La rosa bianca


Elleonor prese l'acqua dal pozzo, poggiato il secchio si asciugò il sudore dalla fronte con la manica sgualcita del vestito rattoppato. Alzò lo sguardo oltre i bassi tetti in ardesia e tavole del villaggio, che sorgeva di fronte la sua abitazione, posta al di là delle ultime case in pietra, separata dalla larga strada che andava da est a ovest, in direzione delle città più vicine. Lungo la strada si trovavano le case con piccoli appezzamenti di terreno, molto simili tra loro.

Il villaggio era costituito da case che difficilmente superavano i due piani in altezza. Si susseguivano disordinate, creando intricate strade e vicoli percorribili solo a piedi. L'unica via dritta e abbastanza larga da consentire un passaggio agevole ai carri quando s'incrociavano, era la centrale, che spaccava il villaggio in due perpendicolarmente, unendosi a quella che passava di fronte la casa di Elleonor. Oltrepassato il villaggio, ci si trovava di fronte la vallata che si allargava a vista d'occhio, che ospitava i campi coltivati, per la maggior parte di grano, che aspettavano il caldo per potersi indorare. Più a sud i colli ricoperti di conifere e querceti, risalendo il paesaggio era dominato dalle cime aspre della catena montuosa Reulg.

Oltre quel muro creato da madre natura, si stava preparando l'esercito degli umani del regno che lo abitava, per affrontare i nostri più atavici e pericolosi nemici, gli orchi.
Nel loro regno non esistevano più da secoli, l'antico re Aryunot, dopo una guerra durata decenni, riuscì a sconfiggere quei mostri, cacciandoli dalle sue terre, uccidendo tutti quelli che venivano trovati nascosti negli angoli più remoti, mezzo sangue e i loro complici umani compresi.

Le notizie che riuscivano a giungere da oltre i confini, su quel popolo sanguinario grazie ai viandanti, agli abitanti del luogo sembravano soltanto storielle da taverna o preferivano pensare che lo fossero.
Al villaggio, per esorcizzare la paura, la vita scorreva lenta e placida come sempre, lasciando il popolo oltre le montagne al loro destino, indifferenti, alieni.

Afferrò il manico del secchio con entrambe le mani dirigendosi al cespuglio di rose che aveva piantato sotto la finestra della sua camera, le prime timide gemme iniziavano a farsi vedere, presto le avrebbero regalato la loro candida e profumata fioritura. Erano ormai sei anni che lo custodiva come un tesoro e ogni volta una fitta le stringeva il cuore.

L'animo di Elleonor si era diviso in due, lacerato per sempre e forse destinato a non ricucirsi mai più. C'era l'Elleonor fredda, arrogante, senza scrupoli. Disillusa sulla bontà dell'essere umano, ormai era certa che ognuno pensasse solo a se stesso, tutti si voltavano dall'altra parte a far finta che il male non esistesse. C'era passata, credeva di avere perso, ma si era rialzata, arida sì, di pietra, la forza però era aumentata e nessuno più le avrebbe fatto del male, a costo di essere lei stessa a ferire o uccidere.

Poi c'era l'altra Elleonor, che si lasciava intravedere sempre più di rado, da sole poche persone. Dolce, affettuosa, cui piaceva ridere e in fondo al suo cuore sapeva che l'amore esisteva, quello puro, intenso, ma allo stesso tempo aveva paura di trovarlo, di lasciarsi andare, di sentire nuovamente il suo cuore battere.

Lasciò cadere piano l'acqua, sospirò volgendo lo sguardo al resto del piccolo pezzo di terra che circondava la casa. Vi erano piantati due meli, un castagno e un ciliegio e coltivava l'orticello. Oltre il muro in pietra si vedevano i rovi che infestavano il terreno e la casa adiacente. Essa apparteneva alla famiglia Gehimen, vuota dalla morte della coppia, il figlio minore non aveva mai voluto saperne di accasarsi, preferendo girovagare per i regni. Il maggiore invece... Strappò alcune erbacce,  i rovi cercavano di sconfinare dalla sua parte e ogni volta con le cesoie tagliava tutto, rabbiosa, imprecando. Continuando a recidere quel filo invisibile che la univa a quel luogo abbandonato, a cercare di cancellare il peccato che si obbligava a ignorare.


Per strada passarono la signora Tilly con la sua vecchia e insipida amica, la vedova Roth. Il loro passatempo preferito era catturare ogni minimo particolare della vita degli altri, per poterne così spettegolare con chiunque.
Le salutò freddamente con un cenno, loro fecero altrettanto. Elleonor non stava simpatica a nessuna delle due, offriva loro poco su cui chiacchierare, ormai tutto era stato detto su di lei, non poteva più prendere parte alle adunanze nella sala della fede a causa del suo lavoro e quando si tenevano le assemblee di paese nel comune, restava in disparte cercando di non attirare l'attenzione.
Viveva da sola nella piccola casa paterna, accontentandosi del suo fazzoletto di terra, le passeggiate che si concedeva fino al fiumiciattolo nel boschetto dietro casa e del rapporto di fiducia che aveva col suo datore di lavoro. Non si sentivo sola, era felice, libera di non dover tener conto a nessuno sulle proprie decisioni.


Rientrata, la prima cosa che fece fu controllare la pentola in coccio che ribolliva al focolare, la allontanò dalle braci stando attenta a non si scottare. Prese posto sulla sedia a dondolo e riprese il lavoro a maglia, stava realizzando uno scialle. Dopo qualche giro di maglia percepì la terra tremare. Alzò lo sguardo, guardandosi intorno, le stoviglie nella credenza erano immobili come sempre, pensò di essersi immaginato tutto e riprese il lavoro. Quando sentì il secondo tremore decise di uscire, tutto però procedeva come sempre, nessuno dei pochi passanti sembrava aver sentito nulla.
Tornata dentro, per un po' rimase in ascolto, non accade nulla e dimenticò l'accaduto.

La giornata trascorse lenta, si coricò tardi, col lumicino a olio acceso sul baule di fianco alla porta, rimase a fissare il soffitto, lasciando vagare la mente tra i ricordi di gioventù legati a familiari ormai scomparsi e gli ultimi sprazzi di felicità. Spense il lume e rimase a contemplare la luna alla sua prima falce, pallido squarcio in quell'abisso. La terra tremò, questa volta ne era sicura, non era solo la sua immaginazione. Un altro tremore più forte, un rombo sordo, come quando si avvicina un temporale. Si acquattò a terra, temendo il peggio, rimase in ascolto, non accadde nulla. Si fece coraggio e si rialzò, osservò fuori dalla finestra, per strada solo un randagio. Possibile che solo lei sentisse quelle scosse? Oppure la gente non voleva credere che potesse accadere qualcosa di brutto e ignorava quanto accadeva, nella vana speranza che niente potesse scombussolare il loro quieto vivere.

Un frastuono proveniente dalla cantina la fece sobbalzare, il cuore cominciò a pompare velocemente, si mise una mano al petto, come a cercare un meccanismo che ne regolasse il battito. Riaccese il lume, andò alla botola e la guardava indecisa sul da farsi. Ingoiò a vuoto, afferrato l'anello di ottone e la sollevò, il cigolio dei cardini riempì il silenzio della casa, la lasciò ricadere sul pavimento. Sporse la mano col lume verso il buio, rimanendo in ascolto sentì un franare di sassi. Scese cauta i gradini di legno che scricchiolarono sotto i piedi nudi.

L'odore che riempì le narici era un misto di stantio, muffa, terra bagnata e qualcosa che non riusciva a identificare, un pungente odore selvatico. Accese l'altro lume che teneva appeso alla parete in fondo alle scale e rimase a bocca aperta. I detriti ricoprivano il pavimento, era crollata una sezione della parete in fondo. Diede la colpa al fatto che le fondamenta erano ormai troppo vecchie. Un gemito ruppe il silenzio, trasalì, quale bestia poteva mai essere rimasta intrappolata lì sotto? Si fece coraggio, si diresse in direzione di quei flebili lamenti. Di qualsiasi cosa si trattasse non poteva di certo lasciarla lì sotto a marcire.

Quando la luce ricoprì ciò che giaceva incastrata tra i detriti le scappò un urlo e per poco non le cadde il lume. C'era una creatura, dalla forma umana e allo stesso tempo raccapricciante. Attratta dalla luce quell'essere sollevò appena il capo e disse :«Non voglio morire» e perse i sensi.

Camminava avanti e indietro, si fermavo accanto alla botola aperta scrutando l'oscurità, le giungeva il respiro pesante della creatura, che la faceva rabbrividire e riprendeva il suo via vai. Aveva paura, cercava una soluzione sul da farsi con quella creatura bloccata in cantina. Su di un'unica cosa era sicura, si trattava di un orco, era identico alle descrizioni che le capitava di sentire alla locanda. Commercianti provenienti da sud, o i cacciatori che, sul finire dell'estate scendevano a vendere le loro pellicce.

Non poteva chiamare aiuto, temeva che la gente nel villaggio, superstiziosa e chiusa nelle sue credenze, avrebbe iniziato a dire che fossi lei la causa della sua comparsa. L'avrebbero cacciata con la forza, ne era sicura, lo avevano già fatto con una ragazza accusandola di stregoneria. Non voleva fare quella fine, la sua vita le aveva già dato abbastanza batoste, era stanca di lottare, ricominciare dopo essersi risollevata a fatica dal fondo in cui era stata gettata.

Iniziò a rosicchiarsi nervosa le unghie :«Cosa faccio?».

Lasciarlo a morire lì sotto non era una soluzione, doveva trovare il modo di tirarlo fuori di lì e far sì che se ne andasse il più lontano possibile, ma ce l'avrebbe fatta malconcio com'era?

Era l'unica possibilità, prima di ogni altra cosa doveva assicurarsi che non le avrebbe fatto del male. Prese una corda, infilò il coltello più grosso che aveva alla cinta e tornò di sotto. Trovandolo ancora incosciente ne approfittò per legargli i polsi, fermando l'altro capo a una delle travi. Cautamente tolse i detriti che lo ricoprivano dalla vita in giù, l'orco si mosse e lei si paralizzò, i suoi occhi rimasero chiusi e riprese a lavorare.

Una volta liberato si accorse di quanto fosse grosso, portarlo di sopra era impossibile.

A causa della poca luce non riusciva a capire le sue effettive condizioni, iniziò a rovistare sugli scaffali, si ricordava di aver lasciato una scorta di candele lì sotto. Una volta trovate le sistemò in vari punti attorno a quell'essere. Adesso che era ben illuminato Elleonor di fermò a studiarne attentamente i particolari. La pelle coriacea andava al grigio, i grossi canini sporgevano minacciosi, i lunghi capelli neri erano intrecciati alle tempie. Alcune cicatrici gli segnavano il volto squadrato. Sospirò, cercando di racimolare il coraggio necessario per toccarlo, si chinò al suo fianco e iniziò a tastargli una gamba, passando all'altra, a causa del dolore l'orco lanciò un urlo svegliandosi. Istintivamente cercò di afferrare chi gli aveva provocato tanto dolore, la corda svolse il suo compito e rimase con le mani a mezz'aria a pochi centimetri dal suo volto.

Elleonor sussultò, tuttavia riuscì a trovare la forza di non scappare e gli disse :«Sei ferito».

L'orco si guardò attorno, quando vide la frana sbruffò stizzito, sospirò e poggiò il capo a terra, come arrendendosi al suo destino.

Riprese a controllare le sue condizioni, risalendo lungo le cosce, poi alzò la maglia logora e vide l'ematoma sul fianco destro, palpando piano cercò di capire l'entità del danno, lui digrignò i denti, lasciò però che continuasse.

«Hai una gamba fratturata e qualche costola incrinata» disse alla fine.

Non rispose, rimanendo a fissare il soffitto.

Elleonor studiò le varie possibilità che si presentavano. Curarlo? Ci sarebbero volute settimane per riprendersi e poter tornare da dove era venuto. Tenerlo tutto quel tempo in casa era da escludere, il rischio di venire scoperta era troppo alto.

«La gamba» furono le sue prime parole «Sistema quella, così potrò andare».

Sollevata da quella possibilità Elleonor salì a procurarsi l'occorrente per steccargli la gamba.

Rimase in silenzio per tutto il tempo, digrignando i denti quando gli faceva male.

Una volta finito allungò le mani verso di lei :«Liberami».

Non voleva, Elleonor temeva che se lo avesse fatto l'avrebbe aggredita o peggio.

«Mi hai aiutato, non ti farò nulla».

Portò la mano dietro la schiena e strinse il manico del coltello, pensando a quale sarebbe stato un buon punto per infilzarlo nel caso avesse cercato di fregarla. Gli puntò contro la lama, guardandolo in quegli occhi scuri pieni di stanchezza e ne ebbe pietà. La sua espressione non era malvagia, sembrava più quella di una persona sconfitta dall'ennesima batosta della vita, le tornarono alla mente le sue parole quando lo trovò, "non voglio morire", ripensò a come si era sentita lei, sei anni prima, abbandonata, svuotata, inerme. Pietà, poteva lasciare che questo sentimento vincesse, verso chi poi? Un mostro, qualcuno che era sicuramente giunto fin lì per fare del male. Bontà, chi lo era stato con lei? Soltanto Quercino e Adamfo.

Recise la corda e l'orco si massaggiò i polsi, puntellò le mani contro la parete e cercò di sollevarsi, Elleonor istintivamente lo aiutò afferrandolo per il braccio. Una volta in piedi si poggiò con la schiena al muro, una fitta al fianco gli tolse il respiro, ma lui era cocciuto, non si sarebbe lasciato abbattere da qualche osso dolorante e andò verso la scala, dopo un paio di passi il dolore alla gamba gli impedì di proseguire e cadde malamente a terra.

Si rigirò sulla schiena ansimando :«Dannazione» picchiò col pugno a terra.

Elleonor s'immedesimò in quelle creature, poteva capire la sua frustrazione, nella sua testa qualcosa scattò e venne fuori una parte di lei che credeva, sperava di aver seppellito :«Puoi rimanere fino a che non sarai in grado di camminare». "Stupida", che stava facendo? Aiutare un orco, un maschio per giunta, si disse che era impazzita a infrangere la sua unica regola. Mai un uomo in casa.

«Bene».

«In cambio dovrai darmi delle spiegazioni».

Un lieve alito proveniente dalla frana arrivò alla candela e la fiamma tremolò, attirando la sua attenzione. Elleonor si alzò e con la lanterna in mano guardò la frana, giunse un altro filo d'aria. Comprese che lì sotto ci doveva essere una galleria.

Da piccola assieme ai suoi amici si sfidavano a entrare nella miniera abbandonata ai piedi della collina, sorrise a quel ricordo, ora le amicizie erano svanite, lei era la puttana del paese, soltanto Adamfo Gehimen le era rimasto accanto, almeno per quel poco tempo che era di passaggio tra un viaggio e l'altro. Anche se ciò che continuava a tenerli legati andava ben oltre la semplice amicizia.

«Cosa vuoi sapere?».

Le parole dell'orco la riportarono alla realtà :«Sei da solo?».

«Adesso sì, gli altri sicuramente saranno rimasti uccisi sotto il crollo».

«Perché scavare una galleria?».

«Oro».

Lo guardò di traverso, credeva davvero che quella sua scusa avrebbe funzionato?

«La guerra oltre le montagne non ha nulla a che vedere con voi?».

«Come hai detto è oltre le montagne, non ci riguarda».

«Davvero mi hai preso per una stupida, se non mi darai una spiegazione chiamerò gli uomini e ti uccideranno» incrociò le braccia al petto :«Dunque vuoi dirmi come stanno effettivamente le cose?».

Era importante sapere tutto su ciò che stava accadendo, capire se fosse ancora sicuro continuare a vivere lì e magari farsi indicare un luogo in cui la guerra, che adesso le sembrava reale e non solo un'ipotesi, non l'avrebbe raggiunta.

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