Capitolo uno

Nella vita le cose cambiano improvvisamente, lo sanno tutti: grandi, piccoli, anziani.
Prima c'è il sole, poi piove.
Prima stai bene, poi male.
Sei vivo? Bhe, a morire non ci metti niente.
Ti fanno credere che hai il controllo su tutto, che puoi essere come vuoi, che puoi amare chi vuoi.
Ti fanno credere che puoi comprare ciò di cui hai bisogno ... ma solo se hai i soldi.
Che tutti possono essere belli ... se rispettano i canoni della società.
Ti fanno pensare che il mondo se la passa bene di questi tempi ... se sei dalla parte giusta del globo.
Però se qualcosa deve cambiare , "Cambia" e tu non puoi farci niente.

Ricordo ancora quel giorno, sembravano tutti impazziti; persino il tempo, di solito monotonamente preciso, sembrava essersi svegliato con la lancetta storta. Era stata una giornata strana, un primo giugno afoso e pieno di cose da fare, il mondo sentiva che stava per accadere qualcosa, senza sapere cosa, e inconsapevolmente si era dato da fare.
Anche le abitudini della gente sembravano cambiate: I miei genitori, che di solito erano a casa dopo aver lavorato tutta la notte, quella mattina erano usciti senza dirmi dove andavano; mia sorella aveva invitato il suo nuovo ragazzo ad una scampagnata sulla collina vicina; la mia migliore amica, topo di biblioteca DOC, aveva messo da parte le sue letture per "esplorare il mondo reale", cosa che in quattordici anni di amicizia mai le avevo visto fare ; io invece, sorda al richiamo dell'estate che arrivava e restia a cambiare la mia routine , ero rimasta sola tutto il giorno per pulire casa, in vista della festa che si sarebbe tenuta l'indomani in occasione del due giugno. Mi fermai solo di sera, quando il sole oramai stava tramontando proprio dove l'orizzonte appiattisce ogni cosa rendendola un'unica e continua linea, e andai a sedermi in veranda, per poter finalmente contemplare il cielo che quella volta era di un azzurro così intenso che sembrava mattina: le nuvole rosee erano dipinte su quel velo che da lì a poco avrebbe preso le sfumature della notte; il verde degli alberi mossi leggermente dal vento donava al paesaggio un senso di pace, incastrandosi perfettamente con il quadro di tranquillità che il tutto andava a creare.
Dalla cucina la voce del giornalista arrivava confusa, come la musica di una radio sintonizzata male, di quello che diceva riuscivo a cogliere solo alcune parole che se messe insieme probabilmente non mi avrebbero fatto capire comunque di cosa stesse parlando.
Improvvisamente iniziò a piovere, una pioggia forte... così forte che provocava rumore. Il cielo prima sereno, era stato coperto da nuvole scure e quando un lampo illuminó il paesaggio, seguito da un tuono, capii che il mio momento di tranquillità era finito.
Sarei dovuta rientrare, ma non lo feci sia perché amavo la pioggia e sia per il suono che questa faceva quando batteva sulle superfici, un suono che aveva la capacita di rilassarmi sempre.
Brum. Plin. Brum. Plin.
Un ritmo ripetitivo, suonato dal cielo sempre più velocemente ... una dolce melodia che si poteva udire solo stando fermi.
Il vento si alzò, facendo cadere la girandola che avevo fissato al cancello di ferro, le tende rosse della mia casa sull'albero avevano iniziato una danza assieme agli uccelli che non riuscivano a volare. I miei capelli, prima raccolti ordinatamente, ora erano un ammasso confuso di riccioli neri.
Degli elicotteri sorvolarono rumorosamente l'area sopra la mia testa, così corsi in fondo al giardino per vederli meglio; non avevo mai visto degli elicotteri dalle mie parti e non ero mai salita su un aeroplano, nave, o treno. La mia famiglia possedeva solo una macchina molto vecchia che non sempre andava così la maggior parte delle volte dovevamo spostarci con le biciclette per andare a scuola o per raggiungere il centro.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Contavo gli ammassi ferrosi volanti con gli occhi rivolti verso il cielo. Oramai ero zuppa da capo a piedi e probabilmente mi sarei beccata un'influenza ma non me ne importava ... La mia curiosità ancora una volta aveva vinto.
Volavano bassi quindi stavano per atterrare probabilmente ... stavo ancora pensando a cosa cercassero in un posto come quello che una voce proveniente dall'alto mi fece sobbalzare.
- Codice8091. Tutti i civili si dirigano al municipio. Ripeto. Codice8091. Tutti i civili si dirigano al municipio.
Tornai in casa, per chiamare i miei e capire cosa fare, ma trovai il mio telefono che lampeggiava.
Tre chiamate perse e due messaggi.
"Vai al municipio, porta con te le valigie che sono nel doppiofondo dell'armadio. Sbrigati. Sweet Mamy."
Risposi al messaggio e andai nel ripostiglio.
Avevamo un grande armadio che occupava tutta la parete laterale; a primo impatto sembrava vuoto ma premendo i punti giusti si riusciva a spostare un pannello dove c'era un fondo profondo un metro e largo due. Tirai fuori quattro valigie di diversi colori e le caricai in macchina sperando che partisse. Il motore era un po' ingolfato e quando l'accesi fece tanto fumo, ma dopo un po' si mise in moto come si deve e riuscii a partire.
La pioggia era ancora forte e mi costringeva ad attivare il rumorosissimo tergicristallo, che strideva sui vetri come il gesso sulla lavagna. Quando arrivai al municipio vidi che gli elicotteri erano atterrati dietro il campo sportivo lì vicino e che alcuni militari stavano scendendo assieme ad una Troupe Televisiva. Qualunque cosa fosse doveva essere importante. Lasciai la macchina in un viale dietro il municipio, vicino ad una scala di ferro che portava al tetto dell'edificio e mi diressi verso l'entrata con i pesanti borsoni che rendevano i miei movimenti più impacciati del solito.
La porta d'ingresso della sala convegni era chiusa, sentivo però il brusio delle voci che discutevano al di là dello spesso pannello di legno.
-Signorina non si muova!
Una voce femminile mi fece immobilizzare. Mi girai lentamente, sentendomi un ladro colto con le mani nel sacco ... anche se non stavo facendo nulla ed era mio diritto entrare in quel luogo dove probabilmente si trovava la mia famiglia.
- Non è ammesso portare più di una borsa a testa. Dovrá lasciare qui le altre tre. - disse la militare.
- Mi scusi, ma le altre sono per mia madre, mio padre e mia sorella ... secondo i miei calcoli non sono in errore signora. -risposi, risultando più acida di quanto avessi voluto.
- Fornisca il suo cognome. Controllerò che i suoi genitori siano dentro e che lei non abbia mentito... e per tua informazione sono un Maggiore, ragazzina.
- Willow.
La donna andò via senza dire altro, tornando qualche minuto dopo con mio padre. Quando finalmente entrammo notai che :  A) C'era tutto il paese al completo, da Thomas Collis ( due mesi) a Mila Dennys (104 anni) seduti gli uni accanto agli altri su numerosissime sedie di plastica, i piccoli in braccio ai genitori, e alcuni dovevano restare in piedi, perlopiù ragazzi iperattivi e turisti; B) Vicino a mia sorella c'era solo un posto e di mia madre nessuna traccia. Papà, alias Mr W, mi fece sedere lì e sparì tra la gente.
- Finalmente sei arrivata. - sussurró mia sorella.
Dalyn. Diciassette anni. Capelli neri lunghi e occhi da cerbiatta. Sapeva farmi ridere in ogni occasione ma anche farmi spaventare come nessun altro al mondo. A due anni si era lanciata dal sediolone perché voleva essere una farfalla; a quattro anni aveva deciso che era un cane e aveva morso la mia gamba così forte che ne porto ancora i segni; quando aveva tredici anni aveva bevuto così tanto con le sue amiche da vomitare direttamente sul mio vestito del ballo scolastico, il risultato fu che non riuscii ad andarci visto che era il giorno dopo.
Io e lei eravamo diverse ma allo stesso tempo simili. Questo ci rendeva quasi inseparabili.
Vidi mio padre salire sul palco, lui che non amava stare al centro della scena e poi ... il mio mondo inizió a crollare.

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