelle dei vecchi tempi» ribattei.

«Film e fast food» aggiunse Veronica «Una volta ogni tanto si può fare, su.»

«Me sembrate ddu acciughe, potreste pure magnà de più» commentò il nostro accompagnatore con il suo immancabile accento.

Ci scappò da ridere.

«Grazie, ma non sarebbe il caso, fidati!» esclamai.

«Se lo dite voi...» farfugliò lui, iniziando a girare il vetrino con il cucchiaino.

Valerio si guardò intorno e ad un certo punto smise salutando qualcuno.

«Ah, c'è mia cugina» disse tra sé e sé.

Ci girammo verso quella direzione e notammo una ragazza entrare nel bar e venire verso di noi. Capelli fino alle spalle, mossi e scuri, occhi castani e un paio di occhiali neri abbastanza evidenti, vestita in maniera molto semplice. Mi sembrava apparentemente esasperata, ma aveva comunque un'aria simpatica.

«Non è possibile, mai una volta che non ci sia mio cugino qui!» esclamò divertita la ragazza salutandolo.

«E sarà sempre peggio, cara» replicò Valerio, che poi si rivolse a noi. «Mia cugina Gianna, vive qui da un anno.»

Ci presentammo a Gianna, che dopo aver ordinato un caffé si sedette con noi. Valerio ci spiegò che sua cugina non era di Roma ma di Montecatini, in Toscana, e si era trasferita nella capitale per iniziare l'università. Frequentava il secondo anno della facoltà di Lettere Moderne, quindi l'avremmo incontrata spesso.

Gianna ci raccontò la sua esperienza con le sue coinquiline, ampliata dagli immancabili commenti del cugino. Lei viveva con due sorelle di origini francesi, Brigitta e Geneviève Dufour, di ventiquattro e vent'anni. Insopportabili, false e opportuniste, in particolare la seconda, tanto che Gianna stava pensando di cambiare casa.

«Nun potete capì» si inserì ad un tratto Valerio «L'anno scorso quelle due burine stavano sempre appresso a Juan e ar fratello, tutte le sante sere le ritrovavo a passeggià de fronte la pizzeria o sotto casa nostra. Ahò, nun se poteva manco magnà 'n santa pace! Pare che pure mo ce continuano a provà, ma a Juan e su fratello nun gliene pò fregà de meno.»

Oh menomale, evviva!, pensai.

Accidenti a me, ma cosa andavo pensando? Non era da me, non mi era mai successo! Cosa mi prendeva?

«Ma grazie al Cielo, spero per loro che quelle due si arrendano. Anche se la vedo difficile» commentò Gianna.

«St'estate pe poco nun le mannavo a cagà» aggiunse Valerio, sconcertato.

Mi venne da ridere. «Beh oddio, in effetti non avresti avuto tutti i torti se sono veramente così.»

«Eccome!» intervenne Gianna «Io ora sono venuta qui per svagarmi un attimo, oggi sono già arrivata al limite della sopportazione.»

Tra una chiacchiera e l'altra ognuno terminò la propria bevanda e ci alzammo per andare via.

Salutammo Gianna e decidemmo di invitare sia lei che Valerio a vedere un film e a mangiare hamburger e patatine da noi quella sera, loro accettarono di buon grado e ci demmo appuntamento per le otto.

Dopo aver lasciato la Città Universitaria io e Veronica ci dirigemmo verso un supermercato, facemmo la spesa e tornammo a casa per pranzare con un bel piatto di pasta alla carbonara.

Mentre cucinavamo, ripensando al racconto della cugina di Valerio, mi chiedevo quante spasimanti potesse avere Juan, se ne aveva altre oltre a quelle due sorelle.

Ma come mai così tanta preoccupazione da parte mia?

Eccovi il settimo capitolo!
Spero vi piaccia.
Votate e/o commentate se volete che continui :)
Grazie! ♥

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