L'arte di essere felici
Capitolo molto lungo che purtroppo ho dovuto tagliare sul più bello, altrimenti sarebbe stato veramente esagerato!
Proprio per questo però, ho deciso che posterò il prossimo un po' prima del solito ⭐️
Ps: dopo la fine della storia mi piacerebbe scrivere dei missing moments ambientati prima/durante/dopo "Emma" (ad esempio: com'è iniziato il rapporto tra Mike e Cher? Come si sono conosciuti Emma e Cole? ecc)
Vi piacerebbe?
Se si, cosa sareste curiosi di leggere?
Schopenhauer, in suo famoso trattato dal nome L'arte di essere felici, spiegava che la felicità non è altro che un'irraggiungibile illusione e che tutto ciò che noi comuni mortali possiamo fare è anelarla, tendere ad essa.
Rimasi scettico la prima volta che lessi queste parole.
Si insomma, un po' mi piaceva l'idea dell'irraggiungibile perché rende la meta sempre più desiderabile, ma d'altra parte trovavo decisamente troppo pessimista questo punto di vista.
Per il filosofo infatti, la felicità non esiste e l'unica cosa a cui è possibile arrivare è l'infelicità minima, l'attenuazione della sofferenza.
Emma aveva cercato per ore di convincermi su quanto effettivamente avesse ragione, su come questo pensiero risultasse non solo infinitamente profondo, ma anche realistico se applicato alla vita di tutti i giorni.
Non siamo mai davvero felici, aveva infatti detto, solo che a volte siamo meno infelici.
Ed io non lo avevo capito cosa intendesse.
Non lo avevo capito fino a quando non avevo avuto quella discussione con Cole, fino a quando non avevo visto il suo dolore e non mi aveva sbattuto in faccia il suo odio.
Solo allora, mentre uscivo di casa alla disperata ricerca di non so cosa, quel discorso mi era tornato in mente e all'improvviso aveva iniziato ad avere un senso.
Avevo perso tutto.
Cole, mia madre, Emma, Stephen, Cheryl.
Non mi ero accontentato, avevo voluto tutto per un capriccio, sempre di più, sempre di più...
E poi avevo buttato tutto all'aria, distrutto il mio castello di carte un pezzetto alla volta.
Prima avevo ignorato Steph, poi tradito mio fratello, deluso mia madre, offeso la mia ragazza, allontanato la persona che teneva a me più di chiunque altro.
Avevo accumulato cazzate su cazzate pensando che questo mi avrebbe reso felice ed invece, alla fin fine, tutto ciò che in quel momento desideravo era rimettere in piedi almeno uno di quei rapporti, ritornare a sorridere almeno per un istante.
Non desideravo più la felicità perché avevo provato ad ottenerla e si era rivelato un casino.
Ora volevo solo essere un po' meno infelice.
*
Sapevo di dover fare qualcosa, ma c'erano così tante opzioni davanti a me che non sapevo da dove cominciare.
Era come quando ti ritrovi la camera a soqquadro dopo giorni di trascuratezza e non riesci a decidere cosa sistemare per primo perché, in quel caos, qualsiasi alternativa ti sembra troppo complessa, qualsiasi scelta difficile da portare a termine.
Presi quindi a ragionare all'inverso, partendo da ciò che era più impossibile e che mi sarei riservato per ultimo: parlare di nuovo con Cole.
Se ci fossi andato in quel momento, subito dopo la nostra discussione, molto probabilmente non avrei risolto nulla e, anzi, mi sarei beccato un altro pugno.
Al secondo posto c'erano Emma e Cheryl, entrambe così arrabbiate con me che non sapevo come avrei potuto recuperarle.
E poi c'era Steph, sicuramente deluso dal mio comportamento e dalla mia indifferenza, ma dopotutto non così tanto da spaventarmi.
Annuii tra me e me mentre mi avviavo verso l'auto, le chiavi che rigiravo nervosamente tra le dita.
La scelta migliore, e forse anche la più semplice, era parlare prima di tutto con il mio migliore amico.
Afferrai quindi il telefono dalla tasca ma, mentre scorrevo le chat cercando la sua, mi saltò all'occhio un gruppo whatsapp che non utilizzavo da un po'.
I tre dell'apocalisse.
Sorrisi involontariamente al ricordare quante cazzate c'eravamo scritti lì, quante volte ero rimasto sveglio ad inoltrargli foto stupide e loro mi avevano risposto con note vocali senza senso.
Stephen e Cheryl mi mancavano singolarmente, questo era vero, ma mi mancava anche la nostra amicizia, il trio che mai avrei pensato qualcuno riuscisse a separare.
E forse fu per questo che decisi di scrivere lí piuttosto che nella chat privata con Steph.
Per questo o perché, in fondo, volevo che Cher sapesse che stavo pensando a lei.
Ci vediamo al The Host?
Ho bisogno di parlarvi.
Stephen rispose praticamente subito, quasi che stesse aspettando quelle parole.
Non scrisse nulla di che, solo un semplice ok, ma bastò a farmi capire che c'era ancora qualcosa per cui valeva la pena lottare.
Cheryl invece non mi degnò neppure di un visualizzato e, animato da non so quale sicurezza, credetti che avesse letto l'anteprima del messaggio sullo schermo del suo iPhone e, forse, avrebbe comunque deciso di raggiungerci.
Credevo non rispondesse per non darmela vinta, ma che poi sarebbe venuta perché anche lei sapeva che era venuto il momento di mettere a posto le cose.
E invece non avevo capito un cazzo.
Quando arrivai al bar infatti lei non c'era, assente come le spunte blu accanto al suo nome.
Non aveva letto il messaggio perché semplicemente non voleva vedermi, non c'era più alcuna sfida aperta tra noi, era tutto finito e basta.
Stephen c'era invece.
E, nonostante fossi certo che la delusione mi si sarebbe letta in faccia, mi avviai verso il suo tavolo cercando di sorridere nella maniera più convincente possibile.
<< Ehi >>
<< Ciao Mike >>
Non era freddo, ma non era neppure se stesso.
Indossava una formalità che gli stava larga addosso, come se l'avesse presa in prestito da qualcun altro.
<< Come stai? >> provai, ma lui mi interruppe subito.
<< Possiamo saltare i convenevoli? >> esclamò << Mi fanno sentire un estraneo >>
Annuii, anche perché provavo la stessa identica sensazione.
Era il mio migliore amico da tutta la vita, eppure mi sembrava che ci conoscessimo appena, che dovessi attendere il momento giusto per dirgli ciò che sentivo, rispettare il suo silenzio ed immaginare i suoi pensieri.
Non mi sentivo spontaneo, ma forse non era tanto lui il problema, quanto piuttosto la situazione che si era messa tra noi.
Provai quindi a dirgli l'unica cosa certa, quel filo sottile che ancora teneva in equilibrio il nostro rapporto.
<< Grazie per non aver detto nulla a Cole >>
Lui sorrise appena.
<< Ma ti pare! >>
E poi abbassò lo sguardo.
<< Sei il mio migliore amico Mike, anche se ultimamente sei stato uno stronzo. Voglio bene a Cole, questo si, ma non avrei mai tradito la tua fiducia >>
Lo sapevo, ma non per questo mi colpì di meno.
Mi era stato fedele fino all'ultimo ed io l'avevo ripagato ignorandolo completamente.
Non sapevo nulla di quello che gli fosse successo negli ultimi mesi, di cosa avesse provato, vissuto.
<< Mi dispiace Steph, non so neanch'io cosa mi sia preso >> provai a spiegarmi, ma senza sapere bene cosa dire.
<< Ero così concentrato su Emma da non vedere nient'altro e, quando Cole mi ha detto di te e Kevin, mi sono sentito un coglione >>
Accennò nuovamente un sorriso, probabilmente solo per aver sentito nominare il suo ragazzo.
E mi chiedi come fosse iniziata tra loro, come da due playboy sciupafemmine si fossero improvvisamente trasformati in una stabile coppietta omosessuale.
<< È stato difficile all'inizio >> spiegò, quasi che m'avesse letto nel pensiero << Avrei avuto bisogno di averti vicino, ma non avevo il coraggio di chiedertelo. >>
Mi bastò quella frase a capire che non mi avrebbe raccontato la loro storia, o almeno non quel giorno.
Mi voleva bene, me ne avrebbe sempre voluto, ma era deluso e non si sarebbe aperto così facilmente.
<< Per fortuna c'era Cher con me... >>
Non saprei dire se ci rimasi più male al sentire che lei era presente quando io invece non c'ero o, semplicemente, all'immaginarla prendersi cura di qualcuno che non fossi io.
Ero dannatamente egoista con lei, me ne rendevo conto, attaccato all'idea di essere l'unico per cui si sarebbe battuta, l'unico che avrebbe protetto ad ogni costo.
Ma Steph era suo amico proprio come lo ero io.
E quel pensiero, quell'uguaglianza improvvisa, mi fece male.
<< Sei stato un vero stronzo con lei >> mormorò Steph, riuscendo a leggere i miei pensieri come nessuno faceva da tempo.
<< Io non ce l'ho con te Mike, sono solo un po' deluso >> continuò << Ma Cher... >>
<< Cher non sa neppure lei cosa voglia >>
Non so dire perché risposi in quel modo, con quel tono antipatico e quell'enfasi.
Forse fu dovuto al pensiero di poco prima o forse semplicemente al fatto che, quando si trattava di lei, io riuscivo sempre e solo a stare sulla difensiva, quasi che attaccarla fosse l'unico modo che avevo per proteggermi.
<< Oh fidati, lei lo sa benissimo >>
Stava dalla sua parte, ma era comprensibile.
Ciò che ancora non comprendevo era come fossimo arrivati, io e lei, a stare da due parti opposte.
<< Lo sapevo anch'io >>
Deglutii, pronto a dire per la prima volta qualcosa che per mesi mi ero tenuto dentro.
Steph mi guardò interrogativo.
<< Prima di quel cazzo di bacio tra lei e Cole io... >>
<< Tu? >>
Niente da fare.
Dalla mia bocca, le cose belle, proprio non riuscivano ad uscire.
<< Non lo so Steph, provavo delle cose strane >>
Le ultime parole lo fecero ridacchiare.
<< Definisci cose strane >>
Alzai gli occhi al cielo.
Quella mia totale incapacità di comunicare i miei sentimenti a tratti mi esasperava, a tratti mi divertiva quasi.
<< La volevo, la volevo sempre >> mi resi conto solo dopo dell'ambiguità di quella frase << E non come starai immaginando, non sto dicendo che volessi scoparmela, sto dicendo che, boh, andavo al cinema e pensavo se il film le sarebbe piaciuto, fumavo una canna e credevo fosse troppa erba solo per me, mangiavo qualcosa e pensavo che avrei dovuto farglielo assaggiare >>
La sua espressione diventò vagamente intenerita, il che mi fece subito ritrarre nuovamente nella mia comfort zone.
<< Sono un coglione sdolcinato, lo so >>
Lui scosse la testa.
<< No bro, a dirla tutta non mi sei mai sembrato meno coglione di adesso >> ridacchiò, facendo rilassare un po' anche me con quella battuta.
<< E poi? >> domandò << Davvero quel bacetto dato per gioco ha cambiato tutto? >>
Annuii nonostante, posta in questo modo, la questione sembrasse davvero assurda.
<< Quel bacetto mi fece capire che a lei, di me, non gliene fregava nulla >> spiegai allora << E poi boh, da lì è successo di tutto. L'ho allontanata, mi sono messo con Emma... >>
<< E quello che provi per Emma è come quello che provavi per Cher? >>
Gli ero infinitamente grato per il modo in cui aveva messo da parte i suoi sentimenti per psicanalizzarmi, eppure le sue domande erano troppo piccate per permettermi di rispondere.
Avevo paura di quelle frasi, perché più di tutto avevo paura di scoprire cosa mi sarei risposto.
Scossi quindi la testa.
<< Non lo so >>
E non saprei dire se fosse vero, se non lo sapessi o se semplicemente non volessi saperlo.
Tutto ciò che sapevo era che il discorso stava prendendo una piega decisamente inaspettata, una strada che non avrei immaginato di dover percorrere, o almeno non in quel momento.
<< Ma lasciamo stare me per un attimo >> dissi infatti a Steph << io voglio sapere di te e Kev >>
Sorrise e, per la prima volta da quando mi ero seduto, non era per ironia o per tenerezza.
Era per me.
<< Ti racconterò tutto, te lo prometto >> mi rassicurò << Ma adesso credo tu abbia qualcosa di più urgente da fare. >>
Ed aveva proprio ragione.
*
Non so dirti quanto mi dispiaccia per quello che ti ho detto.
Sono stato uno stronzo, ero arrabbiato e ho sfogato tutto su di te.
Ma ti giuro che posso essere molto meglio di così...
Ti va se ci vediamo?
Pigiai il tasto invio, sperando che Emma riconoscesse la sincerità dietro lo schermo o che, quantomeno, leggesse ciò che le avevo scritto.
E nel frattempo, quasi in contemporanea, posai il dito sul campanello, schiacciandolo con molta più forza di quanta ne intendessi usare.
Non m'aspettavo che venisse lei ad aprirmi anzi, a dirla tutta non sapevo neppure se fosse in casa.
Ma non m'aspettavo neppure di trovarmi di fronte a sua madre, quella donna che per anni mi aveva visto crescere e che adesso mi guardava con aria troppo consapevole.
Mi chiesi cosa sapesse e soprattutto quanto a fondo.
<< Ciao Mike >>
Mi grattai la nuca, imbarazzato.
<< Salve signora Peters >> mi sforzai di sorridere, sperando che la mia espressione non tradisse tutte le mie colpe.
Lei sfoggiò un'espressione strana, un misto di affetto e di rimprovero.
<< Se stai per chiedermi se Cher è in casa la risposta è sì >> esclamò << Ma non credo che abbia voglia di vederti >>
Sapeva.
Eccome se sapeva.
Ma da quanto? Lo sapeva già quando sgattaiolavo qui in piena notte, quando sua figlia si trasferiva da me per giorni, quando trascorreva più tempo a telefono con me piuttosto che sui libri?
Lo sapeva quante volte avevamo fatto sesso, quante altre invece eravamo semplicemente stati sdraiati a disegnare i nostri pensieri, quante volte c'eravamo urlati contro, quante altre avevamo avuto paura di ciò che provavamo?
Più elencavo quei momenti e più mi rendevo conto che non lo stavo facendo per la mamma di Cheryl: non volevo che lei sapesse tutte queste cose e, anzi, neppure credevo che fosse così.
Lo stavo facendo per me.
Per ricordami il motivo per cui ero lì, la ragione per la quale dovevo insistere sebbene lei non volesse vedermi.
<< Posso entrare comunque? >> mormorai quindi, molto a disagio << Ho bisogno di parlarle >>
Non disse nulla, ma mi fece cenno di passare.
Ed io capii che quello era il suo modo per darmi una speranza, seppur minima.
Attraversai quindi il corridoio che portava alla sua camera, una lunga strada costellata di fotografie sue e dei suoi genitori.
Bussai con una fortissima esitazione, quasi in imbarazzo.
<< Má, ti ho detto che non lo voglio vedere! >> sbottò, com'era prevedibile che facesse.
Inspirai allora profondamente e, prendendo coraggio, spalancai la porta.
Era tutto come lo ricordavo, tutto perfettamente in disordine proprio come lei, sdraiata sul letto tra i libri di anatomia e gli appunti scritti a matita.
Aveva i capelli corti scompigliati, un vecchio pantalone della tuta e una felpa larga, slabbrata.
Gli occhiali poggiati sul naso, una penna stretta nervosamente tra i denti.
Era quotidiana.
Era bella.
Ed era molto molto arrabbiata.
Così tanto che, appena mi vide, scattò in piedi.
<< Mike, permettiti di fare un altro passo e giuro che ti metto le mani addosso! >> mi minacciò, ma quella frase sapeva troppo di doppio senso per non farmi sorridere involontariamente.
<< E non in quel senso! >> si affrettò quindi ad aggiungere ma, nonostante il suo tono, non potei fare a meno di notare che la felpa che indossava, quella slabbrata che le stava così larga, un tempo era stata mia.
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