Il passato è sempre qui


Troin, nascosto dalla tenda ingiallita, osservava la casa disabitata di fianco a quella dove era sbucato lui. Quindici metri, solo quindici metri più a destra e sarebbero usciti dove gli era stato indicato. Per settimane avevano tenuto d'occhio il villaggio, per capire dove potersi creare un'uscita sicura, e quando ormai credevano che non avrebbero trovato il luogo adatto, ecco presentarsi un'opportunità unica e del tutto inaspettata, cui fu difficile dire di no.

Si chiedeva se adesso gli altri, non vedendoli ritornare, fossero andati a controllare cos'era accaduto. La cosa che più gli premeva sapere era se avrebbero infine deciso di riprovare in quel punto o se, per paura di qualche altra frana, avrebbero preferito continuare con l'altra galleria, dannatamente lontana, in sostanza dall'altra parte del villaggio.

Anche se fosse stato nelle migliori delle condizioni, arrivare fino a lì sarebbe stato troppo rischioso. L'unica scelta possibile era usare la vecchia galleria presente nella miniera abbandonata, sempre se fosse stata ancora agibile.

Ci sarebbe stato da oltrepassare solo quei campi dietro la casa e raggiungere il bosco, lì non lo avrebbe visto nessuno. Adesso poteva solamente aspettare, la pazienza purtroppo non era il suo forte, aspettare di stare meglio e che vi fosse la notte senza luna.

«Che ci fai in piedi?».

Troin alzò gli occhi al cielo, Elleonor si era assentata per tutta la mattina, che bella sensazione di pace che aveva provato. La donna era alquanto apprensiva nei suoi confronti, Troin supponeva che fosse perché così si sarebbe ripreso prima in modo da sparire dalla sua vita. Aveva così tanta paura di essere scoperta, la fiutava, quell'odore pungente che gli esseri umani emanavano, come di piccante, che gli faceva arricciare il naso.

«Devi stare a riposo se vuoi guarire».

Gettò la sacca che portava sul baule di fianco la porta e lo afferrò per un braccio, tirandolo verso il letto, cercando di non fissare troppo il suo corpo completamente nudo, anche se ne aveva visti a decine di uomini nudi, con lui si sentiva in imbarazzo. Non voleva che si mettesse in testa strane idee, diamine era un orco, una specie di animale.

Troin si mise a sedere sul bordo del letto lentamente, si doveva riposare, per quanto tempo era rimasto in piedi a guardare fuori dalla finestra, ore?

L'inattività non faceva per lui, quando era nelle gallerie c'era sempre qualcosa da controllare, che fosse lo stato delle travi, delle volte o delle scalinate. Oppure i vari canali che permettevano all'acqua di raggiungere le cisterne, le prese d'aria, le scorte, fare la guardia e controllare le trappole disseminate vicino elle entrate. Ogni giorno della sua vita era riempito da una o più di queste attività, passava poco tempo nelle zone abitate, specialmente dopo l'ultimo monito. Si passò la mano sulla cicatrice, gliel'aveva fatta il capo clan, era un compito che spettava solo a lui, ferire e ricucire.

Il monito veniva eseguito in una grotta apposita, c'era qualcosa di sacro in quel gesto, a presiedere al taglio oltre al capoclan c'erano i due membri più anziani, che incidevano il nome del castigato sulla parete. Il suo compariva svariate volte, se avesse sgarrato ancora non si sarebbero limitati a segnarlo, ma lo avrebbero cacciato dal clan. Era sempre stato una testa calda, poco incline a ubbidire agli ordini, specialmente quando venivano impartiti da uno come Shet.

Se ci fosse stata ancora lei gli avrebbe fatto una bella strigliata, lui le avrebbe promesso di darsi una calmata, lei gli avrebbe curato la ferita e l'avrebbe amata ancora di più.

«Ti ho portato dei vestiti» presa la sacca ne rovesciò il contenuto sul letto :«Sono i più grandi che ho trovato» afferrò una casacca grigia e lo aiutò a indossarla :«Tra poco devo uscire, vuoi mangiare prima che vada?».

«No».

«Devi mangiare se -».

«Guarirò ugualmente e sparirò».

Elleonor gli stava infilando i pantaloni, sentendolo parlare a quel modo se ne risentì, si mise ritta con le mani ai fianchi, guardandolo malamente gli disse :«Idiota». Si girò e aprì il piccolo armadio di fianco al letto. Slacciò il vestito lasciandolo cadere a terra :«Sul tavolo ti lascerò qualcosa».

Troin vide le numerose cicatrici che deturpavano la sua schiena, allungò la mano e le sfiorò.

Elleonor trasalì, si portò al petto il vestito verde bottiglia che aveva scelto e si girò, poggiandosi con la schiena contro l'anta aperta, rossa in volto. I loro occhi si legarono. Elleonor nei suoi lesse dispiacere, quell'orco provava pena per lei? Ciò la fece star male. Non voleva la pietà di nessuno, era un sentimento inutile.

«Non volevo metterti a disagio».

Troin immaginava fin troppo bene chi avesse potuto causarle quelle cicatrici, la paura nei suoi occhi era fin troppo evidente. Durante le sue escursioni notturne, nel corso degli anni, ne aveva incontrati parecchi di uomini che se la prendevano con chi era più debole.

«Questi sono i miei di moniti» disse come se parlasse di qualcun altro, indossò il vestito buono.

«Quella noi la chiamiamo kifat».

Elleonor si fermò, cercò di provare rabbia, per riuscire a ricacciare indietro tutte le emozioni che cercavano di venir fuori prepotenti, non voleva aprirsi con nessuno, il suo passato doveva restare sepolto. Tirò un lungo respiro e preso il pettine diede una sistemata ai capelli, legandoseli con un nastro nero, fece tutto tenendo lo sguardo basso, non voleva rischiare che, ritrovando nei suoi occhi un sentimento diverso dall'odio, dallo scherno o pregiudizio , cui era stata abituata, si fosse lasciata andare.

Non voleva parlare con nessuno di come si sentisse, non doveva importare a nessuno. Come si erano girati dall'altra parte nonostante sapessero, non meritarono le sue parole, le spiegazioni, gli sfoghi, le lacrime. Tutto era stato chiuso a chiave nel suo cuore e soffocato.

Elleonor uscì senza dire nulla, una volta fuori andò di fronte al muretto che separava le due proprietà e iniziò a lanciare sassi contro la casa vuota. Una lacrima le rigò la guancia e con l'ultimo sasso ruppe uno dei pochi vetri che erano sopravvissuti fino a quel momento.

Odiava il suo passato, odiava se stessa per aver permesso che le accadessero quelle cose, era stata debole, ma non lo avrebbe più permesso. Nell'udire il nitrire di un cavallo e il rumore di un carro che si avvicinava, si diede una calmata e si diresse al basso cancello che aveva bisogno di una sistemata.

Adamfo diede una veloce occhiata alla casa in cui era cresciuto, non vi metteva piede da anni. Tirò le redini e il suo hackney di sette anni dal manto roano si fermò. L'animale allargò le froge e roteò le orecchie nitrendo.

Elleonor salì in cassetta senza neanche salutarlo.

Non le chiese nulla, sapeva che sarebbe stato peggio e se la sarebbe presa con lui, non ci teneva per nulla a litigare, non avevano fatto altro che battibeccare per tutta la mattina, intanto che lei svolgeva le sue mansioni e lui le andava dietro come un idiota. Era riuscito a convincerla a concedersi quella scampagnata per puro miracolo.

L'acqua del fiume scorreva placida, era così cristallina che si vedeva il fondo sassoso e i pesci che lo risalivano. La pace di quel luogo avrebbe fatto calmare gli animi più inquieti, solo la natura li circondava, era sempre stato il loro luogo preferito dove stare insieme fuori dalla locanda, poiché Elleonor non lasciava entrare in casa neppure lui. Qualche volta all'inizio aveva insistito, ma comprendendo che la cosa la turbava molto decise di rispettare la sua volontà.

Adamfo aveva steso una coperta all'ombra di una quercia, tirò fuori il cibo dalla cesta che aveva portato e mangiarono in silenzio.

Sapeva bene che soltanto una cosa incupiva a quel modo Elleonor, i ricordi legati a lui. Si chiedeva perché continuasse a torturarsi con quei pensieri, lui non c'era più, era riuscita a cancellarlo dalla propria vita, avrebbe dovuto essere felice, serena, cercare di andare avanti e ricominciare. Invece si tormentava nel passato, non riusciva a sciogliere in nessun modo quel laccio che la teneva legata a ciò che era accaduto. Aveva provato in ogni modo ad aiutarla, le aveva proposto di partire con lui, di trasferirsi in un altro paese dove nessuno la conoscesse, una volta le aveva anche chiesto di sposarlo.

Lei rifiutava sempre, non voleva abbandonare la sua casa, come se una qualche magia la tenesse ancorata a quel luogo.

Elleonor si alzò e tolte le scarpe immerse i piedi nell'acqua fredda tenendo sollevato il vestito, un brivido la scosse tutta, ridestandola da quel suo torpore. Si chinò e presa dell'acqua tra le mani a coppa si sciacquò il viso. Sapeva bene che dimenticare e lasciarsi tutto alle spalle sarebbe stato meglio, a volte riusciva a non pensare a quelle cose per un bel po' di tempo, ma poi, come un fulmine a ciel sereno, si ripresentavano portandosi dietro il temporale di emozioni che la abbatteva nello spirito ogni volta.

Guardò Adamfo, avrebbe tanto voluto lasciarsi andare, con qualcuno, avere accanto una persona di cui potersi fidare. Non perché si sentisse sola, dentro di sé sentiva di meritarsi quell'amore che le era sempre stato negato, avere al fianco un compagno che la rispettasse, che la facesse sentire importante, al sicuro, che la amasse per come era.

Ritornò da lui, gli si sdraiò al fianco, poggiando la testa sul suo petto.

Le baciò i capelli, carezzandole la schiena, la amava. Forse l'aveva sempre fatto, ma il suo modo di amare non era quello classico, romantico, descritto nelle poesie o decantato nelle canzoni dei bardi. Lui non era tipo da legarsi a qualcuno, non gli piaceva l'idea di "contratto matrimoniale", di essere obbligato a continuare a stare assieme a qualcuno, di dover vivere a quel modo per diventare come uno dei tanti uomini che ripetevano meccanicamente ogni giorno della loro vita. Amava Elleonor, ma se durante uno dei suoi viaggi incontrava una donna e si creava un feeling con lei, si lasciava trasportare dalle emozioni del momento. Legarsi non faceva per lui, amava provare affetto, ma il per sempre solo tuo, non era compreso.

Elleonor meritava il meglio, la vita era stata fin tropo ingiusta nei suoi confronti. Le sarebbe sempre stato accanto, aiutandola e confortandola, ogni volta che tornava al villaggio, più di questo non poteva darle.

❌❌❌ Elleonor si scostò da lui e lo spinse piano, la lasciò fare.

Gli salì sopra e si slacciò il vestito scoprendo i seni, sbottonò la camicia di lui e passò le mani lentamente sul suo petto, scese graffiandolo piano e slacciati i pantaloni Adamfo la fermò, tirandola a sé e baciandola avido. Infilò le mani sotto la gonna e la attirò di più a sé stringendola per i glutei, Elleonor gli baciava il collo , mordendo fino a fargli male. La fermò e rigirandosi la mise sotto di lui, alzò la gonna in fretta e strofinò il suo membro eccitato sulla sua femminilità, la toccò prima lentamente, per aumentare col crescere della sua voglia, quando fu bagnata la penetrò succhiandole i capezzoli faceva aumentare i suoi gemini, fino a che non godettero assieme.

Si unirono ancora e ancora, presto sarebbe partito e voleva conservare il ricordo del suo sapore, il suo profumo, del suo raro sorriso che gli concedeva in quei pochi attimi di serenità.

Rimasero seminudi abbracciati, finalmente senza pensare ai loro problemi. ❌❌❌


Elleonor rincasò che il sole aveva appena cominciato a sfiorare le cime lontane all'orizzonte tingendo tutto d'arancio.

Troin si era seduto di fronte al fuoco, intento a riscaldare la carne che gli aveva lasciato.

Non dissero nulla, nessun convenevole, erano del tutto inutili per loro in quella situazione, non erano buoni amici, né amanti o parenti. Si erano ritrovati a condividere le loro esistenze, l'unica cosa che potevano fare era sopportarsi e aiutarsi affinché ognuno potesse ottenere ciò di cui aveva bisogno.

Elleonor gli si mise accanto, lui le passò un pezzo di carne attaccato allo spiedo.

«Cosa significa?».

«Avevo fame».

«Non questo, la parola che hai detto prima».

«Kifat?».

«Sì, kifat» prese un altro pezzo di carne.

«Cattiveria».

Elleonor ci rimuginò sopra, la trovò una parola davvero adatta, adesso però non le andava di stare ancora male a causa del suo passato :«E la carne come si chiama?».

Troin rise :«Davvero vuoi imparare la mia lingua?».

«Ḗ forse vietato?».

«No, d'accordo si dice sigg».

«Sig» ripeté.

«No, sigg, ha un suono più duro».

«Sigg».

«Sì, molto meglio».

Elleonor pensò a quale altra parola potesse farsi insegnare, lo guardò e disse «Occhi?».

«Àino».

Lei la ripeté più volte per pronunciarla correttamente :«Naso?» chiese guardando il suo, largo e schiacciato.

«Fini».

Senza aspettare che gli chiedesse altro col dito le sfiorò le labbra «Hafi».

Un brivido le percorse tutta la spina dorsale, espandendosi sinuoso per il suo corpo scaldandola piacevolmente. Ripeté piano le parole, continuando a studiarne e seguire con le dita i lineamenti marcati a sua volta.

Troin seguì il contorno del suo viso :«Fill», le passò le dita tra i capelli :«Segur». Le accarezzò il collo :«Nige».

Elleonor chiuse gli occhi, doveva darsi una calmata e non lasciarsi prendere a quel modo, era sbagliato, purtroppo l'unico modo per scacciare quelle sensazioni, anche se piacevoli, era pensare al suo passato. A quei giorni passati a sentirsi umiliata, sconfitta, derubata della vita che le spettava. Non sapeva cosa fare, soffrire pensando a ciò che le era accaduto o lasciarsi andare e rischiare.

Con lo sguardo Troin scese su i suoi seni, che si sollevavano piano a ogni respiro stretti dal corsetto. La guardò, quelle labbra rosee socchiuse, gli e le sfiorò nuovamente.

«Hafi» disse Elleonor.

Troin non poteva permettersi distrazioni, c'era una guerra da preparare, ritornò a mangiare.

Elleonor maledisse di non avere qualcosa di forte da bere in casa, le ci sarebbe voluto in quel momento, domandandosi se sarebbe riuscita a dormirgli accanto con quella sensazione che aveva iniziato a insinuarsi in lei. Lo guardò, diede una rapida occhiata alla patta dei pantaloni, nessun movimento, sembrava tranquillo. Sospirò, dicendosi che doveva darsi una calmata, era un orco, un maschio di orco, non poteva fidarsi di lui solo perché si stava dimostrando gentile. Anche lui inizialmente sembrava l'uomo perfetto, rivelandosi poi per il mostro che era.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top