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Sfortunatamente per Ginger, lei aveva torto mentre Roger ragione, ma se ne rese conto solo la mattina seguente, quando al proprio risvegliò scoprì che il malessere era aumentato, così come il mal di testa ed i brividi di freddo, e che non poteva essere attribuito ad un po’ di stanchezza e di freddo; ostinata, ed orgogliosa com’era, però, non disse nulla al bassista, costringendolo a scoprire tutto da solo: sperava che non si accorgesse di nulla, ed invece non solo lui notò subito le guance rosse e gli occhi lucidi, ma insistette perché la giovane si provasse la febbre, ed anche questa volta non rimase affatto sorpreso quando vide la lineetta blu di mercurio liquido sfiorare i trentotto gradi.

“Proprio come sospettavo, guarda” commentò il bassista, girando il termometro in modo che anche la ragazza potesse vedere il responso “ed eccoti spiegato perché in pieno inverno non è una buona idea uscire da una macchina con addosso solo la biancheria intima. Temo che sarai costretta a prolungare il tuo soggiorno qui”

“Non ci penso nemmeno” replicò lei, prontamente, compiendo uno sforzo non indifferente per tirarsi su col busto; in realtà stava male, sentiva tutti i classici sintomi di una brutta influenza, ma non aveva alcuna intenzione di restare ancora a casa di Roger “fammi vedere, sei sicuro di aver guardato bene? L’hai misurata correttamente?”

“Non ho appoggiato il termometro sul termosifone acceso, se è questo che intendi. Io e mio fratello usavamo questo trucco da ragazzi, quando non volevamo andare a scuola, ma non ha mai funzionato. Quell’idiota di John aspettava sempre troppo tempo, e capisci anche tu che non è credibile che il termometro segni quaranta gradi ed avere la fronte fresca. Nostra madre finiva sempre per scoprirci. Ma nel tuo caso, basta uno sguardo per capire che hai la febbre alta”

“No, impossibile, sto benissimo”

“Ginger, lo hai detto tu stessa che non ti sentivi affatto bene ieri”

“Ma quello era per la stanchezza ed il freddo, adesso è diverso. Dammi quel termometro, voglio riprovarmela, è evidente che hai sbagliato qualcosa”.

Era inutile insistere, e quindi Roger si limitò a passare il termometro alla giovane, ma, proprio come si aspettava, dieci minuti dopo il risultato era sempre il medesimo: la lineetta di mercurio blu segnava trentotto gradi; alla vista del responso, sul volto di lui apparve un’espressione soddisfatta mentre su quello di lei una confusa.

“Hai visto? Che ti avevo detto?” disse, trionfante, mentre la giovane continuava a fissare la lineetta con la speranza che iniziasse a scendere “stai male, e non puoi muoverti fino a quando la temperatura non tornerà normale”

“No, sto benissimo. Ho bisogno solo di un po’ di riposo, e già questa sera sarò pronta per tornare a casa”

“Ginger, ascolta, non penso affatto che sia una buona idea. Una febbre così alta non può passare nell’arco di mezza giornata, e se anche dovesse miracolosamente scendere, se ti accompagnassi a casa rischieresti solo di prendere altro freddo e di stare ancora più male. E viste le tue attuali condizioni, potresti stare così male da finire in ospedale”.

Le ultime parole di Roger fecero spalancare gli occhi alla giovane, terrorizzata com’era dagli ospedali in generale; aveva sempre avuto quella fobia, e la malattia di Jennifer, insieme ai continui ricoveri, aveva contribuito solo ad aumentarla fino all’esasperazione, tanto che quasi non voleva neppure sentire la parola ospedale, perché già quella le faceva venire i brividi.

“Io non ho bisogno di andare in ospedale, come non ho bisogno di stare qui altri giorni. Entro questa sera starò benissimo e tu mi accompagnerai a casa. E non provare a trattenermi contro la mia volontà, perché non sei nessuno per farlo: o mi accompagni tu o faccio da sola con un taxi. Ho solo… Ho solo bisogno di riposare ancora un po’” sentenziò la rossa, sdraiandosi di nuovo e girandosi dall’altra parte, dando la schiena al bassista, che la guardava sconcertato; a quest’ultimo non rimase altro che sospirare, scuotere la testa ed alzarsi dal bordo del letto.

“Credevo non potesse esistere una persona più insopportabile di mio fratello, ed invece sei riuscita a farmi cambiare idea a riguardo. Se pensi di avere bisogno solo di un po’ di riposo in più, allora ti aspetto quando ti sentirai meglio e vorrai tornare a casa”

“Ci puoi giurare che sarà così” rispose in tono di sfida Ginger, dal bozzo di coperte in cui si era rintanata, nel momento in cui il giovane uomo stava richiudendo la porta, assolutamente convinta di sentirsi meglio ed in grado di stare in piedi entro il tramonto.









Roger non vide più Ginger per il resto della giornata, fino all’imbrunire; si trovava in cucina, ad osservare quelle poche cose che aveva in frigo senza alcun interesse, quando sentì dei passi provenire dal salotto e, voltandosi, vide la giovane in piedi davanti alla porta che separava le due stanze.

Prima ancora che lei avesse il tempo di aprire bocca, capì all’istante che non stava affatto bene: gli occhi erano ancora lucidi, le guance rosse, tremava da capo a piedi ed era avvolta in una coperta che sfiorava il pavimento.

“Non dirmi che vuoi essere accompagnata a casa perché sarebbe una follia” disse il giovane uomo, con un’espressione sorpresa, aspettandosi che la ragazza fosse scesa proprio per avanzare quell’assurda richiesta, ed invece lei scosse la testa da destra a sinistra, stringendosi di più alla coperta.

“N…No… Io… Non posso stare in camera… C’è… C’è qualcuno…”

“Qualcuno? Qualcuno chi?”

“Non… Non lo so, ma… Ma c’è qualcuno” ripeté la giovane, con sicurezza, tremando e battendo i denti; non poteva trattarsi di Fender o Precision perché entrambi i grossi gatti neri si trovavano in cucina da diverso tempo, ed in un primo momento Roger immaginò che si trattasse di un’altra allucinazione provocata dalla droga che ancora non aveva smesso di avere effetto, ma osservando la giovane con più attenzione, ed il tremore costante che le attraversava tutto il corpo, capì che la pasticca non c’entrava nulla, e che le manie di persecuzione erano tornate a causa della febbre alta.

Waters lasciò perdere la cena, tanto non era particolarmente affamato, e raggiunse Ginger per convincerla a tornare a letto, perché non poteva restare ancora in piedi nelle condizioni in cui si trovava; la storia delle allucinazioni, poi, non gli piaceva affatto perché significava che la febbre anziché scendere era salita ancora.

“Non c’è nessuno in camera, Ginger, abbiamo già affrontato questo discorso. Vieni, ti faccio vedere” prestando attenzione che non avesse un mancamento improvviso, Roger accompagnò Ginger al primo piano e, come aveva fatto la notte di natale, entrò per primo nella stanza per gli ospiti, e di nuovo le mostrò che lì dentro non c’era nessun altro al di fuori di loro due “vedi? Qualunque cosa tu veda in questo momento non è reale, è solo dovuta alla febbre”.

Con quelle parole, e seppur con qualche riluttanza, riuscì a convincere la ragazza a sdraiarsi sul letto, al caldo sotto le coperte, e riuscì anche a convincerla a misurarsi di nuovo la temperatura corporea per vedere quali erano le sue attuali condizioni, e scoprì di non essersi sbagliato: i trentotto gradi della mattina si erano trasformati in trentanove e mezzo.

“Ci credo che tu abbia le allucinazioni. Questo non va bene per niente” mormorò il giovane uomo, con un tono di voce completamente diverso da quello che aveva usato fino a quel momento; adesso iniziava a preoccuparsi ed a rendersi conto di aver sottovalutato fin troppo la situazione “non pensavo che la febbre sarebbe salita così tanto. A questo punto, credo sia meglio avvertire Pamela di quello che sta succedendo e prendere in considerazione l’eventualità di andare al pronto soccorso più vicino per un controllo”.

Roger sussultò sentendosi afferrare il polso destro all’improvviso: quando Ginger aveva udito la parola pronto soccorso, nonostante la debolezza che aveva in corpo, era riuscita a tirarsi su di scatto, afferrare Waters e spalancare gli occhi.

“No, io in ospedale non ci vado. Non ripeterlo più. Non dirlo una seconda volta neppure per scherzo. E non dire nulla neppure a mommi

“Non fare la sciocca, non c’è affatto da scherzare quando c’è di mezzo una febbre alta. È meglio andare in ospedale prima che la situazione si aggrava e possa diventare pericolosa”

“No,no, no, no, no. Non ci voglio andare in ospedale. Non ci voglio andare” Ginger era così terrorizzata dalla prospettiva di dover varcare ancora una volta l’entrata di un pronto soccorso, anche solo per qualche accertamento, che iniziò ad ansimare alla ricerca di aria; vedendola in procinto di avere un attacco di panico, Roger si ritrovò costretto a cambiare totalmente approccio e di accantonare momentaneamente l’idea dell’ospedale.

“D’accordo, ho capito, non ci vuoi andare. Non è un problema, non ti devi agitare, ma hai comunque una febbre alta che non può essere ignorata e quindi faremo in questo modo: la terremo sottocontrollo per l’intera notte, e se non dovesse scendere o dovesse alzarsi ancora, allora andremo in ospedale. Non è detto che in quel caso sarai costretta a restare là per giorni, Ginger, magari dovrai restare alcune ore per dei controlli. È sempre meglio fugare ogni possibile dubbio in situazioni come questa, non credi?”

“Sì… Mh… Credo di sì, ma non voglio essere costretta ad andarci” mormorò la giovane, girando la testa a destra ed a sinistra, controllando la stanza “tu resterai qui stanotte?”.

Roger rimase colpito da quella richiesta: Ginger stava così male da desiderare la sua presenza.

Se fosse stato lo stronzo che lei immaginava, visto il modo in cui era stato trattato fino alla mattina, le avrebbe detto che per nessuna ragione al mondo avrebbe trascorso un’altra notte in bianco per una persona irriconoscente… Ma non era stronzo fino a quei livelli.

“Sì, resterò qui, così sarò pronto quando avrai bisogno di qualcosa. Adesso riposa”.

La rossa, per colpa della febbre alta, si sentiva terribilmente debole e spossata, tuttavia, anche se non era in grado di alzarsi in piedi non era neppure in grado di chiudere gli occhi ed addormentarsi; e così, dopo alcuni minuti passati a rigirarsi sul materasso, puntò di nuovo gli occhi assonnati e lucidi verso il bassista, che si era seduto sulla poltrona e stava sfogliando un giornale, con ogni probabilità una copia del Times.

“Sei sicuro che siano solo allucinazioni?”

“Credevo stessi dormendo” Roger distolse lo sguardo dalle notizie più importanti del giorno per concentrarlo su Ginger, che a sua volta lo stava fissando “comunque sì, quelle che credi di vedere sono solo allucinazioni. Non c’è niente di reale”

“E come fai ad esserne così sicuro?”

“Perché è successo anche a me” spiegò il giovane uomo, piegando il giornale e riponendolo sopra le ginocchia “da ragazzino, per una sciocchezza, mi sono rotto un braccio, e la ferita da cui fuoriusciva il pezzo d’osso si è infettata. Ho avuto una febbre così alta che mia madre è stata costretta a farmi ricoverare in ospedale, ed una delle poche cose che ricordo in quei giorni è che mi sembrava di avere le mani gonfie come dei palloni. Ne ero sicurissimo, lo vedevo coi miei stessi occhi che le mie mani non erano normali, ma in realtà era tutto nella mia testa. Sia mia madre che mio fratello, quando sono stato dimesso, mi hanno confermato che le mie mani sono sempre state normali. Ecco perché sono così certo che sia così anche nel tuo caso”

“Anche se quello che vedo sembra particolarmente reale?”

“Che cosa sei convinta di vedere?” domandò, a quel punto, incuriosito il bassista; ormai quella domanda continuava a tormentarlo perché quando i sensi della giovane erano alterati, o per la droga o per la febbre, andava incontro sempre alla stessa allucinazione: era convinta di essere inseguita e spiata da qualcuno… O qualcosa. Ma lei, anziché rispondere, si strinse con timore alle coperte “non devi avere paura, parlarne ti aiuterà a renderle meno spaventose. Che cosa pensi di vedere?”

“Non li vedo, ma li sento” mormorò Ginger con timore “loro

Loro chi? Chi sono loro?”.

Ginger rispose dopo un’altra esitazione.

“I vermi” disse infine, in un sussurro, sgranando gli occhi, incredula perché era riuscita a confessare un’altra delle sue paure più profonde.

Roger non riuscì a capire a che cosa si stesse riferendo fino a quando non gli tornò in mente l’esaurimento nervoso avuto da Syd l’ultima sera della vacanza a Formentera; si ricordò all’improvviso che proprio in quell’occasione, mentre cercava in tutti i modi di calmarlo, lui aveva urlato più e più volte di sentire dei vermi nella propria testa, che gli parlavano e gli masticavano il cervello.

E adesso li vedeva anche la giovane, evidentemente in una sorta di rappresentazione fisica dei sensi di colpa per non essere intervenuta prima e per non aver fatto nulla per il padre del suo primogenito.

“Stai parlando di quello che vedeva anche Syd?”

“Sì, sono stata una stupida a non credergli, perché adesso stanno tormentando anche me. Hanno iniziato ancora a Formentera. Una mattina mi sono svegliata completamente sudata, dopo aver sognato che il mio letto era pieno di vermi brulicanti, e da quel momento non se ne sono mai andati. Negli ultimi tempi sono diventati ancora più insistenti. Li sento sempre sussurrare, anche se non capisco quello che dicono, soprattutto la notte, quando sono circondata dal silenzio. Non mi lasciano quasi chiudere occhio” le parole ed il tono di voce della giovane non solo spaventarono il bassista, ma lo costrinsero a guardare in faccia la cruda realtà: la sua situazione, il quadro generale, era più grave di quello che aveva sospettato e visto negli ultimi giorni, perché stava imboccando la stessa strada di Syd.

E se qualcuno non fosse intervenuto in tempo, quasi sicuramente avrebbe fatto anche la sua stessa fine.

“Non ci pensare adesso. Pensa piuttosto a riposare ed a riprendere le forze”

“E se dovessi avere ancora un incubo?”

“Se dovessi avere ancora un incubo, ci penserò io a svegliarti. D’accordo?”.

La giovane annuì piano con la testa, si girò dall’altra parte e chiuse gli occhi nel tentativo di riuscire a dormire un po’ e di non essere tormentata ancora dalle allucinazioni; riuscì ad addormentarsi, anche se a fatica a causa del mal di testa, ma la sua seconda richiesta non venne accontentata: non solo i vermi riapparvero nei suoi incubi, ma la mattina successiva aprì gli occhi con la sgradevole sensazione di avere sognato qualcosa di così orrendo che era meglio che non ricordasse nulla di nulla.

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