IX
Francesco e Andrea non se la presero più di tanto. Anzi, per la bellezza di cinque minuti riuscirono addirittura a fingere che trovare qualcuno che mi sostituisse entro dodici ore fosse l'ultimo dei loro problemi. Ma allo scoccare della campanella, dopo avermi salutato, scattarono come due levrieri da una parte all'altra dell'istituto, braccando quanti più ignari ragazzi possibili.
Io mi limitai ad affrontare una sola persona, ma credimi: valeva per mille.
Elisa era davvero una ragazza carina: la prima volta che glielo dissi fu anche l'ultima, perché pare che alle orecchie di una ragazza l'aggettivo "carina" abbia lo stesso suono di "bruttina", però quando la scovai nel gruppo delle sue amiche all'uscita da scuola, non riuscii a trovare un altro termine per commentare mentalmente il suo aspetto.
Carina, sì, ma più autoritaria di un dittatore: mi individuò quand'ero ancora a dieci metri di distanza e le bastò un rapido gesto della mano alle altre ragazze per rimanere sola con me. Soltanto in quel momento realizzai che ero stato insieme alla ragazza più benestante della scuola per ben tre settimane e mezzo.
La nostra conversazione fu lunga e spiacevole, come volevasi dimostrare, e te la risparmio ad eccezione della conclusione, perché merita.
«Toglimi una curiosità: hai la minima idea di dove abito?» mi chiese con un terribile sorriso sofisticato, uno di quelli che all'epoca della nostra relazione aveva contribuito al mio ritiro in panchina.
«In effetti... No», ammisi. Avevo dei vaghi ricordi di lei che insisteva per portarmi a casa sua e di me stesso che inventavo scuse ridicole per tirarmi indietro.
«E come mai all'improvviso ti interessa che organizzi la festa di Capodanno?»
Non ero perspicace, ma il mio olfatto funzionava alla grande e riuscii a riconoscere la puzza di gelosia alla prima zaffata. Avevo creduto che sfoderare tutta la mia compassione nei confronti di Jessica e del suo amato progetto sarebbe stata un'ottima mossa per convincerla ad accettare, ma evidentemente, così come l'aggettivo "carina", anche il sostantivo "solidarietà" inserito in un contesto femminile celava delle interpretazioni a me ignote.
Tentati un'ultima volta la mia strategia: «Era per fare un favore a Jessica...», ma la puzza divenne d'un tratto insopportabile e la risposta di Elisa ne fu la perfetta concretizzazione verbale: «E da quando siete diventati amici?»
Decisi di eliminare momentaneamente le parole "Jessica", "favore", "amica" dal mio vocabolario e mi aggrappai al salvagente lanciato in extremis dalla mia creatività: «In realtà, sai, lo faccio per un amico. Lui ha un debole per una ragazza che è sicuro verrebbe alla festa, se tu la organizzassi. Non voleva che si sapesse in giro, tutto qui.»
La sua espressione mutò in un'occhiata sospettosa, ma controllata, del tutto simile a quella degli assassini nei telefilm quando ritirano l'indice dal grilletto perché hanno deciso di patteggiare.
«Verrai con questo amico, quindi?»
Prima di quella domanda non avevo ancora trovato il coraggio di svelare alla mia coscienza l'idea che aveva smosso la sabbia del mio pigro intelletto facendomi rinunciare a Londra: era rimasta lì sotto, al calduccio, mentre l'acqua del mio stagno cerebrale andava offuscandosi sempre di più.
Ma ecco, era arrivato il momento di guardarla in faccia: io volevo andare alla festa con Silvia, non con il mio amico immaginario. Però Elisa non avrebbe mai organizzato nulla se le avessi detto la verità, così fui costretto a mentirle, di nuovo: «Certo! Allora, ci stai?»
Il suo sorriso sofisticato tornò a gelarmi il sangue nelle vene: «Va bene. Non capisco perché Jessica non sia venuta a chiedermelo di persona. In fondo, casa mia potrebbe ospitare un esercito e i miei mi lasceranno sicuramente campo libero. Ora scusami, si è fatto tardi. Ti farò avere due inviti in più, per il tuo amico e la sua misteriosa ragazza.»
Mi salutò in fretta, lasciandomi solo nel piazzale ormai deserto.
Ero fregato.
...
Non vorrei tediarti con il racconto di come riuscii a trovare un amico che fosse disposto a venire alla festa e a fingere di provarci con una ragazza, ma le conseguenze di questa scelta si rivelarono particolarmente importanti per quello che sarebbe accaduto dopo, quindi credo valga la pena spiegarla.
La ricerca tra gli individui del mio stesso sesso filò liscia come l'olio e mi condusse a Marco, 4^B Sportivo, il meno sportivo tra i suoi compagni sbruffoni, nonché il meno sbruffone di tutti in assoluto. Non era una cima, tant'è che era stato bocciato il primo anno di Liceo e aveva cambiato indirizzo abbandonandomi alla mercé dei sapientoni, ma per il breve periodo che avevamo trascorso insieme era stato un ottimo vicino di banco; così, prima della fine della settimana, riallacciai il nostro rapporto e scoprii che era rimasto lo stesso compagno leale e disponibile che imbottiva la calcolatrice di bigliettini. Era un ragazzone un po' più alto di me con un armadio al posto delle spalle, un'ordinata schiera di riccioli biondi in testa e due occhi azzurri quanto l'acqua della piscina in cui si allenava. Non prendeva mai nulla sul serio, tantomeno le ragazze, per questo, nonostante i connotati, il suo nome non era mai spiccato in testa ai discorsi della scuola. Era l'alleato perfetto e quando gli esposi la mia proposta, quella lo divertì a tal punto che quasi quasi l'ottimismo prese il sopravvento anche su di me.
Ma poi arrivò il momento della scelta dell'individuo con due cromosomi X ed ebbi l'idea – geniale o fatale a seconda dei punti di vista – di chiedergli un consiglio.
«Ma quindi, fammi capire: tu vorresti andare alla festa con questa Silvia, però devi fingere di venire con me, altrimenti la tua ex potrebbe dare di matto?»
«Esatto. Ho scoperto che è leggermente paranoica. Dev'essere una che non è abituata a farsi mollare.»
«Io però dovrei fingere di provarci con una tipa che ancora non hai trovato?»
«Giusto... Basterà che si faccia vedere insieme a noi soltanto per un po', non credo che Elisa ti terrà gli occhi addosso per tutta la serata.»
«Ma tu avresti soltanto due biglietti in più, uno per me e uno per la tipa.»
«Beh, sì, ma quanto potrà essere difficile far entrare anche Silvia? Elisa non la conosce, non la noterà nemmeno se si imbuca.»
«Stai scherzando? Ho sentito dire che Elisa non lascerà entrare nemmeno una mosca senza invito. E poi, Giò, se Elisa è davvero una maniaca del controllo e la vostra storia le è rimasta tanto sullo stomaco, probabilmente non terrà gli occhi addosso a me, ma a te» disse.
«E quindi?»
«E quindi sei fottuto, perché non puoi pensare di imboscarti con la ragazza che ti piace senza che la tua ex capisca il trucco.»
Mi sfuggì un'imprecazione. Le sue capacità di ragionamento erano migliorate parecchio dall'ultima volta in cui avevo tentato di spiegargli come risolvere un'equazione. Aveva ragione su ogni fronte: il mio obiettivo non era esattamente quello di imboscarmi con Silvia da qualche parte, ma non volevo nemmeno passare la serata a puntarla con un binocolo. Fu allora che Marco ebbe l'illuminazione.
«Potresti chiedere direttamente a Silvia di farci da copertura, così becchiamo due piccioni con una fava!»
«Cioè, Silvia dovrebbe fare la parte della tipa a cui tu vai dietro?»
La sola idea mi mandava in pappa il cervello, eppure più ci riflettevo, più mi sembrava l'unica soluzione possibile. Marco sorrise sornione: «È perfetto. Se poi la tipa è veramente carina come hai detto, non ci sono problemi.»
Sorvolai sul suo commento soltanto perché c'era, in effetti, un grande problema, ed era molto più importante della mia gelosia: come avrei fatto a spiegarlo alla "tipa"?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top