*7*

1975, ottobre.







La scomparsa misteriosa ed improvvisa di Ginger aveva destabilizzato, in un modo o nell'altro, tutte le persone attorno a lei, ma quello che più di tutte stava soffrendo era senza alcuna ombra di dubbio Keith; Demi Richard era ancora troppo piccolo per comprendere quello che era successo e che stava accadendo all'interno della sua famiglia, ma nel caso di Keith era tutta un'altra storia.

Aveva già sofferto una volta per il divorzio di Ginger e David, una seconda quando aveva perso l'adorata zia materna ed il colpo definitivo era arrivato la mattina in cui, tramite Pamela, aveva scoperto che la madre se ne era andata lasciando una lettera in cui non accennava minimamente a quando avrebbe fatto ritorno da loro, da lui; era scappata dai suoi problemi, da una vita che non riusciva più a sopportare per non impazzire definitivamente, e Keith aveva compreso di essere parte integrante di quei problemi, altrimenti perché la madre lo avrebbe lasciato indietro?

Si era convinto di essere stato abbandonato, di avere fatto qualcosa che aveva spinto la sua stessa madre ad allontanarsi senza dargli alcuna spiegazione ed a nulla erano servite le parole dolci e di consolazione della nonna materna, perché neppure lei era stata in grado di dargli le risposte che cercava così disperatamente; la tristezza ed il dolore si erano rapidamente trasformati in rabbia e frustrazione, e com'era prevedibile avevano finito per ripercuotersi nel suo umore e nel suo andamento scolastico: i suoi voti erano crollati drasticamente, ed anche il suo atteggiamento in classe, nei confronti degli insegnanti e dei compagni, non era più lo stesso, perché se fino a prima di essere abbandonato dalla madre aveva sempre dimostrato di essere un bambino gentile ed educato, adesso non erano rare le volte in cui rispondeva in modo aggressivo e maleducato.

A nulla servivano i continui sforzi di Pamela, e quelli di David non davano un risultato migliore; i due si erano anche confrontati per decidere se fosse opportuno far seguire il piccolo da uno psicologo infantile, data la sua situazione particolarmente delicata, ma purtroppo quando avevano provato a parlarne con lui non erano riusciti neppure a convincerlo a fare un tentativo, ed erano stati costretti ad accantonare almeno momentaneamente l'idea, con l'intenzione, però, di riprovarci in un momento migliore.

Keith aveva finito per isolarsi rapidamente da tutti gli altri bambini, ed oramai trascorreva i momenti di pausa dalle lezioni rintanato in un angolo del cortile, lontano dai suoi compagni che giocavano, ridevano e strillavano; durante i primi tempi c'era stato qualcuno che aveva provato a convincerlo ad unirsi ai loro giochi, ma dopo numerosi rifiuti nessuno si era più fatto avanti, e quando la notizia di quello che era successo si era sparsa, tutti avevano iniziato a mormorare, e quei mormorii erano ancora più insopportabili e fastidiosi delle persone che gli scattavano foto senza alcun permesso.

Ed erano più insopportabili perché non poteva metterli a tacere dicendo che erano solo delle menzogne, e non aveva la madre al proprio fianco pronta a consolarlo e rassicurarlo: non solo non era presente, ma non sapeva neanche né quando né se sarebbe tornata.

E se era andata via per sempre?

"Ciao, Keith".

Keith sentì una vocina dolce rivolgergli quel saluto gentile; sollevò gli occhi dal terreno e vide un paio di scarpe lucide e nere, sollevò ancora di più gli occhi e vide delle gambe magre e sottili che appartenevano ad una bambina che lo stava osservando con un sorriso tanto gentile quanto la sua voce.

Era Gala, e se la situazione fosse stata diversa con ogni probabilità il cuore di Keith avrebbe iniziato a pompare sangue più velocemente, ma in quel momento si limitò ad osservarla senza alcuna reazione e senza ricambiare il suo sorriso.

"Vieni a giocare con me?"

"Non mi va" rispose lui, ritornando a fissare il terreno e stringendosi le ginocchia contro il petto; si aspettava che Gala se ne andasse per tornare a giocare con le sue amiche, ed invece la bambina si sedette a sua volta per terra e gli rivolse ancora la parola, incuriosita.

"Che cosa stai facendo?"

"Sto guardando i lombrichi"

"Ohh, sembra molto interessante!"

"Lasciami in pace, Gala. Non ho bisogno di quello che stai facendo. Vattene dalle tue stupide amiche" rispose in modo scontroso Keith, con un'espressione corrucciata e gli occhi rivolti al terreno; il gruppetto di Gala si trovava a poca distanza, le parole di Keith giunsero fino alle loro orecchie, ed una bambina, particolarmente risentita per essere stata definita stupida, gli diede subito il benservito.

"Hai sentito quello che ti ha detto, Gala, lascialo perdere che è solo che tempo perso. Nessuno vuole stare con lui perché è troppo strano, anche i suoi genitori lo hanno abbandonato".

I bambini sapevano essere molto più crudeli degli adulti, e quella bambina aveva detto quelle parole con il preciso scopo di ferire Keith, ma non si aspettava che provocassero addirittura una reazione violenta in lui, ed invece fu proprio ciò che accadde: sotto lo sguardo sconcertato di tutti gli altri bambini, Keith si alzò e si fiondò addosso alla bambina, tirandole con forza i capelli; non sentì le urla dei suoi coetanei e si fermò solo quando venne afferrato ed allontanato da un'insegnante che era subito accorsa per separare i due.

"Anderson! Wright! Subito in presidenza!".

Con uno sguardo stranito, Keith si accorse che con l'altra mano la giovane donna teneva ferma Gala, ma non riuscì a domandare nulla perché venne immediatamente trascinato verso l'ufficio del preside ed insieme all'amica si ritrovò seduto fuori dalla porta, in attesa di essere convocato; immaginò che all'interno del suo ufficio il preside stava contattando le loro famiglie per metterle al corrente di quello che era successo, e che a breve sarebbe arrivata o sua nonna o David ed avrebbe passato dei guai seri, ma non riusciva a capire che cosa c'entrasse Gala e perché era stata prelevata anche lei.

Glielo chiese, e scoprì con sorpresa che anche lei aveva partecipato in modo attivo all'aggressione, solo che lui non se ne era accorto perché era troppo impegnato a tirare i capelli alla bambina che lo aveva provocato; scoprì anche, come gli confessò la stessa Gala senza alcun pentimento, che lei aveva contribuito assestando un doloro morso al braccio destro della sua compagna di classe.

L'aveva morsa con così tanta forza che i segni dei denti le sarebbero rimasti impressi per diverso tempo.

"Perché lo hai fatto?"

"Perché non mi è piaciuto quello che ti ha detto"

"Ma non è una tua amica?"

"Non mi è mai piaciuta molto in realtà e non mi sono piaciute le parole che ti ha detto. È stata cattiva e meritava una bella lezione"

"E tu mi hai difeso dopo quello che ti ho detto, rischiando di finire a tua volta in punizione? I tuoi genitori si arrabbieranno molto quando sapranno cosa è successo... A meno che non lo sappiano già" commentò Keith, girandosi in direzione della porta dell'ufficio, ma Gala scosse le spalle, per nulla preoccupata delle conseguenze del proprio gesto.

"Non importa. Gli amici vanno sempre difesi e tu sei mio amico... Anche se non sei stato molto gentile, ma non importa. Capita a tutti la giornata sbagliata" disse lei, scuotendo la testa "e voglio anche dirti che io non credo a quello che dicono. Sono tutte sciocchezze"

"Tu non pensi che io sia strano?"

"No. E se fossi strano, allora ti direi che mi piace molto questa tua stranezza. E se tu fossi strano ed a me piacesse la tua stranezza, allora sarei strana anch'io" dopo aver risposto con sicurezza e determinazione, annuendo con la testa, Gala posò la mano sinistra su quella destra di Keith e sorrise con dolcezza; questa volta il piccolo non rimase indifferente: il suo battito cardiaco accelerò, le guance si tinsero di un rosa più acceso e si ritrovò a ricambiare il sorriso, sorridendo a sua volta.

Come non gli accadeva da mesi.

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