Quale Elleonor essere?
Stava seduta in cima alla scala, passava il tempo a intrecciare i lunghi capelli castani, aspettando una sua risposta, non capiva perché ci mettesse tanto a decidersi, in fondo in cambio del suo aiuto, gli aveva chiesto soltanto di portarla dove gli orchi non avrebbero avuto intenzione di attaccare, almeno nel breve termine. Se lui era sbucato sotto casa sua, voleva dire solo una cosa, altri orchi erano nelle vicinanze. Si chiedeva se fossero arrivati anche sotto i villaggi vicini, cercando di capire che tipo di schema stessero seguendo si arrovellava il cervello, ma la strategia militare non faceva per lei.
«Perché credevi di morire?» gli chiese stanca di quel silenzio.
La guardò, poi si tastò il fianco ammaccato :«Gli orchi non curano, troppo tempo e fatica sprecati».
«Eliminare i feriti è più conveniente». Non disse nulla. «Se non ti avessi trovato io, ma un tuo simile ti avrebbe ucciso senza starci troppo a pensare».
Si alzò, la loro assurda usanza la lasciò perplessa, colpì nel profondo di quell'arido animo che si era costruita con tanta fatica. Una smorfia di disgusto comparve sul suo viso, si disse che dopo tutto la gente avesse ragione a definirli dei mostri, se non provavano alcuna pietà verso i loro simili, figuriamoci come potessero trattare i prigionieri. Rabbrividì al solo pensiero, era stata fortunata che fosse solo e ferito, altrimenti l'avrebbe già eliminata e magari divorata.
«Abbiano un accordo dunque? Altrimenti chiamo gli uomini, così metteranno la tua testa su una picca» l'orco grugnì, seccato per il fatto di trovarsi in una posizione di svantaggio. «Non vuoi morire, l'hai detto tu stesso».
«Sì, abbiamo un accordo».
«Ne sono lieta, hai fame?».
«Si».
Tornata di sopra il cielo aveva appena cominciato a schiarirsi, illuminando pallidamente la grande stanza in cui passava le sue giornate. La botola si trovava in un angolo, poco distante vi era la tavola, con solo una sedia accanto, sulla desta il grande camino di fronte la sedia a dondolo, a un lato una finestra e sull'altro un mobile a due ante, sulla sinistra del tavolo c'era la porta che dava sulla sua camera e la credenza, sulla parete in fondo la porta dalla vernice scrostata.
La stanchezza iniziava a farsi sentire, di sicuro in quei giorni non avrebbe dormito sonni tranquilli con quella creatura sotto il suo stesso tetto. Anche se un sottile senso di paura continuava a strisciare in lei, non mi si pentiva della sua scelta, per il semplice fatto che da sola non sarebbe riuscita a sfuggire a una guerra. Nelle sue condizioni sarebbe stata un facile bersaglio per ogni sorta di male intenzionato, umano e no.
Gli scaldò della minestra, accompagnandola con un pezzo di lardo e del pane raffermo, L'orco mangiò tutto voracemente, con un'espressione cupa che sembrava non volesse abbandonarlo.
«Come ti chiami?».
«Troin».
«Elleonor, bene Troin, continuerai a stare in cantina, è più sicuro. Talvolta mi assenterò, tu non provare a salire, se dovesse venire qualcuno e trovarti sarebbe un guaio per entrambi».
Accennò un sì, si sdraiò e coprendosi con la coperta che gli aveva portato chiuse gli occhi, lasciandole intendere che per il momento non ci sarebbe stato più nulla da dirsi.
Una volta risalita, preferì chiudere la botola con un catenaccio, si buttò sul letto e affondando il viso nel cuscino urlò. Pazza, si considerava una pazza.
Si addormentò senza accorgersene, fu svegliata bruscamente dall'insistente bussare di qualche seccatore. Scattò seduta in mezzo al letto come una molla, i suoi occhi andarono subito alla botola, era chiusa e tirò un sospiro. Quando aprì, si ritrovò di fronte Elanus, il giovane rossiccio e lentigginoso garzone della locanda in cui lei lavorava, occupandosi di pulire e accontentare gli ospiti.
«Quercino ti vuole parlare».
«Che gli è preso adesso?».
«Non lo so, ha dato di matto dopo che gli è arrivata una lettera».
Elleonor diede un ultimo sguardo alla botola, pregando che Troin non provasse a scappare e seguì Elanus, cercando di capire casa mai potesse essere accaduto per mandarmi a chiamare. Il giovane a capo chino talvolta le lanciava una rapida occhiata, il ragazzo aveva perso la testa per lei, si era anche dichiarato, Elleonor tuttavia gli aveva detto che lei non era la donna giusta, che doveva mettere la testa a posto e cercarsi una brava ragazza del posto. La speranza nel giovane di riuscire a conquistarla non svaniva, poteva pagarla, ma in quel modo gli sembrava di forzarla, lui era innamorato e desiderava ardentemente che lei provasse lo stesso per lui. Con quei pensieri in testa la guardò e sospirò.
Elleonor lo guardò male, sapendo bene cosa gli passasse per la testa, provava tenerezza per quel giovane, era sempre così gentile con lei, non voleva illuderlo e fargli sprecare i suoi anni migliori dietro un qualcosa di irreale. S'intenerì e sorrise, Elanus arrossì e le sfiorò la mano, lei la ritrasse.
«Adesso non esagerare».
Una volta arrivato, trovarono Quercino seduto al bancone, che si rigirava tra le mani un boccale di birra, guardando il liquido dorato con aria pensierosa.
Quando la vide, si diede una ravvivata ai pochi capelli rimasti, si schiarì la voce e cacciò dalla tasca del grembiule la lettera. La misteriosa missiva che lo tormentava.
«Tu va in cucina» ordinò a Elanus, che chinò il capo e corse via senza ribattere «Questa è da parte dell'esercito».
Elleonor si fermò in mezzo alla sala, con le sedie ancora su i tavoli, come se Quercino le avesse puntato contro un'arma.
«Giungeranno qua fra qualche settimana, per sistemarci il loro avamposto».
«Tutto qui?» Gli chiese cercando di nascondere la preoccupazione che iniziava a crescere, prendendo a pugni il suo che si contorceva, pronto a esplodere.
«Sì, non vanno di certo a dire a me cos'hanno intenzione di fare» Quercino, oltre a essere il locandiere era anche il borgomastro. «Volevo chiederti, se fossi disponibile a lavorare qualche ora in più una volta che saranno arrivati».
«Nessun problema» occupò posto allo sgabello di fronte a lui «Dimmi, di quale esercito si tratta?».
«Quelli del Tebal». L'esercito reale in persona che si muoveva dal suo demanio per dirigersi da loro. Poi cosa avrebbero fatto? Sarebbero andati oltre le montagne per aiutare il regno confinante o semplicemente avrebbero evitato che gli orchi provassero a scendere nella loro valle. Sorrise, se solo avessero saputo che gli orchi erano giunti da un pezzo.
«Cosa ti diverte tanto?» disse nervoso scrutandola con i suoi occhietti azzurri.
«Nulla, stavo pensando che dovrai assumere qualche altra ragazza, non potrò di certo accontentarli tutti» disse maliziosa.
Quercino si grattò la candida barba e scacciò quell'affermazione con un gesto della mano :«L'esercito porterà soltanto agitazione fra la gente del posto, spero solo di riuscire a tenere sotto controllo la situazione».
Gli levò il boccale di mano e bevve il contenuto : «Ci riuscirai sei bravo come borgomastro». Riuscì a strappargli un sorriso Quella notizia non ci voleva proprio, pregò le poche divinità di cui ricordasse il nome che, per l'arrivo dei soldati, il suo ospite se ne fosse già andato lontano.
Rimase a rassettare un paio di camere che si erano liberate, credendo che fosse meglio non cambiare drasticamente le sue abitudini, se qualcuno avesse cominciato a sospettare qualcosa avrebbero posto domande, sarebbero andati a curiosare e lei questo lo volevo evitare.
Si trovavo in cima alle scale quando riconobbe una voce.
«Adamfo» esclamò mentre scendeva.
Adamfo commerciava in spezie e tessuti fra le tre città principali della regione. Ogni volta che era di passaggio al villaggio si fermava un paio di giorni. Elleonor si occupava di non fargli mancare nulla, lui era l'unica persona con cui sapeva di poter parlare liberamente, di cui fidarsi, ma quel risentimento che aveva radicato dentro verso il genere umano, la portava a volte a trattarlo male.
Lui faceva finta di nulla, conosceva ciò che la tormentava, si era ripromesso che le sarebbe stato accanto nel bene e nel male. Anche se era il senso di colpa a portarlo a essere protettivo con lei, perché quel giorno lui non c'era, come nelle settimane, i mesi precedenti era lontano per uno dei suoi viaggi, non aveva capito il bisogno che Elleonor aveva di essere aiutata, oppure aveva preferito ignorarlo, per non sentirsi legato a nessuno, a nessun luogo e poter vivere la sua spensierata vita libera.
Adamfo vedendola sorrise e preso un incarto dalla sacca le andò incontro. Elleonor gli gettò le braccia al collo e lo baciò prima di prendere il regalo, lui continuava a tenerla stretta, la osservò aprire l'involucro che conteneva una boccetta di vetro.
«Questo è un balsamo, proveniente da oriente» spiegò afferrandola per le natiche :«Che ne dici se lo proviamo subito, ti laverò e massaggerò».
Sorrise maliziosa :«Vado a preparare la vasca, nella tua solita camera». Lo baciò, gli succhiò la lingua e gli sfiorò la patta.
Quercino li guardò con Occhi nostalgici, lui non aveva più un'erezione decente da chissà quando, segnò il nome del nuovo ospite sul libro che teneva sotto il bancone e si versò da bere.
Adamfo la seguì, acchiappandola e iniziando a slacciarle il vestito. Una volta in camera Elleonor si spogliò, lui voleva che eseguisse ogni mansione nuda. Elanus e Quercino arrivarono con i secchi d'acqua, il ragazzino trovandomi nuda arrossì, lei gli passò accanto e lasciò scorrere una mano sulla sua schiena, Elanus trasalì, prese i secchi vuoti e corse via, Quercino gli andò dietro ridacchiando.
❌❌❌S'immerse nell'acqua, rilassandosi piacevolmente col suo tepore. Adamfo preso un panno iniziò a strofinarle delicatamente la schiena, passando alle braccia, scendendo lungo il ventre. Gemette piano, le piaceva il suo modo di fare, le sue attenzioni, non pensava solo a fottere. Lui era anche l'unico cui si concedeva volentieri, era il suo modo di ringraziarlo e forse anche se non lo avrebbe mai ammesso, quando lo aveva accanto si sentiva come quando ancora era una persona felice. Arrivato in mezzo alle cosce iniziò a stimolarla prima con un dito, a mano a mano che i gemiti aumentavano e muoveva il bacino, infilava un dito in più.
«Esci».
Lo baciò prima di uscire e andarsi a sdraiare sul letto senza asciugarsi. Iniziò a leccarla partendo dalle dita dei piedi, con la punta della lingua risaliva passando da una gamba all'altra procurandole brividi di piacere. Arrivato alla sua femminilità succhiò avido, morse, infilò nuovamente la sua mano.
Inarcò la schiena, afferrandolo per i capelli, sussurrando il suo nome, mordendosi le labbra.
Lui passò a stimolarla dietro Elleonor avvampò, sapeva come farla impazzire. Si scostò, adesso era il suo turno. Gli fu in groppa e lo masturbò, il suo pene le sfiorava i peli pubici, fece per infilarlo dentro, ma lui la afferrò mettendola prona, la sollevò per i fianchi e penetrò, iniziando a muoversi lentamente. Lasciò scorrere le mani sul suo corpo sinuoso, desiderava Elleonor, l'aveva sempre voluta e quella attrazione non sarebbe mai scemata. Non era soltanto sesso, ma non si poteva chiamare neanche amore, non con lei, non fra loro. Era talmente eccitato che sarebbe venuto da lì a poco. La prese per le spalle e andò fino in fondo, gemendo, ansimando sempre più.
Elleonor provò dolore, era da tanto che non faceva sesso anale, ma era quel tipo di dolore che le procurava ancora di più la voglia di essere presa con forza. Goderono assieme, quando lo sentì schizzarle dentro urlò, Adamfo soddisfatto si abbandonò su di lei, madidi di sudore, ansimanti, appagati. Si guardarono e sorrisero, la complicità tra di loro era evidente, forte, indissolubile.
Elleonor si mise seduta, lui poggiò il capo sulle sue cosce.
«Mi sei mancata».
Non disse nulla, iniziando a giocherellare nervosa con la moneta bucata che Adamfo portava appesa al collo. Quelle sue parole ogni volta la portavano a detestarlo, considerandolo solo un bugiardo, che pensava solo a se stesso, fregandosene di chi gli avesse mai voluto bene.
Si alzò e il suo sperma cominciò a colare lungo le cosce, non le andava di stare tutta la giornata appiccicaticcia e fece per sciacquarsi.
«No, voglio che lo lasci dentro di te, su di te». ❌❌❌
Piegò la testa di lato sistemandosi i capelli dietro le orecchie :«Non posso restare».
«Perché? Non ci vediamo da settimane».
«Non è mica colpa mia».
Sbruffò, non voleva litigare per l'ennesima volta su quella vecchia storia.
Elleonor invece cercava sempre di provocarlo, specie in quel periodo dell'anno, ogni giorno che passava e la portava sempre più vicina alla fioritura delle rose diventava intrattabile.
Si sforzò di sorridere baciandolo un'ultima volta, lentamente, assaporando le sue labbra. Una volta rivestita, prese il suo regalo, si chiuse la porta elle spalle e vi rimase poggiata, come a riprendersi dopo una lunga apnea. Salì in soffitta, controllò che non vi fosse nessuno, così scostò la coperta appesa a una corda che serviva per dividere l'ambiente, lì Elanus aveva arrangiato una camera per sé, controllò la brocca e trovandola piena ne approfittò per ripulirsi, lei ubbidiva agli uomini solo in camera, se le andava di farlo.
Una volta a casa si gettò sul letto stanca, non per la fatica, ma per il turbinio di emozioni che ogni volta esplodevano in lei quando stava con Adamfo. Lui le faceva male nell'anima, eppure non riusciva a staccarsi da lui, era la sua ancora di salvezza, chi riusciva a farla sentire nuovamente una ragazzina che ancora non aveva scoperto la cattiveria del mondo, però inesorabilmente era destinata a trascinarla a fondo, perché lui sapeva, aveva visto di cosa fosse stata capace, e una vocina nella sua testa, continuava a ripeterle, tarlandole l'anima, che in fondo la colpa di tutto quanto era anche sua.
Un tonfo, proveniente dalla cantina, la riportò alla sua complicata situazione. Chiuse gli occhi, a lui ci avrebbe pensato in seguito, adesso voleva solo riposare, cercare di svuotare mente e spirito.
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