II

Il nostro secondo incontro avvenne di lunedì. Un lunedì di pioggia, e non una pioggia qualunque: si trattava di quel fitto, assordante e ininterrotto scroscio d'acqua in grado di svuotarti il cervello da qualsiasi pensiero di senso compiuto che fosse riuscito faticosamente a formarsi nel breve intervallo di tempo trascorso dal momento del risveglio fino all'istante del varco della soglia scolastica.

A causa di questa piccola alluvione, dunque, avvennero due cose: la prima è che raggiunsi il mio banco navigando nei miei stessi vestiti. La seconda è che, zuppo come una spugna, mi ritrovai a fissare il foglio protocollo della verifica di matematica senza avere la più pallida idea di come riempirlo. Avrei potuto ricorrere alle mie mirabili doti da tracciatore di linee ininterrotte rappresentanti casette stilizzate, ma alla fine optai per una capitolazione più sobria e, dopo aver fissato per cinquanta minuti quegli antipatici quadrettini azzurri, consegnai il foglio in bianco.

In quel momento, quando finalmente mi liberai di quel fastidioso pezzo di carta che sembrava fissarmi a sua volta con fare giudicante, provai un gran senso di liberazione, anche conosciuto come "Sollievo Atarassico". Il "Sollievo Atarassico" consisteva nel lasciarsi pervadere dai pensieri generali, quelli che si elevano al di sopra dei problemucci circostanziali della quotidianità, ad esempio: a confronto di quello che per tutti è il lungo e travagliato corso della vita, quanto può contare un voto? Assolutamente nulla. Secondo il "Sollievo Atarassico" prendere un due o un dieci era totalmente indifferente. Secondo i miei genitori non così tanto, ma loro non conoscevano affatto questa illuminante teoria.

I miei non riuscirono nemmeno a conoscere la mia scuola, a dirla tutta. Lavoravano entrambi all'ospedale, con turni da capogiro...

No, aspetta. Non pensarci nemmeno. Il mio andamento scolastico non dipese da loro.

Non avevo fratelli, né sorelle, e rimanevo da solo per la maggior parte della giornata, ma non per questo mi sentivo meno amato, meno compreso, meno speciale o cosucce simili. Pensavo, anzi, di essere abbastanza fortunato a poter disporre della mia casa come meglio volevo. Certo, era mio dovere mantenerla in ordine e svolgere svariate faccende domestiche che poco si addicevano a un ragazzo della mia età, ma, d'altronde, anch'io ero un tipo che poco si addiceva a un ragazzo della mia età, perciò, in fin dei conti, le cose mi andavano bene. Insomma, la mia famiglia non c'entrò nulla con il mio andamento scolastico. Di quello fui responsabile io e io soltanto per un semplice motivo: pigrizia.

Non ero pigro perché provavo gusto a starmene seduto sul divano guardando la televisione: ero pigro perché sapevo che, anche senza studiare, sarei sempre (o quasi) riuscito a prendere la sufficienza. E, per intenderci, non me ne stavo tutto il pomeriggio seduto sul divano fissando uno schermo: io uscivo con Sam.

Sam – ufficialmente Samantha – era il mio cane. Un bellissimo incrocio tra un pastore tedesco e qualche altra razza a me ignota. Correre con lei era fantastico: giravamo tutti i parchi della città (compresi quelli che vietavano l'accesso ai cani, ovviamente), poi, quando esaurivamo i parchi, percorrevamo i viali alberati, avanti e indietro, finché non arrivavano le sei. A quel punto andavamo a scuola.

Ci fermavamo nel piazzale deserto e la osservavamo per qualche minuto. Io mi ripromettevo che, prima o poi, mi sarei deciso a insegnare a Sam a farla in un altro posto, mentre lei, risoluta, cominciava a girare attorno a un punto imprecisato nei dintorni del cancello d'ingresso. Sembrava un atto di ribellione, una ferma presa di posizione nei confronti dell'edificio che sei mattine su sette m'inghiottiva privandola della mia compagnia e di cinque, meravigliose ore da trascorrere insieme. Nel vederla tornare da me, dopo, felice come chi sa di aver adempiuto con onore al suo dovere, spesso rinnegavo le mie promesse. Una volta pensai addirittura che la sera dell'ultimo giorno degli esami finali non l'avrei raccolta. Mi sarei imposto, avrei finalmente dimostrato quanto valesse, per me, quel luogo.

Spoiler Alert: quell'ultimo giorno sull'asfalto davanti al cancello rimasero i soliti avanzi di sigaretta, le solite cicche annerite dallo sporco, le solite confezioni di caramelle alla liquirizia, ma nessun escremento canino – perlomeno, non appartenente a Sam – sia per un motivo che ti spiegherò prossimamente, sia perché il liceo, alla fin fine, aveva assunto un valore non trascurabile da quando avevo conosciuto lei.

Giusto: lei. Le rivolsi la parola quel lunedì, a ricreazione.

Immagino che la tua attenzione a questo punto si sia ridestata... Ma credo di aver già scritto troppo, e forse è meglio lasciare a te il tempo di raccogliere nuovamente tutta la tua concentrazione e a me il tempo di organizzare il discorso in modo decente.

Ti avviso: è probabile che non ci riuscirò. 

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